Ricerca personalizzata

domenica 19 dicembre 2010

In risposta a Bella Ciao.

Dopo nemmeno un giorno e un blocco temporaneo da parte di Facebook (così presumo, visto che per mezza giornata la pagina sul sito non esisteva più), i creatori di Bella Ciao, hanno "potuto", rispondere al sottoscritto.
In uno sproloquio di frasi ridondanti, si sono difesi, accusandomi di dichiarazioni non mie, ribadendo la loro libertà e indipendenza rispetto a ogni partito politico.
Eppure come già appreso da altre fonti, linkate nel mio post precedente, proprio loro hanno detto di avere una certa preferenza verso un politico piuttosto che un altro.
Ma non è questo il punto.
La mia colpa, il motivo per cui, il mio link è stato rimosso e io sono stato bloccato dal poter pubblicare qualsivoglia testo sulla loro pagina; è che all'interno del link stesso ci sarebbe stata una foto del Duce e alcuni commenti offensivi.
Tutto vero.
Il problema è che l'evento del link e i commenti offensivi non sono miei.
L'unico motivo per cui l'evento è stato pubbblicato da me, è perchè al suo interno ci sono documenti, articoli, video e addirittura i contatti della persona che sarebbe (uso il condizionale) stata vittima dell'atto antidemocratico.
Nel pubblicare una cosa del genere, personalmente, il sottoscritto non vede niente di offensivo, anche perchè, chi avesse voluto era libero di leggere l'evento e farsi una propria opinione in merito.
Inoltre i commenti offensivi dietro cui si trincera la decisione della mia esclusione, non erano visibili sulla pagina di "Bella Ciao", essendo all'interno di un link.
Quindi non vi era nulla di offensivo, postato.
Quello che invece molti si sono persi, tra i tanti melensi attestati di stima, per "i portatori della Verità democratica", è il fatto che ancora il sottoscritto, non può dire la sua e se non si fosse attrezzato per farlo in altra maniera non lo avrebbe mai potuto fare.
Mentre loro hanno potuto scrivere (a pro proprio, inventandosi anche alcune cose, la prima che io sarei stato offensivo, falso) sulla loro bacheca ai propri iscritti il motivo della mia "giusta" esclusione.
Perchè?
Non sono sufficientemente intelligenti i lettori della pagina in questione da farsi una propria idea senza nessun filtro?
Inoltre il sottoscritto non è l'unico che è stato bloccato per il medesimo motivo.
Perchè?
Perchè, cari liberi amministratori di Bella Ciao, cancellate i commenti (anche inoffensivi e magari scherzosi) contro un determinato leader politico mentre altri (anche della stessa parte politica del personaggio in questione), li lasciate eccome?
Dite che alcuni commenti, che ripeto, mai hanno infangato la pagina, essendo interni ad un link, sono offensivi, ma alcuni sulla vostra bacheca seppur per la parte politica avversa non sono, quelli sì, veramente offensivi?
Oppure link come:  

"Nostronzo (parodia di una celebre marca di tonno) 180 grammi di Fascismo, in olio di ricino" -

o anche - "Letterina per Babbo Natale, per Natale toglimi da coglioni questo stronzone"

- oppure -breve storia politica di Mara Carfagna: Nata a Salerno il 18 dicembre 1975, dopo una prestigiosa carriera da zoccola, Cicciolina docet...

- non sono forse da ritenersi offensivi?

 Peccato che certi link mirino agli "avversari politici" e non alla parte politica gradita...
Taccio sui commenti delle persone a certi link, c'è di tutto e di più, altro che offese...mancano solo i messaggi minatori.
Ma quelle offese, evidentemente vanno bene, per gli amministratori di Bella Ciao, giovani virgulti, difensori della Democrazia con la "D" maiuscola e dell'Italia, quella vera, loro, i veri "resistenti"!
E allora cari amici libertari di Bella Ciao, perchè non date anche a me, la possibilità di dire sulla vostra pagina in maniera civile e verificabile, la mia, modesta, opinione?
Attendo, fiducioso la vostra risposta.

sabato 18 dicembre 2010

Democrazia? CIAO BELLA.

Il dibattito, riguardo i canali di comunicazione in rete è da sempre assai ampio, tra chi, ritiene che l'utilizzo del sistema informatico, dei social networking e della diffusione massima di informazioni sul W.W.W. sia deleterio e facilmente manipolabile e chi, ne elogia di contro, la grande possibilità comunicativa e di diffusione appunto, impedendo quasi sempre il filtraggio di notizie scomode ai governi o ai centri di potere.
Se vediamo ad esempio il caso del sito di Julian Assange, Wikileaks, non possiamo che essere sedotti da questa seconda ipotesi.
In fondo, che c'è di male nel veder tremare un po' "i potenti" sotto i colpi implacabili di un qualche hacker sconosciuto?
Ne guadagna sicuramente la verità dei fatti e la libertà d'informazione.
Ma questa libertà, (su cui ci sarebbe ampiamente da discutere, in maniera approfondita) alle volte, nasconde pericolosi coni d'ombra e rende paurosamente simile, la partecipazione democratica, al marketing, o peggio alla pubblicità subliminale.
Il caso di cui vi voglio parlare, da queste pagine (non è casuale che anch'io esprima, la mia opinione attraverso il medesimo canale che attacco, ciò rende bene l'idea di questa doppia faccia dell'informazione digitale) è una mia esperienza personale.
Su uno dei maggiori siti di socialnetworking (diciamolo va, c'è pure nella screenshot, Facebook), mi sono imbattuto come tanti di voi, in una pagina, di chiara tendenza politica, ma apartitica, che tra qualche sfottò e vignetta, aveva il merito di offrire numerosi post, e link ad articoli di qualità, offrendo un servizio, devo dire, di buona "controinformazione".
La forza di questo "gruppo" era proprio il connotato si politicizzato, ma apartitico e "democratico" delle notizie e dei contenuti, tanto che, come potete vedere dall'innumerevole (per non dire notevole) numero di "fan", in breve la pagina, sempre aggiornata, con relativo invio di mail ai membri a cadenza quasi giornaliera, ha avuto un enorme successo.
Ho fatto anch'io parte di questa pagina/gruppo per lungo tempo, discutendo e linkando ciò che mi pareva più opportuno, sui principali casi di attualità politica.
Fino a quando, non ho cominciato a criticare un certo politico, che, vista la grande esposizione mediatica di questi ultimi mesi, ha anch'esso, come il gruppo, grande successo.
Le mie critiche in effetti erano molto pesanti, ma mai gratuite e sopratutto vere e inconfutabili, con tanto di fonti consultabili, su cui magari dibattere seppur aspramente, ma comunque in piena libertà d'opinione.
Purtroppo, dopo l'ennesimo link, (vedi qui) il sottoscritto è stato elegantemente bloccato...è rimasto cioè membro del gruppo, salvo, non poter commentare, ne linkare o condividere nessun tipo di file nel "club".
La pagina in questione, ormai l'avrete visto e capito si chiama "Bella Ciao" e dovrebbe ispirarsi (anche dal nome) ai valori di libertà e uguaglianza democratica, figli della Resistenza.
Evidentemente anche alla discussione democratica c'è un limite.
Da qui qualche lecito dubbio...
In fondo, non sarebbe poi la fine del mondo essere "bannati" da una pagina o  gruppo di Facebook, se non fosse che questa pagina conta, "solo" 128.640 persone che  la seguono e che quindi, come è capitato al sottoscritto ricevono la mailing list della pagina stessa.
Ora, se la tendenza interna al gruppo e alla pagina e cara agli amministratori fosse super partes, andrebbe tutto bene, il problema è che - parole degli amministratori stessi (vedi qui) - c'è in effetti un "debole" politico nei confronti di un leader piuttosto che di un altro.
Se ci fate caso infatti, gli altri partiti, se non proprio oscurati, sono comunque in qualche maniera lasciati ad ampia libertà di critica da parte dei partecipanti.
Non è un caso che quindi, io come altri, che hanno avuto l'ardire di criticare un certo politico e non altri, siano stati bloccati...
In questa maniera purtroppo nascono legittimi dubbi sul lavoro degli amministratori.
Una pagina con 128.000  e più contatti, lo sanno bene i web master, non è certo una cosa che si fa, si mantiene e sopratutto si costruisce attraverso la casualità o nel tempo libero.
Se volete, provateci, aprite un qualsiasi sito, gruppo, blog o altro spazio in rete e guardate con gli appositi strumenti di analisi quante visite avete.
Vedrete dunque che, se siete comuni mortali e non personaggi famosi o persone del mestiere, avere 100.000 contatti è un vero è proprio lavoro a tempo pieno e forse, nemmeno una costante applicazione basta per raggiungere certe "vette".
Crediamo per un attimo alla buona fede, a nessun fine di lucro e ad un incredibile combine di tempo libero+fortuna.
Rimane il potere di condizionare, in maniera strisciante un numero così grande di persone.
Ecco il boomerang della "libertà digitale", ciò che in superficie pare l'unica "verità" ha purtroppo altri risvolti ed ha ben poche possibilità di riscontro e di controreplica.
Sopratutto se sei bloccato!
Se poi la tendenza è esplicitamente a favore di un personaggio politico che di comunicazione ne sa (e no, non è Silvio Berlusconi)  eccome (celebre una sua campagna elettorale nel 2005) e che è contornato di varie persone del mestiere, nascono cattivi pensieri.
Qui mi fermo, ovviamente per non diffamare gratuitamente nessuno.
A voi trarre le opportune conclusioni e provare (dato che in molti siete iscritti a quel gruppo/pagina) a chiedere spiegazioni, dato che io non potrò farlo.
Con buona pace della "democrazia digitale"  e della libertà d'espressione individuale...
E' proprio il caso di dirlo, democrazia digitale bella...CIAO!

venerdì 17 dicembre 2010

Tutti hanno bisogno di Silvio Berlusconi.

