I dati della crisi economica paiono migliorare, anche se "c'è da stare ancora cauti", come si affannano a ripetere i media italiani e mondiali. Quel che non si placa sono le reazioni dei lavoratori alla crisi, che assumono toni sempre più spettacolari ed in alcuni casi, addirittura estremi.
Dopo la INSSE e altre decine di sue emule all'interno della classe operaia o semplicemente lavoratrice, che invece del "paradiso" si accontenta del più materialmente raggiungibile tetto, altre forme di protesta esplodono dirompenti; come nel caso dei lavoratori della Alcatel di Battipaglia (SA), i quali hanno addirittura minacciato di darsi fuoco.
Se da un lato c'è l'incredulità per la natura estrema del gesto, da un'altra parte non si può non capire il dramma umano di chi, improvvisamente perde il proprio lavoro, che non è solo sostentamento, ma anche progetti, serenità, diritto alla vita.
Questo per le tante "exit strategy" delle aziende in crisi però, purtroppo non conta.
La rigida e lucidamente spietata "legge del mercato" impone soluzioni drastiche per fronteggiare la crisi, peccato che in mezzo ci sia il rischio di stritolare intere famiglie, intere vite, cancellandone in un attimo il futuro.
Un futuro che grazie alla flessibilità dei contratti di lavoro, non è più garantito a nessuno e che lascia un sentimento di depressione e ansia perenni, aleggiare sulle teste di tanti trentenni di oggi.
Nel calderone del mondo del lavorativo, delle agenzie di lavoro interinale, di contratti a termine, di un anno, sei mesi, tre mesi, addirittura anche di una settimana, siamo tutti uguali.
Nessun titolo di studio, tirocinio o stage, ci differenzia l'uno dall'altro, la lotta spietata ormai si avvia verso gli strati sociali e i lavori più umili, tutti in concorrenza per un qualsiasi posto che serva anche solo ad avere una retribuzione qualsiasi, spesso bassa e con diritti contributivi al minimo.
In questo vuoto cosmico si notano solo le mancanze, e non solo individuali, ma anche collettive, mancanze di prospettiva, un'esercito di lavoratori dipendenti appesi ad un contretto a termine, e un'altro esercito di liberi professionisti schiavi del miraggio della propria partita IVA.
Ma la mancanza più grande è quella di una tutela sindacale vera, sopratutto degli strati sociali e lavorativi più nuovi, i sindacati colpevolmente fermi ad una concezione del mondo del lavoro, tardo anni '80, che in vent'anni di contrattazione hanno lasciato scoperti gran parte dei settori in maggiore espansione come quello genericamente chiamato dei servizi, la maggioranza oggi in Italia e nel mondo.
Non bastano le "prove di dialogo" tra CGIL e Marcegaglia, presidente di Confindustria, nessuno ci crede più, questo governo picchia duro e chi si salva, ammesso ne abbia davvero bisogno, sono i soliti paracadutati, figli di qualcuno o qualcosa, figli di uno stato in cui la raccomandazione e i beni patriarcali, marcano ancora oggi la differenza tra chi non ha nulla e chi continua nella "movida" di sempre.
I tagli alla scuola e ad altri enti statali preoccupano in maniera drammatica e il mio pensiero non può che correre a Marco, di Civitavecchia che da quanto ho appreso sul suo spazio virtuale in uno dei maggiori siti di social networking, ha perso il suo lavoro d'insegnante, dopo nove anni di fedele e appassionato contributo alla scuola pubblica italiana.
Questa è la nostra meritocrazia, non servi più? Allora ritorna pure nel limbo di chi cerca cronicamente lavoro.
A cinquant'anni da quel fatidico 1968 di rivolte e nuovi propositi, di scuola, sogni e idee di società, non posso non pensare che la lotta di classe non esista più.
Esiste eccome, ancora, semplicemente il concetto si è ribaltato, è una ristretta cerchia di elite a fare la lotta di classe, a tenere "sotto" chi, nato per essere semplice manovalanza, manodopera, cerca di assurgere ad un ruolo migliore in quel grande teatro che per tutti è la vita.
lunedì 7 settembre 2009
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