Ebbene, seppur per un pelo (e mi astengo dal fare facili e scurrili battute) il premier ce l'ha fatta.
Con buona pace delle fibrillazioni degli ex alleati e dell'opposizione parlamentare.
Ma aldilà dei numeri, risicati, che ci riconsegnano ancora un Berlusconi, se non in forma, almeno più vitale, quello che si nota, ancora una volta, è che l'unico vero protagonista della politica italiana è uno solo, lui.
Tutti in questo paese dipendono da Berlusconi e non solo perchè molti sono proprio "suoi dipendenti", ma proprio perchè tanti, senza di lui, non esisterebbero.
Pensate a cosa sarebbe l'arco parlamentare senza mister B. ad esempio.
Tralasciando ovviamente i "fedelissimi" del PDL, lautamente pagati; anche all'opposizione, non si starebbe meglio senza l'ometto di Arcore.
Pensate ora al PD, un partito che, in caduta libera nei sondaggi, con una miriade di correnti e spifferi e ormai palesemente diviso al suo interno - come si vede anche dalle ultime primarie del centrosinistra a Trieste, dove il partito rischia la disfatta addirittura nei confronti del candidato della Federazione della Sinistra - in preda all'emorragia di voti, cosa farebbe se perdesse anche il suo unico e vero collante, l'arcinemico Berlusconi?
Oppure, contro chi urlerebbe il bravo Tonino Di Pietro (nemmeno lui esente dalla sindrome del berlusconismo, visto i due transfughi dell'IDV) senza il pluri-indagato Silvio?
E il Fini, leader, di una "destra moderna", di "stampo europeo", reggerà alla prematura rottura di una luna di miele conclusasi dopo 15 anni? Ma sopratutto, riusciranno a vederlo credibile gli elettori del centro-destra, dopo le accuse di "tradimento" che gli rimbalzano addosso dai giornali e i canali mediatici in mano al Cavaliere?
O anche Casini, leader "dell'Italia di mezzo", l'Italia che non si espone mai, senza un guado in cui stare a metà, che posizione sarebbe costretto a prendere?
La sensazione è che alla caduta di Berlusconi, che prima o poi, anche solo anagraficamente per forza di cose dovrà accadere, il risveglio - di quella tanta parte dell'Italia che per venti anni non ha potuto fare volente o nolente a meno di lui - sarà brusco.
In un paese in cui, l'unico sgambetto al premier viene addirittura dalla sua stessa parte politica, dopo un biennio di opposizione inesistente o peggio complice, senza Berlusconi tutti sarebbero costretti a fare per una volta ciò che non fanno da anni,  ovvero, politica.
Allora cadrebbero tutti i veli, che nascondono i vari "Re Mida" della politica italiana e si scoprirebbe che nella dissoluzione della sinistra, c'è un sovraffollamento di forze centriste, destrorse e moderate a contendersi il risultato elettorale.
Con buona pace dell'elettorato della sinistra che, in questo deserto rappresentativo si astiene dal votare o si dibatte nell'ansiosa ricerca dell'illusoria figura di un leader carismatico, da scoprire attraverso il sistema ambiguo, solo apparentemente democratico, delle primarie.
La situazione politica odierna insomma è indissolubile da Silvio Berlusconi.
Pensiamo solo alla sua nemesi politica, Antonio Di Pietro; uomo di destra, che ha fatto dell'opposizione a Berlusconi la sua principale proposta programmatica, in caso di dipartita dalla scena dell'avversario, il suo bacino di voti, in gran parte figlio dello scontento dell'elettorato del centro sinistra, sarebbe messo a dura prova.
Si scoprirebbe dunque che il leader dell'Italia dei Valori, ha posizioni molto diverse in ambito lavoro, rispetto a ciò che canonicamente ci si aspetterebbe da un rappresentante dell'opposizione, non in  contrasto ad una personalità come Berlusconi che non è sicuramente un difensore delle classi subalterne.
Su certi temi infatti, del mercato del lavoro e della sua regolamentazione ad esempio, si assiste ad una pesante sovrapposizione di idee da destra a sinistra, tanto che quasi tutti i politici di spicco, si affannano nel rincorrere le posizioni "responsabili" (leggi, nessuna regola, nessun diritto con la scusa della "crisi") dei vari "guru" dell'industria, del "made in Italy" e della "bella Italia", come Montezemolo o l'Ad di FIAT, Marchionne.
Addirittura si colma, in questo momento così drammatico per chi vive nel mondo reale, la distanza che da sempre c'era tra piattaforma sindacale e imprenditoria, se anche un segretario nazionale come Bonanni, segretario CISL, trova il tempo di scrivere un libro, con tanto di presentazione di chi?
Di Emma Marcegaglia, presidentessa di Confindustria.
Quello che invece non si ferma, è il disagio, per un'ondata repressiva senza precedenti dopo gli "anni di piombo" (in un deja vu del governo Tambroni), che investe i "contestatori", i precari della scuola, del lavoro, gli immigrati, tutte categorie unite dal filo invisibile della difesa dei propri diritti.
Si ricorre a vecchi metodi repressivi, si strumentalizza la manifestazione pacifica con i soliti metodi dell'infiltraggio, si stigmatizza poi la violenza degli "estremisti".
Pure il "chierico" Saviano, si diletta a scrivere ai ragazzi della manifestazione di Roma (del 14 dicembre scorso ndr), con toni "pasoliniani" (con le dovute proporzioni, d'intuito e intelligenza) senza aggiungere nulla di nuovo, senza domandarsi perchè - lui fine intellettuale - si tenda quando si commentano fatti del genere, sempre a focalizzarsi, su uno sparuto gruppo di ingenui che sono caduti nella solita trappola della "violenza pilotata", piuttosto che metterne in evidenza il mandante;  uno Stato, che spesso nella storia del nostro paese  si è rivelato antidemocratico, clericale e repressivo e autoconservativo delle proprie "elite" politicamente trasversali.
Acquietarsi alla corrente del buon senso, alle volte non si può, pena la perdita di contatto con la realtà che è appunto ciò che è successo ai partiti e ai leaders del "centro-sinistra".
Con i risultati che tutti bene conosciamo.
Uno dei motivi per cui, tanti leader politici - senza una direzione chiara verso cui muoversi e con l'incognita delle elezioni anticipate - alla riconferma del Cavaliere sullo scranno più alto di Montecitorio, avranno, ne sono sicuro, tirato un sospiro di sollievo.

lunedì 25 ottobre 2010

Fabbrica Italiana Automobili Torino. O no?

"E' arrivato il momento di essere seri, di essere responsabili, la crisi è uguale per tutti."
Sembra questo il messaggio - l'unico possibile -  che Sergio Marchionne, l'Ad di  FIAT, cerca di far passare, con il suo solito "tono pacato", parole sue, dalla poltroncina di Che Tempo Che Fa, il talk show (o anzi il "sussurro show") dell'ingessatissimo Fabio Fazio.
Facce pulite, che paiono messe lì apposta per "stemperare" i toni, duri che aleggiano sulla grande imprenditoria italiana, toni che si alzano dalla manifestazione FIOM di Roma, del 16 ottobre scorso e che, inutile dirlo, vedono in Marchionne e la CISL e la UIL i "nemici" dopo la divisione tra le sigle sindacali avvenuta in merito all'accordo di Pomigliano.
Peccato che, oltre l'apparenza la sostanza, seppur enunciata, attraverso un modo placido di parlare, con toni pregni di raziocinio e senso di responsabilità, sia di una durezza granitica, come un pugno d'acciaio sulla bocca dei lavoratori FIAT (e non solo, essendo la FIAT, da sempre banco di prova in Italia di ogni tentativo "restaurativo" imprenditoriale).
Le parole dell'Ad FIAT infatti, l'uomo senza giacca, ma in golf, l'uomo dai toni austeri e di basso profilo, tanto invidiato anche da buona parte dei politici italiani del centro sinistra, il capitalista dal volto umano, sono macigni.
A corredo di quanto detto ieri sera, anche un articolo sul Corriere della Sera, di oggi, rimbalza il Marchionne pensiero, in cui l'amministratore delegato della fabbrica torinese si scaglia addirittura contro il "sistema Italia", motivo maggiore per cui, FIAT nell'ultimo anno non decolla nelle vendite.
"Senza l'Italia la FIAT potrebbe fare di più", queste le parole di Marchionne e ancora - nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo previsto per il 2010  arriva dal nostro Paese. " Fiat - aggiunge - non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre."
Parole che trovano subito l'immediato sconcerto di praticamente tutto l'arco parlamentare italiano da Fini a Sacconi, da Calderoli a Damiano, a Vendola.
Giudizi, tra i più disparati che seppur in contrasto con le parole dell'Ad FIAT, non incidono, sopratutto perchè non scendono nel merito, come al solito delle questioni che Marchionne stesso propone.
Parole che sono, quelle di Marchionne, anche volendo usare un eufemismo, sconcertanti, che non tengono conto di come ad esempio FIAT sia molto di più che una semplice multinazionale che ha stabilimenti in Italia, ma sia una costola stessa dell'industria del nostro paese, da sempre.
Al punto tale da essere quasi sempre un metro di paragone storico, con cui misurare non solo l'avanzamento economico e tecnologico del paese, ma anche metro di misura dei conflitti e dell'avanzamento dei diritti sociali dei lavoratori.
Tanto che, più di una volta FIAT è stata lautamente aiutata dallo Stato italiano, (vedi qui: www.lavoce.info), Marchionne forse, dimentica il perchè, ovvero perchè FIAT è il maggior gruppo privato a dare lavoro nel nostro paese (senza calcolare poi, il relativo indotto).
FIAT è da sempre un'azienda di Stato, tanto che, in tempi non sospetti, addirittura Gianni Agnelli ebbe ad esclamare - "Ciò che va bene per la FIAT, va bene per l'Italia" - tanto per indicare come la politica industriale fosse legata a doppio nodo con la casa automotoristica di Torino.
Oggi, lo sappiamo il mondo è cambiato, non solo per via degli ovvi cambiamenti storici che ci hanno portato verso l'assimilazione del concetto neo liberista del "pensiero unico", ma sopratutto perchè, realmente il mercato è globale e consente, attraverso una deregulation selvaggia, di fare alle multinazionali ciò che vogliono, "galleggiando" sui vincoli messi dagli Stati stessi.
Più o meno ciò che ha fatto FIAT negli ultimi anni, non contenta di essere un azienda in crisi (e quindi sostenuta dallo Stato, per questo, anche con gli incentivi alla rottamazione), tramite Marchionne il gruppo italiano, si è lanciato in ambiziosi progetti di politica "geo-economica", come nel caso dell'acquisizione del 20% di Chrysler nel 2009 dove anche lì, saranno a pagare i contribuenti americani, grazie al prestito concesso al gruppo Chrysler dall'amministrazione Obama.
Progetti, che oltre a varie politiche industriali di delocalizzazione verso mercati più agevoli dal punto di vista dei diritti sindacali e del costo del lavoro (l'esportazione di alcuni marchi FIAT in Polonia, Serbia etc), non vedono però un congruente piano di rilancio dell'azienda.
FIAT, è essenzialmente ciò che è il suo Ad. Marchionne, non un industriale ma un manager, ovvero una grande multinazionale gestita però, come una holding finanziaria quale è, senza preoccuparsi troppo di una politica industriale, si punta molto più sul brand e sul peso dell'azienda nei mercati finanziari invece di quelli "reali".
FIAT, isomma, è un esempio emblematico di come il mercato economico sia passato rapidamente a sbilanciarsi verso l'alta finanza, verso mercati fatti di speculazioni, scatole cinesi, paradisi fiscali, un mondo di teoremi con ricadute però, purtroppo reali; uno dei motivi per cui, questo sistema economico si trova in crisi.
Sfortunatamente, quando le cose vanno male, gli errori di pochi li pagano tutti.
Marchionne dunque, con certe dichiarazioni, di fronte all'immobile Fabio Fazio, "indora la pillola", ma implicitamente preme sull'argine della deriva dei diritti del lavoro in Italia.
Sfondata la diga a Pomigliano, arginata la protesta di Melfi (irresponsabili anarchici i tre lavoratori, sostenuti addirittura da una sentenza!), isolata la FIOM, il buon Marchionne punta in alto, e con un pizzico di populismo e una spruzzatina di antipolitica, molto di moda ora, si accanisce contro il rango politico e certi immobilismi vecchi, frutto di una politica compiacente verso i sindacati.
Nemmeno al governo ci fosse il PCI di Togliatti.
La risposta, contrariata, ma flebile, da parte del ceto politico tutto.
Sotto le dichiarazioni di Marchionne si intravede un solo scenario possibile, quello, con la scusa della crisi, che prospetta nuove "risttrutturazioni" - leggi licenziamenti - nel ramo italiano di FIAT, a meno che i lavoratori non accettino condizioni e accordi "capestro".
Il teatrino della politca da talk show intanto riparte, nel mezzo, tra le schermaglie verbali dei ceti plutocratici del nostro paese, la devastazione della base sociale,  di chi, la crisi la subisce e purtroppo la subirà davvero...

martedì 5 ottobre 2010

Indovina Chi l'ha detto?




Nella vita ho imparato a non escludere mai nulla, tutto è possibile, non sono alla ricerca di una poltrona, ma sicuramente mi farebbe piacere contagiare il centrodestra su certe questioni che non devono più essere affrontate ideologicamente o per partito preso. 
D’altronde ho sempre pensato che l’elettorato del centrodestra è più liberale dei suoi rappresentanti in Parlamento e le mie battaglie non sono mai state di parte perchè mi sono sempre confrontata con gli avversari politici , non mi sono mai sottratta al dialogo. 
Sono grata al Ministro La Russa per i complimenti e la stima dimostrata, e sono pronta a lavorare affinchè tutto l’arco parlamentare sia coinvolto in una seria riflessione sui diritti civili. 
Non ho mai avuto tessere di partito e non ho alle spalle una storia di militanza politica
Sono una persona libera e non ho alcun problema a dichiarare che apprezzo alcuni ministri del centrodestra per le aperture fatte sulle nostre questioni: in particolare Rotondi e Brunetta per i Di Do Re, la Carfagna per l’impegno su una legge sulla discriminazione sessuale e La Russa per la questione dei gay nell’esercito” .

Ecco a voi Vladimir Luxuria, all'anagrafe alias Vladimiro Guadagno, x deputata di Rifondazione Comunista nell'ultimo governo Prodi, che come si legge da queste dichiarazioni, evidentemente sulla propria collocazione politica ha cambiato idea.
Un'altro esempio di come la politica italiana sia un "teatrino della marionette" dove tutti, nei salotti televisivi si insultano, salvo poi, esclamare dichiarazioni sorprendenti come queste.
Risolto questo, un altro quesito, stavolta più difficile:

"L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori si potrebbe togliere, sarebbe un elemento di modernizzazione del Paese...Il nostro programma e quello di Confindustria? Non vedo tutte queste differenze."
5 marzo 2008 sul Il Riformista 

Inutile dire che anche lui "ha fatto il salto della quaglia" proprio in questi giorni nel sostegno al governo Berlusconi...

venerdì 1 ottobre 2010

Vendola, Berlusconi e Don Luigi Verzè. Incroci pericolosi e facili entusiasmi.

Un Nichi Vendola in buona forma, ieri sera, ad Anno Zero, miete consensi quando "rimbrotta" il sempre fedele al Fascismo, Ignazio La Russa.
Tanto che, come al solito, il governatore pugliese, viene ampiamente condiviso in social networking e blog, tra i soliti commenti entusiastici.
In apparenza tutto bene, il leader di Terlizzi, grande comunicatore e lanciatissimo nella corsa sotto traccia delle primarie di coalizione, "buca lo schermo", come suo solito con frasi immaginifiche, prese da ambiti distanti dalla politica e rielaborate con "poesia".
In rete però, che si sa, è strumento potente e ingestibile, non tutti sono abbagliati dal carisma dell'ex leader di SEL, vi sono infatti, anche schiere di contestatori che tra le pieghe del web, hanno dato vita ad un singolare confronto tra "pro" e "contro" Nichi Vendola.
Tutto nasce da una serie di articoli, di un giornale online, ItaliaTerraNostra, diretto da Gianni Lannes, che mesi fa, lanciò quella che è una bomba giornalistica ancor oggi, destinata a fare polemica ancora a lungo nel tempo.
La polemica parte dall'avvallo della giunta pugliese di un progetto assai discutibile di sinergia pubblico-privato nel campo della sanità.
E' stato infatti approvato, con delibera della Regione Puglia (qui il link diretto), il progetto che permetterà, alla fondazione San Raffaele, di Milano, di costruire il più grande centro di ricerca e cura, specializzato in oncologia nel sud Italia, più precisamente a Taranto.
Fin qui, niente di interessante.
Quello che salta agli occhi e fa sobbalzare di stupore, sono le connessioni tra Regione ed ente privato.
Difetti, da come si legge nella delibera (in un primo momento "smarrita" perchè non pubblicata sul sito regionale), la Regione Puglia, stanzierà una cifra introno ai 100 milioni di euro, per un progetto che sarà sì patrimonio della Regione stessa, ma sarà di fatto gestito dalla fondazione privata del San Raffaele, clinica milanese molto chiaccherata con a capo il religioso Don Luigi Verzè.
Un'operazione priva di gara d'appalto pubblico, (per sveltire le lentezze burocratiche di appalti pubblici etc. dice Vendola) che "vola sopra" le teste dei pugliesi, in maniera antidemocratica, se si pensa che i soldi, sono comunque fondi pubblici.
La fondazione San Raffaele poi, insieme al suo fondatore sono altri elementi da dibattito che danno adito e fiato alla più dure critiche.
Infatti, il fondatore della clinica milanese del San Raffaele del Monte Tabor è un personaggio molto discusso per i suoi intrecci con la politica e i vari capi d'imputazione a suo carico dalla tentata corruzione alla truffa, per non dire dei suoi rapporti privilegiati con alcune talpe del SISMI come Pio Pompa.
Ma la cosa che colpisce ancora di più è il rapporto privilegiato che da sempre Don Luigi Verzè, ha con Silvio Berlusconi, fin dagli inizi, fin dai tempi di Edilnord (vedi qui:Don Luigi Verzè), rapporti talmente stretti e amicali, da indurre il sacerdote ad appellare Berlusconi con parole sempre generose, come quando defini, il Cavaliere di Arcore - "Lui è l'uomo della divina provvidenza che salverà l'Italia" -  e ancora, - "Berlusconi mi ha chiesto di farlo campare fino a 150 anni e lui pensa che arrivando a 150 anni metterà a posto l'Italia - , un legame che insomma, è sempre fatto di reciproci scambi d'affetto (e di favori...), come quando lo stesso Don Verzè, è arrivato in soccorso di Berlusconi nel momento del suo divorzio "pubblico" da Veronica Lario.
Berlusconi ha risposto partecipando a quasi tutte le cerimonie di inaugurazione dei vari centri del San Raffaele o ai compleanni del religioso, in una sorta di ossequiosa serie, di riverenze mediatiche.
Già questo basterebbe a far storcere il naso a molti, evidentemente lo stomaco del governatore pugliese è così forte, da riuscire ad andare oltre.
Ma c'è dell'altro.
Silvio Berlusconi non solo è amico del fondatore del San Raffaele, ma è addirittura socio in affari di Verzè.
Tanto da detenere, un pacchetto di azioni della società "MOLMED", (acronimo di molecular medicine), la stessa società che vede nel suo consiglio di amministrazione il vicepresidente del nuovo San Raffaele del Mediterraneo (in divenire) Renato Botti e che in un intreccio di nomi tra la società e le fondazioni del San Raffaele di Milano e del Mediterraneo, in cui figurano Luigi Berlusconi (figlio minore di Silvio, maggiore azionista di Molmed s.p.a), Ennio Doris (presidente Banca Mediolanum, sempre gruppo Fininvest, ovviamente e consigliere del San Raffaele di Milano), fino ad arrivare al Ministro della Sanità Ferruccio Fazio, anch'esso con doppio e triplo incarico, nel San Raffaele (Direttore dei Servizi di Radioterapia) di Milano e presidente del San Raffaele di Cefalù.
A capo di tutte le varie fondazioni, Don Luigi Verzè.
Insomma gli scambi di "effusioni" non si limitano tra Berlusconi e Don Verzè solo al lato "umano" ma anche a quello imprenditoriale (dettagli qui: Berlusconi e il San Raffaele), tanto da far venire seri dubbi sull'operazione.
Quel che è certo, facendo una sintesi brutale è che Silvio Berlusconi, in qualche maniera, seppur indirettamente, beneficerà di quei fondi pubblici per suoi servizi privati connessi alla ricerca oncologica.
Di fronte a ciò, nemmeno Vendola stesso poteva non rispondere e preso in causa, si è affrettato tramite la redazione del suo sito internet personale a rispondere ad una serie di domande proposte dallo scomodissimo Lannes, in una serie di 24 quesiti sull'affare San Raffaele (qui le risposte: risposte alle 24 domande).
Se alcune possono essere anche plausibili seppur molto generiche e vaghe, ci sono pericolosi scivoloni, come nella risposta 10, dove con un laconico e sintetico "No", Vendola risponde, che non è al corrente del fatto che Don Verzè e Berlusconi sono soci in affari nelle varie fondazioni.
Sarebbe interessante chiedere, al governatore pugliese, ora che lo sa, che ne pensi...
Così come, si sottrae ad un confronto, proposto dal giornalista, in un faccia a faccia con lui, con le testuali parole "non ho grande stima".
Un po' poco per uno che si definisce "l'Obama bianco" .
Intanto centinaia di fan e contestatori si scontrano sui social networking e si aprono altre falle nell'operato di Nicola Vendola da Terlizzi, come sugli inceritori, o i "tagli" alla sanità pubblica a Lecce.
il carisma di Nichi copre anche le falle programmatiche, ma non per tutti.
Spuntano video in cui, un governatore nervoso, elude le domande di un qualche elettore critico, con risposte velenose, "su domande tendenziose" che preferirebbe non sentirsi rivolgere..(vedi video)
Intanto nel mondo dei media "tradizionali", della TV e della carta stampata, nemmeno i più bravi giornalisti d'inchiesta, si domandano se sul progetto del San Raffaele del Mediterraneo, che nascerà a Taranto (vicino all'Ilva, ironia della sorte) non ci siano delle ombre sospette...forse perchè sia a "destra" che a "sinistra" tutti ci guadagnano?
Chissà...
I "ping pong" dei talk show d'attualità politica continuano imperterriti nel gioco del "muro contro muro", "polo contro polo", salvo poi, dopo la contesa, ritrovarsi da "buoni sportivi" per un caffè al bar a discutere amabilmente, come tra amici.
Vendola dopo lo "scontro" con La Russa, ad esempio, non perde tempo per attaccare Berlusconi, ne contesta la leadership dopo il voto di fiducia, ne decreta con dichiarazioni perentorie, la fine politica, ormai certa.
Salvo poi, in Puglia, finanziarlo con i soldi della Regione...
Diceva Giosuè Carducci nel 1883 a proposito di certi politici:

“Trasformismo, brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi da sinistri a destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri.

A voi riflettere e fare le giuste proprie personali considerazioni...

lunedì 27 settembre 2010

Consigli per gli acquisti. "Capitalism: A love story."

Questa volta, il consiglio che vi do, non è più, su supporto cartaceo.
Come promesso, sconfino anche in "supporti" diversi , seppur nel medesimo ambito.
La proposta che vi faccio infatti, è un film documentario, del celebre regista statunitense, Michael Moore.
Michael Moore, arrivato alla ribalta con un altro documentario, intitolato "Bowling a Columbine", sulla celebre strage della scuola superiore della Columbine High School, in Colorado, vincendo cone questo suo lavoro l'Oscar come miglior documentario nel 2002.
Successivamente, con un altro documentario (genere principale in cui, Moore, si è da sempre cimentato) nel 2004, a seguito delle elezioni presidenziali che nel 2001 dettero mandato alla presidenza a George W. Bush, Moore affrontò il tema della politica interna e estera degli USA, in maniera più diretta.
Con il documentario Farenheit 9/11 infatti arrivarono le critiche (da parte dei conservatori) ma anche i premi, con la Palma d'Oro a Cannes.
Con questo "Capitalism a Love Story", il regista di Flint, si cimenta con uno dei "dogmi" della politica statunitense, ovvero il credo economico, fedele, nel sistema capitalista.
Il film, uscito nelle sale un anno fa quasi, (30 ottobre 2009 in Italia), ripercorre, il "feeling" tra la più grande potenza mondiale, gli Stati Uniti e il "credo" capitalista, dagli anni del "baby boom", fino agli anni 70 dell'era Nixon, agli 80 di una "guerra fredda" d'immagine con l'URSS, fino ad arrivare all'oggi e alla crisi, del 2008 dei celebri mutui "sub prime".
Moore ci illustra, attraverso il suo stile, come al solito accattivante e pieno di ritmi incalzanti, il tutto mischiato ad una sottile ironia, come sia possibile, nel dorato mondo statunitense, scoprire e stupirsi per l'impensabile.
Si scopre un paese, lontano dalle metropoli e dalle colline dei ricchi, in cui in una sorta di buco nero sistemico, sparisce il tanto decantato "sogno americano", "l'american way of life", colonna portante dell'immaginifica idea che il resto del mondo ha, degli USA.
Povertà, violenza, degrado, emarginazione, mancanza di ammortizzatori sociali, imbarbarimento umano.
Questo il prezzo, per la duplice faccia della medaglia del modello capitalista, da un lato il mondo scintillante degli attori e dei plurimiliardari, da un lato, il precipizio di un esercito di emearginati, una voragine a cui, oggi, si avvicina pericolosamente quella classe media, fiore all'occhiello del modello del benessere, un modello in cui, la prima regola è il consumo e il proprio tenore di vita, il proprio diritto a "consumare".
Si scopre allora che le bolle economiche, la guerra, il credito facile ai meno abbienti e la finanziarizzazione dell'economia, sono tutte conseguente di un solo "grande disegno", un percorso che ha fagocitato se stesso, attraverso dell'emissione di prodotti finanziari ad alto rischio, che sono talmente complessi, da non poter essere spiegati nemmeno dalle migliori menti delle più prestigiose università mondiali.
Un sistema su cui, il paese natio di Moore è fondato, un sistema che ci ricorda il regista, è frutto quasi sempre di manipolazione, propaganda, uso della forza militare per fini geopolitici, corruzione, morte.
Unico vaccino contro questo "male oscuro", contro questo virus che ha mandato in cancrena l'economia mondiale?
La democrazia.
Se non fosse americano, il regista userebbe , per concludere, probabilmente un altro termine, userebbe cioè la parola, socialismo.
In questa parola, indirettamente presente nel film, tra un immagine e l'altra, come una comparazione mai affronatata, tutti i pregi (tanti) e qualche limite della pellicola del bravo regista statunitense.
Una visione vecchia di un anno, ma dolorosamente attuale, assolutamente da vedere per chi avesse ancora qualche dubbio su come, il neo liberismo sia il principale artefice della crisi economica e culturale che oggi flagella il nostro pianeta e la più grande potenza mondiale.

Qui il trailer italiano.

lunedì 20 settembre 2010

Se Veltroni aiuta Berlusconi. Storie di un PD in crisi.

Ci risiamo.
Sembra un segno del destino, un legame astrale dei più potenti, una costante del fato, quando il primo è in difficoltà, il secondo, arriva in aiuto.
Questa volta Walter Veltroni, l'ha fatta davvero grossa.
Non contento di aver riabilitato "l'avversario", Berlusconi, già in tempi sospetti, causando la indiretta caduta del governo Prodi 2, dove si "premurò" di colloquiare - con una avversario emarginato e accerchiato dalle critiche dei suoi ex alleati (Casini e Fini) - di legge elettorale, riesumandolo da una precoce sconfitta; fino al disastro della caduta di governo, avvenuta anche grazie ad una stupida accellerazione sulla nascita del Partito Democratico; oggi il nostro affezionatissimo Walter, lancia un altro appiglio al traballante Cavaliere di Arcore.
Se infatti, non si placano le voci su un rimpasto della maggioranza, su elezioni anticipate nel Pdl, tra un colpo basso e l'altro, in un teatrino in cui da mesi sono protagonisti Fini, Berlusconi e i giornali di quest'ultimo, nel centro-sinistra, le cose non vanno certo meglio.
Proprio il fondatore del PD stesso, il suo più convinto estimatore, pare oggi, intenzionato a creare una frattura politica che sarà difficile da rimarginare e che pare frutto delle solite lotte intestine tra correnti del partito.
L'elezione a segretario di Bersani, si sa, non è stata vista di buon occhio da Veltroni, perchè quest'ultimo è visto (non a torto) come delfino di D'Alema che in un primo momento era rimasto ai margini del partito, causa scandalo intercettazioni e ora è tornato, seppur indirettamente, a riprenderselo.
L'empasse politico del PD è stato scosso in questi mesi proprio da Berlusconi stesso, che sembra aver nuovemente messo in subbuglio uno scenario politico apparentemente piatto per il PD fino al 2013.
Il rischio di elezioni anticipate infatti, ha stravolto i piani della dirigenza Democratica, causando una serie di proposte una in contrasto con l'altra, riguardo la soluzione politica da adottare come "tattica" nel caso di elezioni a marzo.
La concorrenza esterna di Vendola, la corsa al sistema "ultrademocratico" delle primarie di coalizione (o di partito?) e la proposta antitetica di un "Nuovo Ulivo" dello stesso Bersani, esteso anche alla sinistra radicale, per riformare la legge elettorale, ha causato più di un problema e più di una posizione interna la partito.
Veltroni, come in passato aveva già fatto Rutelli, non è da meno, ma il colpo è di quelli duri, a tal punto, che è lecito chiedersi dove miri esattamente Veltroni stesso, tanto è vicino il limite dell'autolesione.
La proposta dell'ex segretario infatti, nasce dalle firme di una settantina di fedelissimi che si sono aggregati intorno ad esso nel tentativo di creare un nuovo "gruppo" in parlamento.
Dopo i "Finiani", avremo anche uno spazio per i "Veltroniani" nell'arco parlamentare dunque?
Pare sempre più probabile, nonostante gli appelli accorati di rinunciare a tale eventualità, dalle pagine dei giornali, di alcuni dei leaders del PD, da D'Alema su l'Unità a Letta, ieri su, Repubblica.
Oggi Veltroni risponde e rimanda al mittente, proprio dallo stesso giornale, le accuse nei suoi confronti, affermando, che all'interno del documento, "non vi è un solo attacco al nuovo segretario" e quindi non c'è nessun intento distruttivo.
Nel documento si legge come, la fase bipolare e bipartitica della politica italiana non sia la principale causa del consenso del centro-destra e di come, si debba insistere su questo punto e su questa strategia al contrario per esempio, di soluzioni diverse (larghe alleanze) paventate da Bersani.
Eppure, il nuovo "Movimento" di Veltroni, appoggiato tra l'altro da Fioroni e Gentiloni, suscita più di un dubbio e già si aprono scenari che alcune delle lingue più velenose, interne al PD, vedono il documento come un excamotage una ricerca ad una candidatura per le primarie.
Primarie che nonostante i programmi, aleggiano da tempo sul PD e su una coalizione che non esiste ancora, il primo ad invocarle fu in estate Vendola, seguito a ruota da Chiamparino.
Quello che è certo è che non dovrebbero (almeno da statuto) esserci primarie interne al PD, dato che di norma, l'unico candidato, sarebbe obbligatoriamente (per il PD) Bersani.
Ecco che qui nascono i problemi.
Bersani non rappresenta ampiamente tutto il partito e moti tumultuosi tra diverse fazioni, lo confermano, impietosamente.
Intanto, manca quello che sarebbe in questo momento fondamentale nell'affrontare questa fase politica, un progetto serio di contrasto a Berlusconi, che nonostante le difficoltà, galleggia ancora sui propri avversari.
Veltroni stesso denuncia questa "falla" di programmi ed idee, i sondaggi (per quel che servono) danno in caduta libera il PD e raffrontati al 2008, il Partito Democratico scende ad un preoccupante 24% di consensi.
Concetto rimarcato proprio nel documento dei "Veltroniani".
Quel che è sicuro però, è che sarà molto difficile, che una base militante sempre più scorata e delusa, veda, in questo nuovo "scarto" di Veltroni, una linfa nuova per il partito.
La sensazione, spiacevole, porta a pensare che invece tra la base, questa scelta, sarà vissuta come l'ennesimo autogol dell'ex sindaco di Roma, un aiuto indiretto di cui, Silvio Berlusconi non avrebbe bisogno.

sabato 11 settembre 2010

Fidel si è pentito. O forse no?

La notizia è di quelle che fanno sobbalzare sulla sedia, ed è stata riportata ieri da un ampio numero di testate giornalistiche di tutto il mondo.
Anche Fidel Castro, ammette che "il comunismo ha fallito anche a Cuba".
L'impatto mediatico viene subito enfatizzato da titoli e strilli che senza mezzi termini, danno risalto alla notizia, del "grande pentimento"dello "stalinista" Castro.
In Italia poi, dove non si perde mai l'occasione di ricordare come il comunismo sia un retaggio del secolo scorso, di come sia "già morto e sepolto", addirittura, la notizia, invece che essere confinata nel "folklore mediatico" subisce ampio risalto, arrivando fino alle copertine dei giornali, tra foto, "occhielli" e rimandi, l'uno più vistoso dell'altro.
Dalla Stampa, a Libero, da il Giornale, fino a La Nazione (che addirittura mette una gigantesca foto di Fidel con la scritta "il grande pentito"), tutti fanno a gara, nell'esercizio di demolizione, di ciò - il comunismo -  che dovrebbe (almeno per certi giornali di stampo conservatore) essere ormai archiviato nei fascicoli della Storia.
Tutto nasce da un "fuori intervista" tra Fidel e il giornalista americano Jeffrey Goldberg del mensile di Boston "Atlantic" che, durante il colloquio con il "leader maximo", si è sorpreso nel momento in cui l'interprete ha confermato questa frase:  "il modello cubano non funziona più neanche per noi", un'indiretta apertura all'economia privata a Cuba, sulla scia di alcune riforme, paventate mesi fa dal fratello Raul.
Una dichiarazione che ha suscitato scalpore, oltre misura, rispetto al valore vero e proprio delle parole dette dal leader cubano, che di per se, suscitano certo stupore e risalto mediatico, ma non sono certo un'ammissione di sconfitta ne un pentimento.
Ebbene, da questa dichiarazione si è sancito, per un giorno, il definitivo declino del socialismo sulle pagine di tutto il mondo.
La domanda è, ma il socialismo, non era già morto e sepolto?
Per quale motivo, quindi, dare risalto ad una notizia di secondo piano?
Viene qualche dubbio.
Sopratutto se si guardano le tendenze politiche di certi giornali che hanno riportato la notizia che sono tutti di stampo neo-con, proprio loro quindi dovrebbero aver metabolizzato certi concetti, proprio perchè, al "grande sogno" non ci hanno mai creduto.
Invece, danno ampio risalto eccome, alla "fine del comunismo", con varie sbracature gionalistiche e cadute di stile, oltre che a perentori giudizi (De Carlo, sulla Nazione di Firenze ad es.) in cui si dice che finalmente anche Castro si accorge di come, un'ideologia egualitaria, porti solo "ad un'appiattimento verso la povertà".
In fondo sì, "a Cuba c'è l'assistenza sanitaria (gratuita ndr), ma la popolazione vive con soli 15 euro al mese!"
Insomma, il comunismo, sotto la coltre romantica, può solo nascondere la povertà diffusa e la restrizione dei diritti individuali.
Niente di nuovo, dunque, per i detrattori del socialismo, fan di Adam Smith e Milton Friedman e fautori del "lassez faire" in economia;  perchè allora scaldarsi tanto?
Poniamoci la domanda.
Forse perchè in quell'unico sistema economico globalizzato, che oggi domina il mercato mondiale, Cuba è ancora un esempio nonchè una guida per l'ex "cortile di casa" dell'America Latina, dove gli USA non la fanno più da padrone?
O forse perchè, nonostante la vittoria del capitalismo, del "pensiero unico",  la povertà (leggi crisi economica mondiale), la guerra, la mancanza di libertà e diritti esistono ancora?
Non avranno paura i nostri, che di questi tempi, possa tornare di moda un sentimento critico antagonista, contro un sistema che, finalmente libero dalle catene del welfare assistenzialista, non ha migliorato, ma anzi ha sensibilmente peggiorato la vita delle persone?
Le critiche, ormai cicliche, contro la Cuba di Castro, si fanno spazio nei media sempre più spesso, eppure, nel mondo c'è molto di peggio, tra i "fedelissimi" degli USA.
Come dimenticare il disastrato Messico ormai alla mercè di bande di criminali della droga, o la Colombia, del macellaio Uribe che governa attraverso un sistema polizesco di repressione da far invidia all'Argentina di Varela e al Cile di Pinochet?
Lì, i nostri paladini dell'informazione libera, quasi tutti a libro paga del Presidente del Consiglio con più conflitti d'interessi nel mondo, tacciono.
Così come tacciono rispetto a quanto di buono c'è, nella gestione "comune" e pubblica dei bisogni primari nello stato cubano, di come funzioni la sanità pubblica, di come Cuba, nel mondo sia "la risorsa" (alcuni dati, sulla sanità cubana qui) per milioni di indigenti, anche statunitensi, che possono studiare, curarsi, grazie agli scambi tra Cuba e l'esterno.
Così come tacciono, ancora, i nostri, su una forma preventiva di contrasto a Cuba, attraverso l'embargo economico, che contro il paese caraibico resiste dal 1962.
Altra "mitologia" da sfatare, quella che vorrebbe Cuba, come un paese in cui, con la nazionalizzazione delle principali risorse dopo la rivoluzione del '59, non ci sia stata più nessuna possibilità di consumo "libero".
Si leggano i dati per cui, a Cuba, prima dell'embargo, si acquistano eccome, prodotti di consumo proprio dagli USA stessi, grazie al rialzo dei salari post rivoluzione; consumi che poi, sono drasticamente calati, dal 1962, con l'attuazione appunto del blocco economico.
La Cuba affamata da Fidel Castro quindi, non esiste, sarebbe meritorio almeno domandarsi, se l'indigenza ( o meglio l'appiattimento economico) non sia una concausa di un veto economico così pesante, ora ancora più duro senza gli aiuti dell'URSS dalla caduta del muro in poi.
Sarebbe lecito domandarsi anche perchè, il "moderno" Obama, nonostante tanti proclami lasci finanziare ancora dal governo i programmi federali della CIA, contro lo stato castrista e non conceda finalmente un libero scambio tra  Cuba e l'esterno.
Nel frattempo, oggi, arriva puntuale la smentita alle dichiarazioni di ieri, da parte di Castro, "parole male" interpretate".
Le congetture per adesso sono rimandate al "prossimo caso" sulla Cuba del "dittatore" Fidel Castro.
Rimane nell'aria la domanda,  che è questa, - possibile che un paese così piccolo,  da poter relegare quasi ad un nostalgico caso storico, retaggio del secolo passato susciti ancora così tanto  interesse e così tanto "livore"-  e perchè?
Probabilmente, perchè, nel bene o nel male, Cuba rimane un esempio di come ci possa essere un'altra strada, seppur impervia e contraddittoria, da proporre in prospettiva, in contrasto,  all'idea, ormai in crisi, di un "pensiero unico" che vede nel capitalismo  il solo approdo possibile per il futuro dell'umanità.

mercoledì 25 agosto 2010

Veltroni sul CorSera. La sera dei morti viventi.

A volte ritornano, sopratutto se sono politici e italiani.
Ed ecco che dalle pagine del Corriere della Sera del 24 agosto, attraverso una lettera, il buon Walter, "scende di nuovo in campo" al fianco del "suo" paese.
O almeno così lui vuole farci intendere.
Si rimane perplessi però, almeno dagli "indirizzari" di tale lettera, che come spesso accade, sono questi disastrati trentenni di cui anchi, malaguratamente faccio parte.
Difficile non sentirsi allora presi in causa, ma sopratutto, punti sul vivo.
Mi domando, dunque, proprio lui dovrebbe scrivere a me che "a metà della vita non ho ancora un futuro"?
Lui che senza una laurea si è trovato a dirigere L'Unità, lui figlio di un dirigente Rai e nipote dell'ambasciatore sloveno presso il Vaticano, lui consigliere comunale a 21 anni a Roma (do you remember Trota?) parla alla "mia generazione" di futuro?
Veltroni dopo un testo così fuga tutti i dubbi, di sinistra, non lo è mai stato.
Proprio per la sua estrazione sociale che forse, gli ha impedito, da sempre un vero confronto con i ceti popolari, visti sempre, evidentemente se si segue il tono della lettera, con un "pauperismo politico" di stampo tipicamente borghese.
La scelta del Corriere come giornale per pubblicare la lettera non è casuale.
In mezzo alle fumose metafore del testo, l'unica cosa che si evince è il suo solito difetto, la mancanza di mordente, di contatto con la realtà, con il mondo reale, lui da sempre "figlio dell'intellighentia" borghese.
Ed ecco che allora l'Italia "schifosa", "mafiosa", quella piena di -"dossier, colpi bassi, una orrenda aria putrida di ricatti e intimidazioni " - è quella degli altri...
Peccato caro Walter, tu abbia contribuito fortemente a costruirla, parlando a tempo debito (2008) con Berlusconi riguardo la legge elettorale e riabilitandolo quando invece era già "morto" politicamente ( mi rifersico ai contrasti del tempo con Casini e con lo stesso Fini), accellerando la nascita del PD, con conseguente caduta del secondo governo Prodi, intrallazzando con gli imprenditori amici...e infatti ora si dipanano le nebbie sul Piano Regolatore di Roma ai tempi di Veltroni sindaco che ci fanno vedere come anche il "centro sinistra", tra "capitani coraggiosi" e scalate bancarie, o con il "Sacco di Roma" (così ribattezzato il piano regolatore veltroniano dai giornalisti), non sia esente da i mali della politca.
Quei mali a cui, lui, pare non appartenere.
Parla di democrazia e di primare, peccato che i nomi delle primarie vengano comunque decisi a tavolino dai partiti...in maniera del tutto antidemocratica.
Dulcis in fundo, ci espone i padri della democrazia italiana, da lui mascherati tra quelli che sono stati a Palazzo Chigi, sicuro così di non beccare un comunista nemmeno per sbaglio...
Cita i "Parri, De Gasperi, Moro, Ciampi, Prodi", dimenticando come, la democrazia, prima di poter essere "esercitata" vada anche costruita, farebbe bene quindi il nostro a citare anche i padri della Costituzione Italiana, quando si arrischia a declinare il concetto (assai labile) di democrazia.
La rimozione, nel caso ce ne fosse ancora bisogno è completa e indelebile e assume le caratteristiche di una deriva, moderata, sempre più a destra.
Qualcuno gli spiegherà, forse che a parte la sinistra extraparlamentare, di partiti di "destra" ne è piena la politica italiana, compresi PD e IDV e forse per il "cambiamento" occorre ogni tanto anche "cambiare" rotta, andando in direzione contraria.
Ma da uno che ha doppiato "Chicken Little", cosa ci si può aspettare?

giovedì 22 luglio 2010

Se cane mangia cane…

In risposta a Ida Dominijanni sul Manifesto del 20/07/10

Sono francamente sconcertato dall’articolo di Ida Dominijanni di martedì 20 luglio sul Manifesto.
Non tanto per le posizioni che essa, nel suo articolo espone che come al solito sono opposte alle mie.
Rimango perplesso su come, ormai, ci sia una tendenza ad introiettare il modo di fare politica dell’avversario senza opporvi nessuna resistenza mentale, ne alcuna riflessione profonda.
Non mi aspetterei tutto ciò da chi per sua natura ha nel proprio “dna giornalistico” il sano "germe" della critica.
Nell’articolo infatti, non si legge nessuna ambiguità, nessun interrogativo, di fronte all’operazione politica che in questi giorni, il governatore Vendola ha lanciato, con la sua candidatura a leader del “centrosinistra” per le prossime elezioni politiche del 2013.
Le stesse critiche, che nel 2008, ho sentito lanciare riguardo Bertinotti e il “bertinottismo”, sulle scorciatoie politiche pre e post “Arcobaleno” e su certi metodi “verticistici” di fare politica, vengono ora taciute di fronte ad una delle svolte più personalistiche che la politica italiana ricordi dai tempi della prima “discesa in campo”  di Berlusconi in poi.
Mai che intervenga un dubbio, mai che vi sia una perplessità nel ragionamento della Dominijanni sul “delfino” di Bertinotti, Nichi Vendola; ciò che non andava bene per il primo pare invece, sia addirittura salvifico nel secondo.
La Dominijanni, in un articolo davvero acritico e  palesemente sbilanciato nei confronti di “Nichi”, si arrischia pure a vedere nel sistema proporzionale l’unico modo possibile per fermare ciò che pare destinato per volontà superiore alla vittoria, un sistema elettorale che “spersonalizzerebbe la competizione”, contro “l’uomo politico più vecchio d’Occidente.
Improvvisamente il sistema elettorale proporzionale, diventa ben peggiore della “porcata” Calderoli, se serve a bloccare il “ciclone Nichi”.
Un ciclone che parte “dal basso”, con un progetto politico “nuovo”, oltre i vecchi partiti “paludati”, che accentra sulla persona del governatore pugliese tutta l’attenzione, lui da solo, contro la “nomenklatura della vecchia politica”, tra slogan emozionali quanto generici, molto simili alla comunicazione pubblicitaria.
Rimane davvero difficile non vedere, in questa operazione del governatore pugliese, pericolose similitudini con l’avversario politico, lo stesso Vendola, indirettamente svela quest’aspetto quando parla di battere un uomo ormai troppo vecchio “vittima del suo sistema”, un sistema che evidentemente è stato interiorizzato da Vendola stesso, che con queste parole pare , parli più di una “successione” all’avversario che di una “sconfitta” dello stesso.
Insomma il “berlusconismo” ha intriso l’Italia a tal punto che non si può far a meno delle sue meccaniche per battere “l’originale”, che non può che essere battuto da una figura capace di prenderne il posto e quindi di incarnarne alcuni aspetti, “Canis canem edit”, direbbero i latini.
Di ciò non si avvede la Dominijanni, o perlomeno non fa menzione nel suo articolo forse anch’essa sedotta dal “Desiderio”, che si  sa, “quando parte può arrivare dove vuole”, ma proprio perché prodotto da un impulso irrazionale, non ha certo in dote il dono dell’obbiettività.

lunedì 12 luglio 2010

Se il PD si dimentica Pomigliano.

Nella storia travagliata, del nostro paese, ci sono sempre stati momenti cruciali che come dei veri e propri guadi hanno imposto una decisa svolta all’andamento della politica istituzionale, ad una sua eventuale trasformazione, capace d’incidere poi anche nelle prospettive concrete della società italiana.
Nell’ambito del mondo del lavoro, soprattutto quello di stampo industriale e in particolare attraverso le lotte del movimento operaio, si sono spesso misurati i livelli, non solo dei diritti lavorativi, ma anche di democrazia, di autonomia individuale del lavoratore/persona, che grazie alle lotte avvenute sulla scia degli anni del cosiddetto “miracolo economico”, diveniva non più mero elemento di un ingranaggio produttivo di cui esso solo marginalmente faceva parte,  ma al contrario soggetto attivo e propositivo, capace attraverso i gruppi sindacali e un’organizzazione movimentistica coesa, d’incidere nel mercato del lavoro e nei piani di sviluppo non solo delle grandi aziende private, ma anche degli stessi governi nazionali.
Furono proprio queste lotte sindacali, fondate sulla Costituzione Italiana e in particolare sull’art. 41 di quest’ultima (articolo non a caso in questi ultimi tempi sotto le mire del ministro Tremonti) a permettere ad una massa di persone, spesso prive di una cultura scolastica di medio livello, ma comunque edotte dai partiti della sinistra ai propri diritti individuali; di portare avanti battaglie impensabili per l’avanzamento delle classi “subalterne”, finalmente padrone della propria vita e non più semplici “moltitudini di proletari fanciulli”, sempre “in una situazione di eterna dipendenza” rispetto al loro lavoro.
L’Italia che lavorava, degli operai, degli impiegati; con le lotte dei primi anni ‘60, diventava dunque “maggiorenne”, prendeva cioè coscienza dei propri diritti individuali, al punto tale che questa autodeterminazione riuscì addirittura, negli anni successivi a travalicare i confini dell’ambito del lavoro e ad invadere quelli della società civile, con le battaglie vinte, sui temi dell’aborto e del divorzio.
Una trasformazione che non poteva che legarsi a doppio filo con la politica dei partiti, in particolare con quella del PCI che seppur non esente da errori, era riuscito in quegli anni se non a condizionare, almeno ad organizzare e a dare la giusta sponda a quelle lotte.
Lotte che ci hanno portato in dote lo Statuto dei Lavoratori, una forza sindacale confederativa tra le più forti e avanzate d’Europa, la possibilità concreta per milioni di persone di programmare e dare prospettiva alle proprie vite attraverso l’acquisto di beni primari quali la casa, la possibilità di condividere la scuola pubblica con le altre classi sociali, una scuola non più riservata alle classi dirigenti e quindi solo ad una stretta cerchia d’elitaria di persone, ma a tutti, seppur all’interno di un sistema gerarchico ancorato a vecchi programmi.
La crisi dei mercati e le politiche neo liberiste post muro di Berlino, hanno rapidamente messo in discussione quanto acquisito in termine di diritto lavorativo, di fronte all’unica forma di governo economico ormai possibile, quella capitalistica, conformizzando il pensiero economico e politico ad un unico assioma, non a caso, giustamente definito “pensiero unico”.
Un “pensiero unico”, velocemente introiettato anche dalle forze della “sinistra”, nel tentativo maldestro di prendere le distanze dalle vecchie ideologie comuniste, così pericolose perché stantie, per chi da sempre ha fatto negli ultimi 20 anni, sfoggio di “modernismo”, politico per stare “al passo dell’avversario”.
Peccato che all’interno di questa rimozione forzata, siano rimaste stritolate, masse di uomini e donne ovviamente disorientate di fronte a tali cambiamenti dei partiti politici di riferimento, che hanno avuto l’effetto di una cosmesi, un maquillage e nulla più, producendo nel nuovo solo arretramenti, dalla precarizzazione del lavoro (nel tristemente famoso, pacchetto Treu) al tentativo di mettere in connessione i vertici industriali con la base elettorale.
Ed ecco che nel Partito Democratico trovano spazio i Calearo e i Colaninno, così come ex operai della Thyssenkrup.
Un problema quindi, per il Partito Democratico tenere una posizione sola e netta di fronte ad una battaglia sindacale come quella di Pomigliano d’Arco; soprattutto se c’è di mezzo la Fiat, una posizione così incerta da mettere in imbarazzo non solo i vertici del PD, ma anche tanta parte della CGIL non legata alla Fiom, vicina appunto ai vertici del PD stesso.
Lasciare in questo momento la Fiom sola, insieme alle centinaia di persone che hanno votato no al referendum sull’accordo sindacale proposto da Marchionne, significa compiere l’ennesimo atto di vassallaggio ai poteri forti, silurando indirettamente anche una delle ultime “casematte” di diritto in Italia, quella dell’autonomia sindacale.
L’accordo infatti, tra le nebulose trame della sua scrittura, nasconde passaggi al limite di ogni democratica forma coercitiva, mettendo in discussione il diritto di sciopero, estendendo le ore di straordinario non pagate, impedendo eventuali riunioni sindacali, precarizzando ancor di più chi è già precario con misure e contratti diversi all’interno addirittura della stessa azienda.
L’intento è chiaro, è il “divide et impera” di romana memoria, un valico quello di Pomigliano, seguito con trepidante attesa dal Governo, da Confindustria e da tanta parte dell’impresa privata italiana.
Se come diceva l’avvocato Gianni Agnelli, “ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, oggi siamo ad un passaggio storico.
Pomigliano rischia di essere per i diritti sindacali nel nostro paese la breccia in un muro di una roccaforte sempre più isolata, un passaggio che aperto, sarà impossibile bloccare rispetto ad un’orda di liberalizzazioni già in procinto d’arrivare.
Ci si aspetterebbe quindi che oltre ad una presa di posizione “vicina agli operai della Fiom” come si è affrettato a dire tatticamente Bersani, “ma comunque aperta al dialogo”, ci possa essere qualcosa di più netto, un discorso perentorio, un argine contro la valanga.
Figurarsi.
C’è chi fa pure di peggio e tra la redazione di un romanzo inutile e un libro di poesie penoso, ha pure il tempo di dire che “l’accordo è duro ma inevitabile” come dice il politico “per tutte le stagioni” Walter Veltroni in una recente intervista al Corriere della Sera.
Non abbiamo dubbi sul fatto che lui di “durezza” legata “al lavoro” sia un esperto, dato che dai tempi della FGCI in poi, probabilmente, non ha mai lavorato un giorno in vita sua.
A margine di questo empasse, c’è un solo problema nodale, che è quello della collocazione politica del Partito Democratico, che perde la propria identità (ammesso che mai l’abbia avuta) di partito d’opposizione, di minimo antagonismo, di minima rappresentanza delle classi lavoratrici, ed anche su una questione di facile comprensione politica come nel caso della battaglia della Fiom a Pomigliano, si mostra nella sua pesante incertezza perenne di partito senza identità ideologica.
La crisi dei mercati mondiali ci pone di fronte ad un interrogativo ormai non più rinviabile che attende risposta e cioè come ripartire rispetto ad una crisi che non è soltanto una crisi di sovrapproduzione, ma una crisi generale e profonda di un sistema in cui il profitto è l’unico obbiettivo, un sistema pesantemente diseguale, che fagocita nella ricerca del maggior guadagno, individui, nazioni e popoli, risorse ambientali, un sistema capitalista rinnovato nelle proprie strategie di mercato, ma identico negli obbiettivi di gestione del potere alle vecchie oligarchie di metà ‘800.
Non è con l’accettazione della “teoria del male minore”, (a che pro continuare a lavorare senza nessun diritto, solo per sopravvivere? Come richiesto agli operai di Pomigliano?) con l’introiettamento delle logiche di mercato che si può risolvere e fermare la spirale della crisi economica.
Si sente quindi ancor un maggior bisogno di una forza autonoma, anticapitalista, a sinistra, che riunisca quella larga parte di persone che non vota più per disaffezione o che non si riconosce più nel progetto moderato del PD, ormai orientato ad un tipo si politica di stampo anglosassone, con minime differenze tra le politiche dei poli, dal punto di vista economico, quasi impercettibili.
Pomigliano in questo percorso è una tappa cruciale, l’appoggio alla lotta dei lavoratori e alla Fiom è indispensabile nell’ottica più generale dei diritti del lavoro, in Italia.
Rinunciare ad una presa di posizione netta, come fa il PD, rischia di essere altrimenti un errore, per la sinistra italiana tutta, esiziale ed irreversibile.

lunedì 14 giugno 2010

Se la Libertà diventa una merce.

Tra i calci di un pallone e il frastuono assordante delle "vuvusela" sudafricane, passa in questi giorni, con la stessa velocità di un pallone calciato il concetto di "libertà" nel nostro paese.
Un concetto così labile, perchè perennemente stritolato dalle polemiche, tra maggioranza e "opposizione" (doverose le virgolette..) nel solito ping pong televisivo del talk show politici in cui come al solito i fatti diventano "opinioni".
Mentre dai telegiornali infatti passano messaggi di indignazione a commento dei vari "regimi" sparsi qua e la nel globo e mentre si apre una campagna senza sosta di attacco agli "stati canaglia" come Cuba, colpevole di aver negato la grazia e la libertà d'espressione ai "dissidenti" (in realtà semplici detenuti strumentalizzati alla bisogna dalla CIA e da altri centri di potere anticastrista), tutto tace, per quanto riguarda lo spazio, sempre più esiguo, concesso alla libertà d'informazione nel nostro paese.
Qui, a margine,  una doverosa premessa; cos'è infatti, esattamente in una "democrazia" di uno Stato governato economicamente da un sistema capitalista "integrato" (dove il mercato non è necessariamente libero, non tanto per la presenza di enti pubblici statalizzati, quanto per una sorta di oligopoli nati dai vecchi enti parastatali...) il concetto di libertà?
Posso infatti, in questa "democrazia", esprimere la mia opinione, anche qui, in questo piccolo spazio web (seppur con crescenti difficolta...), posso far rimbalzare i miei discorsi sui principali social network, nazionali e internazionali e conivolgere così altre persone nella mia discussione...
Posso leggere giornali e ascoltare programmi televisivi d'informazione (sempre meno) che danno una visione opposta dei fatti rispetto a quella "canonica" del governo...
In teoria le mie libertà individuali non mi sono negate, anche se, sempre più il cerchio di esse si restringe pericolosamente...
Ma io, come individuo, sono veramente libero?
Partecipo veramente alle decisioni della collettività, all'interno della mia presunta "democrazia"?
Ho tanti partiti da poter votare, ma quale di questi, mi permette ad esempio di decidere chi candidare?
Oppure, in caso di revisione degli articoli o parti della Costituzione, come cittadino quale potere ho, io, di decidere di questo?
Posso comprare e scegliere qualsiasi cosa nell'offerta di mercato, ma non posso decidere dove indirizzare "il mercato", unico vero padrone ad oggi delle nostre vite...
Posso tesserarmi ad un sindacato, ma poi, gli accordi sindacali, sempre, sono frutto di trattative tra gruppi dirigenti, "eletti" (democraticamente, per carità, seppur spesso nell'ingenuità e nell'idiozia generale dei tesserati..) e gruppi ristretti delle forze politiche di governo.
Posso manifestare dissenso, ma non posso decidere dove cadrà "l'ascia" di una manovra economica di tagli...
Posso incatenarmi e protestare contro un progetto urbanistico che sventra l'area geografica in cui vivo, ma la decisione ultima sull'avvallo o meno di un progetto è sempre nelle mani di pochi, spesso interessati gruppi elitari di potere.
In questi giorni, il governo varerà un disegno di legge, in cui, come ben sappiamo, verrano limitate le libertà di cronaca e d'indagine non solo dei giornalisti e degli organi d'informazione, ma anche della stessa magistratura, quella stessa magistratura definita, senza eufemismi, dal Presidente del Consiglio italiano, (anch'esso democraticamente eletto..ci mancherebbe..) "politicizzata" e "catto-comunista".
I ragli della cosiddetta "opposizione" allora si alzano forti, ma paiono sempre più pantomime di ruoli assegnati dalla politica invece che convinte e sincere reazioni di sdegno.
Sì può non sorridere di Bersani che in tv alza la voce contro Tremonti, suo dirimpettaio come ministro, quando poi, in parlamento dopo le doverose schermaglie di rito ci si ritrova uniti a chiaccherare amabilmente delle "divergenti" e "opposte" opinioni, magari tra un caffè e una pacca sulla spalla?

Cito Gramsci: Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è 
meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.

Ebbene, oggi, in nome di un "modernismo economico", di un progresso politico civile, in nome del bipolarismo e della logica "dell'alternanza", (tanto cara anche questa ad una certa democrazia, "capitalista" di stampo anglo-statunitense) oltre le ideologie e i retaggi novecenteschi, molti politici, fanno spesso, questo "saggio" esercizio, si mettono cioè, facilmente nei "panni dell'avversario".
Così tanto, se me lo concedete, da assomigliarvi pericolosamente.
Proprio in momenti come questi, vengono fuori termini e parole tanto cari al capitalismo e al libero mercato, si parla allora di "responsabilità economica", "confronto", "collaborazione tra i poli", o anche "riforme", "rilancio", "tagli" sempre dolorosi ma necessari, per far "ripartire l'economia", sempre ostaggio "di regole chilometriche", come quelle contenute nell'art. 41 della Costituzione italiana, si affretta a dire Tremonti dal convegno del sindacato cattolico della CISL.
Ed ecco che anche serie di affermazioni così ovvie, perchè così intrise di libertà e quindi anche di "controllo della giustizia" può dar fastidio al buon Tremonti.
Leggiamo allora quest'abominio, retaggio della "Costistuzione sovietica", eccolo: 


Art. 41
  
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali

Il capitalismo, dunque, non vuole ne "utilità sociale", ne "sicurezza", ma solo, "sicurezza dell'utile".
Tutto ciò che si frappone a ciò, sia pure la Legge, è iniquo e pericoloso.
Il concetto di Libertà quindi, qui è ribaltato, non è più libertà di espressione, di vita, ma libertà di poter fare ciò che si vuole, indipendentemente dal fatto che ciò leda, la "libertà altrui".
L'Art 41, così come la "libertà" dei magistrati di intercettare chicchessia sono due concetti di "libertà" che poco piacciono al capitalismo e ai loro "gestori politici", come Tremonti.
La "libertà" che piace a certi politici, non solo entro i nostri confini nazionali, ma in tutto il mondo, del "pensiero unico", un mondo, dominato da organizzazioni come il FMI (vero organo di potere trans nazionale) è solo una, quella della "deregulation" economica.
La mia, la vostra "libertà" si riduce quindi ad un mero "recinto", in cui "vivere", da bravi consumatori, liberi, liberissimi, di fare una cosa sola, di consumare, spendere, finchè la "legge della giungla" del "capiatlismo selvaggio" non c'incontra e ci colpisce, attraverso una crisi economica, un esubero aziendale, un fallimento.
Una sorta di mondo parallelo, quello del consumo, in cui pascolare "liberamente", ignari e tranquilli di quello che ci passa sulla testa, sia pure la nostra, vera e reale, "libertà", il nostro diritto di uomini di "essere liberi". un concetto  sempre più astratto e relegato a qualche bella ma inutile definizione di epoca illuminista.
Intanto per i più attenti, prosegue l'avanspettacolo della politica parlamentare e mentre Bersani, (in teoria il leader del maggior partito d'opposizione al governo) si affretta a precisare che - "su una cosa di questo genere non si sognino neanche di non dare i tempi per la discussione, perché veramente saremo oltre il limite" - sfugge l'unico pensiero sensato, ovvero che, su certe cose, caro Bersani, nemmeno si dovrebbe discutere.
Impossibile oggi fare anche solo certe affermazioni, o immaginare un altro "Aventino", si rischia di essere tacciati di "socialismo" o peggio di "comunismo".
Per un ex- PCI, si sa, Veltroni insegna, non c'è niente di peggio.
Perchè urlare allora, molto meglio accendere il televisore (che siamo liberi di comprare, sempre più grande), assorbire noiosamente le solite pillole di informazione (libera) magari su uno dei canali del Presidente del Consiglio (libero di avere più di un canale televisivo, come in tutte le democrazie che si rispettino) e ascoltare, pardon, ricevere una parte delle informazioni che i giornalisti (liberi anch'essi di dire la parte "libera" della libertà di informazione) ci trasmettono.
Non male, in fondo poi, tra qualche minuto c'è la partita della Nazionale di calcio, domani, gli italiani, avranno qualcos'altro di cui parlare.
Liberamente s'intende, mica siamo in Cina...



giovedì 29 aprile 2010

Consigli per gli acquisti. Il Sarto di Ulm.


Anche questa volta, per la rubrica "Consigli per gli acquisti", il consiglio, rimane in ambito letterario, con la promessa dalle prossime volte di un maggiore spazio anche alle altre forme di comunicazione.
Non potevo però, ignorare il testo in questione, che ho avuto occasione di conoscere, alla presentazione insieme all'autore, Lucio Magri, a Firenze, presso la sede dell'ARCI in piazza Ciompi.
Il libro che riprende il titolo da un'episodio in cui il dirigente PCI Pietro Ingrao, rispose ad una domanda dalla platea, di un'assemblea di partito in cui si discuteva di cambiare nome al PCI e se non fosse il caso, dopo gli eventi storici accaduti, di continuare a chiamarsi e credere alla parola comunismo.
Ingrao, rispose citando un'opera di poche righe di B.Brecht in cui si racconta di un sarto, che fissato con l'idea del volo, un giorno, convinto di essere arrivato alla soluzione, si gettò dalla cattedrale della città finendo morto, tra la derisione generale e dell'autorità religiosa cittadina, il vescovo.
Ingrao, aggiunse subito dopo che però, "un giorno effettivamente l'uomo è riuscito a volare".
In sintesi estrema, c'è un tempo per ogni cosa, così anche per tutto ciò che può attualmente sembrare impossibile.
Magri in questo libro interessantissimo e dalla prosa ben articolata, dal lessico forbito, ci descrive punto per punto la crono-storia, non soltanto del PCI, ma del comunismo italiano ed europeo, facendo un lavoro di ricostruzione e anche di riflessione riguardo i punti nodali, più importanti di ogni fase storica.
Quello che personalmente più mi ha colpito, è il processo inverso che attraversa le righe del testo; un processo in controtendenza a quanto, dal 1989, si è abituati a sentire e leggere sul comunismo.
Non c'è qui frettolosa archiviazione di alcunchè, ne tantomeno nessuna scorciatoia storica di facile opinione, ma anzi ogni processo e personaggio sia il Togliatti della svolta a Salerno, o Stalin riguardo le fasi fondamentali della seconda guerra mondiale, dal patto Ribbentrop-Molotov, allo scontro con i nazisti sul fronte orientale, è presentato con la giusta lucida visione di chi, da sempre militante e critico a sinistra, può permettersi di analizzare, senza falso pudore, alcune tematiche che ancora oggi rappresentano delle falle, dei tabù, per quella tanta parte politica ex PCI in Italia e d ex comunista nel mondo.
Magri è lucido, nell'affrontare i passaggi più scomodi senza cedere, dall'alto della sua età (probabilmente può permetterselo), alla tentazione di rimuovere tutto ciò che è oggi oggetto di una messa "all'indice", spesso proprio da sinistra. Proprio questo lavoro critico risulta di grande spessore a mio avviso e ci dimostra come ci sia un gap enorme tra i vecchi quadri del Partito Comunista Italiano e gli attuali dirigenti politici della "sinistra" italiana, sopratutto del Partito Democratico, incapaci anche culturalmente di una riflessione seria sull'eredità lasciata dal più "grande partito comunista d'occidente".
Nessun mea culpa, distoglie Magri dall'obbiettivo di una ricostruzione obbiettiva, seppur personale, della parabola del PCI, un partito fondamentale non solo per l'avanzamento dei diritti nel nostro paese, ma baluardo e spesso ago della bilancia nel conflitto USA/URSS, prima e dopo le fasi più critiche della guerra fredda.
Si riconoscono i giusti meriti e demeriti ad una dirigenza che ha affrontato i guadi più duri del 900, la cosa poi ha maggior valore se si pensa alla posizione critica di Magri, uno dei fondatori della corrente del Manifesto, espulso dal partito per poi solo in seguito, esserne successivamente riabilitato, quando con il proprio partito, il PdUP confluì nel 1984 nel PCI.
Magri ha la capacità di vedere e presentare alcuni "snodi" politici, al lettore, inducendo una riflessione sugli "scenari possibili" non attuati per via di scelte diverse.
Una su tutti, la cosiddetta "terza via", quella "corrente" (improprio definirla così) che agli sgoccioli della trasformazione del PCI in PDS, non ebbe, sopratutto per colpa di Ingrao (che all'ultimo non sostenne la linea di Magri) la capacità di mettere in minoranza la mozione di Occhetto ne tantomeno di dare un respiro maggiore alle posizioni critiche, ma asfittiche e vetero, di Cossutta, lasciando il partito ad una dolorosa spaccatura, tra chi aderì  al PDS e chi successivamente fondò il PRC.
Guardando la situazione della politica italiana odierna non si può essere almeno parzialmente coinvolti da quanto ci propone Magri, così come non si può in tutta onestà dire che, la rimozione del comunismo, in favore di svolte social-democratiche e riformiste moderate, abbia portato in dote chissà quali risultati, anzi, l'arretramento pare piuttosto chiaro.
Se come pare, una parte della dirigenza PD, è sedotta e possibilista riguardo un'imbarco o una trattativa con il dissidente PDL Gianfranco Fini, spostando l'asse della politica italiana ancora più a destra, in una deriva liberale sempre più estrema, questo libro potrà essere strumento utile a tutti coloro che non se la sentono di adagiarsi ancora sull'unico monotematico diktat del pensiero "unico".
Un pensiero "unico", che, ormai non prevede più vocaboli come "socialismo e comunismo", relegati a termini enciclopedici di eventi storici ormai passati.
A tutti coloro che credono che Marx sia quanto mai attuale, che si sentono orfani del PCI, ma sopratutto che credono ancora di "poter volare", consiglio caldamente questo libro.
A Magri il compito di analizzare (aldilà delle critiche di chi, dice che come al solito, Magri, si guardi bene dal dare una soluzione al problema, non credo sia compito suo), a noi il compito di ripartire da qui, con una riflessione seria su ciò che ancora oggi magari anche sotto altre spoglie può essere individuato e chiamato "comunismo".

lunedì 26 aprile 2010

Il Salto nel Buio. Appello per la difesa della Costituzione.

Ricevo e pubblico con piacere quest'appello, scritto da un amico, rivolto a tutte le forze democratiche della sinistra e dell'opposizione al governo Berlusconi e pubblicato ieri, 25 aprile 2010 sui quotidiani Liberazione e il Manifesto.
Con la speranza che possa trovare la più ampia collaborazione e diffusione. 
 
 
“Il salto nel buio”

APPELLO PER LA SALVEZZA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E DELLO STATO DEMOCRATICO NATI DALL’ANTIFASCISMO E DALLA LOTTA DI LIBERAZIONE
E CHIAMATA A TUTTI I CITTADINI, ALLE FORZE POLITICHE E SOCIALI, DEMOCRATICHE E DELLA SINISTRA, AD UN RINNOVATO PATTO PER LA SUA DIFESA E ATTUAZIONE

Stiamo per entrare dentro l’ennesima, torbida, fase di attacco alla Costituzione democratica e antifascista. Ma, a differenza  delle precedenti fasi, in particolare dell’ultima, a cavallo tra il 2004 e il 2006 (qualcuno ricorderà i famosi “saggi di Lorenzago” dove i “nuovi “padri Costituenti” della destra progettarono il cambiamento della Costituzione), l’attuale ha al suo interno molti maggiori elementi di pericolosità.
In primo luogo per la dispersione, da oltre 2 anni, di quell’ampio schieramento democratico e progressista che si era aggiudicato tutte le consultazioni elettorali, amministrative e politiche, succedutesi nell’arco temporale 2002-2006 (sebbene d’un soffio le politiche del 2006) e, soprattutto aveva vinto, nettamente, il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006.
E lì parve che la sconfitta della destra fosse avvenuta anche nella società, uscita provata e ulteriormente impoverita dall’illusionismo berlusconiano, ma ahimé, i fatti immediatamente successivi s’incaricarono di dimostrare che così non era. E in effetti, al contrario di quanto molti di noi pensavano o auspicavano che venisse posto in essere da parte dello schieramento progressista, cioè la valorizzazione e il consolidamento, politico e culturale, dell’eccezionale risultato referendario, e quindi la riaffermazione della Costituzione, venne imboccata, subito e scelleratamente tutt’altra strada: il rilancio nel campo della destra del tema delle “riforme” costituzionali”!
Così facendo si dimostrava chiaramente – qualora non ci se ne fosse ancora adeguatamente convinti nel corso del tormentato quindicennio 1994-2008 – che gran parte delle nostre “classi dirigenti”, di fatto, avevano oramai assunto, nel profondo, assieme alle “coordinate” economico-sociali proprie della destra (il liberismo economico, l’assunzione, irriflessa e irrazionale, del tema del razzismo e conseguenti politiche securitarie…), anche la relativa e connessa “ideologia istituzionale” (accentuazione del momento decisorio di vertice – presidenzialismo nelle sue varie versioni, ridimensionamento della funzione delle assemblee elettive, centrali ma anche locali, dai propri compiti legislativo e di controllo, trasformazione radicale di quelle particolari associazioni di cittadini - i partiti politici, così come previsti dalla Costituzione all’art.49, che per tutta una lunga fase repubblicana avevano svolto un’importante funzione pedagogica per larghi strati della popolazione, quella “scuola gratuita di massa” secondo l’efficace definizione di Lelio Basso; il “ridimensionamento” dell’autonomia della magistratura..), dandone, tra l’altro, concreta prova nell’agire politico dell’ultimo quindicennio  (modifica del Titolo V della Costituzione con i voti del solo centro-sinistra, aumento della precarietà del lavoro e connessa riduzione delle tutele, leggi elettorali restrittive della democrazia..).
Tutto ciò era avvenuto ben prima del tracollo elettorale del 2008, nel cui ciclo di emarginazione politica e sociale siamo tuttora immersi.
 
E ADESSO?
 
Il continuo degradarsi dello spirito pubblico e la connessa criminalizzazione del dissenso e della stessa agibilità democratica sono giunti a livelli quasi autoritari, sol che si pensi ai continui e quotidiani attacchi, rivolti da anni, dal capo del governo e dai suoi collaboratori, agli organi di informazione non ancora loro asserviti, e a tutti gli organi di garanzia e di autogoverno democratico e costituzionale.
Il Parlamento, di fatto ridotto ad organo di mera ratifica della volontà del capo e della sua coalizione di “bravi”; la Magistratura, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Presidente della Repubblica, continuamente sottoposti ad una pressione tipica di una “repubblica sudamericana anni ‘70”.
Ma è particolarmente nei confronti del Capo dello Stato, organo mediatamente politico e di garanzia costituzionale, che si sono realizzate, di fatto, le principali deformazioni, dal momento che la sua funzione costituzionale è stata  subdolamente fatta apparire, e ovviamente “gradita”, non più come il garante supremo della Costituzione, la “viva vox constitutionis”, secondo la celebre formula di Calamandrei, bensì in quella, assai ridimensionata e volutamente ininfluente di notaio-certificatore, contro la Costituzione.
Il consolidamento della destra nelle sedi politiche ed istituzionali, nella società e nello stesso senso comune, rendono a nostro avviso concreto il realizzarsi, in questa legislatura, di quel cambiamento costituzionale in chiave autoritaria – cesarista, a cui mira, incessantemente da circa un trentennio (quantomeno a partire dal programma di rinascita democratica di Licio Gelli) la parte peggiore del paese.
Per questo riteniamo di trovarci dinanzi all’ATTACCO FINALE e potenzialmente demolitore della nostra Carta Fondamentale, e insieme ad essa della repubblica democratica e antifascista così come concepite e volute dall’Antifascismo e dalla Resistenza liberatrice.
Senza timore di esagerazione, qualora ciò si avverasse vedremmo ulteriormente ridursi ed in maniera significativa il già degradato spazio politico e pubblico per le forze dell’alternativa, oltre che le sfere di libertà di ciascun soggetto, singolo e associato.
Siamo cioè consapevoli di trovarci dinanzi al serissimo e incombente scenario proprio di un cambiamento radicale di regime, connotato dal presidenzialismo del capo popolo e da un’autocrazia elettiva (maggioritaria) ad esso subalterna e connessa, al solo fine di cristallizzare, costituzionalmente, la sciagurata accoppiata data dalla deriva plebiscitaria-autoritaria del capo con il razzismo, ormai dilagante, della destra reazionaria e del leghismo.
Per questi motivi intendiamo invitare tutti i cittadini, singolarmente e nelle forme associative loro proprie, le forze politiche della sinistra e democratiche, le forze sociali e sindacali, ad incontrarsi nelle ricorrenze, del 25 Aprile, del 1 Maggio e del 2 Giugno, a Roma e in tutte le città italiane, rivolgendo loro un accorato e solenne invito ad UNIRSI per realizzare un PATTO per LA SALVEZZA della COSTITUZIONE repubblicana e dello STATO democratico nati dalla Resistenza. Un ultimo, e ci auguriamo non tardivo, sussulto democratico al fine di scongiurare l’inevitabile baratro.
Pur consapevoli delle diversità politiche e culturali che esistono tra noi, riteniamo certamente prevalente la necessità di porre in essere, tutti insieme e da subito, ogni sforzo per la difesa attiva e intransigente della Costituzione e della democrazia del nostro paese.
Il senso della storia e dei suoi processi, e la relativa interpretazione dei fatti storici, così come tramandatici dai nostri Maggiori, sono ben vivi in tutti noi.
Per questo auspichiamo che questa consapevolezza storica possa nuovamente radicarsi nella coscienza civile del paese e, conseguentemente, nella riflessione politica e culturale in luogo della malapianta di una certa politologia e di un certo  ingegnerismo istituzionale che, nella migliore delle ipotesi appaiono scevri del benché minimo connotato valoriale democratico - sociale, quando addirittura non assumono il ruolo di vero e proprio strumento ideologico al servizio dei potentati economici e dunque del liberismo contro la Costituzione e la democrazia sociale da essa prevista.
Riteniamo dunque strumentale e frutto di una logora “politica dello scambio”,uscita sconfitta dal referendum popolare del 2006, l’ennesima riproposizione del tema delle c.d. “riforme” costituzionali. Sappiamo che sono ben altre le urgenze del paese!
Consideriamo perciò irricevibile la proposta dell’attuale maggioranza, perché finalizzata unicamente al recepimento in Costituzione dei postulati politici e culturali del berlusconismo e del leghismo.
Qualsiasi “revisione” costituzionale nel contesto dato, considerando i rapporti di forza in campo e la squilibratissima possibilità di comunicazione, equivarrebbe ad un vero e proprio salto nel buio per la democrazia e la libertà, ed un’ulteriore perdita secca, in termini di diritti di libertà e diritti sociali, per i lavoratori e per i cittadini, già duramente colpiti da una Crisi, il cui acme non è stato ancora raggiunto.
Con questa nostra Chiamata vogliamo, invece, recuperare quello slancio e quella linearità d’azione che hanno caratterizzato la battaglia referendaria per la salvaguardia della Costituzione del 2005-2006, in cui, la giustezza e la nettezza della Lotta per la Costituzione furono compresi dalla maggioranza dei cittadini italiani, e dove le forze di sinistra seppero uscire, dopo molti anni, dalla marginalità per tornare a parlare, da protagoniste, al paese!
E’ questo ciò che ci prefiggiamo. Sono terminati i tempi degli slogan, delle mezze parole dal sapore incomprensibile e tecnocratico, del politichese più o meno corretto.
Intendiamo tornare tra la nostra gente, tra i lavoratori per proporre, nell’immediato, un Patto per la salvezza della Costituzione fondata sul lavoro, che costituisca il primo passo da cui proiettarsi in direzione della effettiva e duratura riconquista democratica e costituzionale del paese, per l’attuazione del programma democratico – sociale della Carta, che significa non soltanto Governo ma qualità dell’azione politica sui temi fondamentali per il paese e i suoi cittadini (politiche redistributive e di pace, piena e buona occupazione, scuola e sanità pubbliche, beni e servizi pubblici e sociali, casa ecc..).
Siamo ben consci che il nostro Appello e la nostra Chiamata avvengono dopo che molte, troppe occasioni, funzionali al ristabilimento di una normale dialettica democratica, sono state sprecate.
Ne sono seguiti errori, gravi sottovalutazioni della pericolosità dell’avversario, si é manifestata all’interno del ceto politico e conseguentemente nella società una vera e propria subalternità culturale rispetto ai temi delle destre, vecchie e nuove, e lo specchio di ciò è rappresentato dal recepimento di un sistema elettorale antidemocratico, funzionale e omologante al mainstream capitalistico internazionale, formalmente bipartitico ma sostanzialemente monopartitico (il monopartitismo disgiunto), che costituisce una della cause principali del riduzionismo democratico in atto. Ed in più piccoli e insensati egoismi di partito. Soltanto se sapremo superare tali errori di prospettiva e di prassi politica, potremo risollevarci.
Siamo però persuasi che ciascun cittadino, ciascun lavoratore italiano, ogni soggetto collettivo destinatario del nostro Appello e della nostra Chiamata, nessuno escluso, sia in buona parte consapevole della drammaticità del momento che stiamo vivendo, e della grandissima responsabilità che questo implica per il futuro della nostra democrazia e della nostra libertà. 
Se non ora quando? La resistenza (costituzionale) continua.

Primi firmatari: Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Michelangelo Bovero, Emiliano Brancaccio, Maurizio Brotini, Alberto Burgio, Lorenza Carlassarre, Massimo Ceciarini, Antonello Ciervo,  Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Elisabetta Grande, Alfiero Grandi, Claudio Grassi, Donata Gottardi, Carlo Lucchesi, Maria Rosaria Marella, Giovanni Marini, Gerardo Marotta, Ugo Mattei, Corrado Mauceri,Giorgio Mele, Siliano Mollitti, Diego Novelli, Andrea Panaccione, Roberto Passini, Marcello Rossi, Cesare Salvi, Paolo Solimeno, Alessandro Somma, Massimo Torelli, Gianni Vigilante, Massimo Villone, Luigi Vinci, Zaccheo Nencioni