Ieri si è celebrato come ogni anno, giustamente, "il giorno della memoria", occasione annuale di ricordo dell'olocausto ebraico, fatto a cavallo della seconda guerra mondiale dalle milizie naziste di Hitler.
Sul grande schermo in queste settimane, però, sta avendo un grandissimo successo il nuovo film del "kolossal man" del cinema hollywoodiano, James Cameron, Avatar.
Mi permetto di parlarne, senza nemmeno averlo visto, non tanto per dare un giudizio sul film, che ovviamente non posso dare, ma per fare un parallelo tra la trama, banalmente ovvia, interna ad esso e lo sterminio di massa degli ebrei, sulla scia di un articolo molto bello e arguto di un giornalista del Guardian, George Monbiot, della settimana scorsa e pubblicato in Italia, come al solito da quell'ottima rivista cartacea settimanale, che è Internazionale.
Che c'entrino queste due cose a primo acchito distanti, l'una con l'altra?
Mi ha dato lo spunto proprio l'articolo suddetto.
Nell'articolo, si fa riferimento a come certi aspetti del film, pare, piacciano poco ai "repubblicani" per via di un velato senso di similitudine, tra la conquista del Nord America da parte dei "patrioti" americani a danno dei nativi, più comunemente chiamati con il nome di "pellirosse" e gli "aborigeni" virtuali del film in questione.
Il bravo giornalista ha poi l'occasione di mettere in evidenza come, anche critici di un giornale del calibro del New York Times, progressista e vicino ai "democratici", si limitino, bonariamente a chiudere un occhio, su quella che appunto pare la più palese delle metafore in Avatar, ovvero quella con il genocidio dei nativi, facendo riferimento solo, "ai totalitarismi" di stampo sovietico e nazista e alle loro efferatezze.
Tacendo o probabilmente non vedendo, come molti cittadini statunitensi "americano-centrici" sono abituati a fare, oltre i confini del proprio orgoglio storico, nazionale.
Torna allora a "puntino", il giorno del ricordo dell'olocausto, una delle peggiori atrocità della storia dell'umanità, ormai quasi una routine a cui tutti si accodano, con la lacrimuccia facile o con moltissima ipocrisia e contegno superficiale.
Salvo poi, tacere su altri drammi della storia, altrettanto gravi.
Che nessuno salti su a darmi dell'antisemita, avreste proprio sbagliato persona.
Ma non sono nemmeno uno di coloro che placidamente si accodano alla "legge del vincitore".
Sappiamo bene come spesso solo chi vince "scrive la storia".
Riprendendo quindi Monbiot, dal Guardian, non si può dargli torto, quando dice, che se la seconda guerra mondiale fosse stata vinta dalla Germania nazista, forse oggi l'olocausto sarebbe una parentesi in qualche libro di storia, un trafiletto generico, magari a margine di qualche "sussidiario" in un box, in cui con pietosa discolpa si narra l'eccidio, senza calcare la mano.
Così come non si può ignorare il collegamento tra tanta parte dell'economia statunitense e le comunità ebraiche o come ci sia, tra USA e Israele un rapporto privilegiato, sopratutto dal punto di vista militare.
Ecco che conviene allora, molto di più parlare dell'olocausto, dimenticandosi di altri genocidi, altrettanto efferati e magari di dimensioni anche peggiori come quelli appunto perpetrati nei confronti dei nativi o dei palestinesi, questi ultimi dagli anni 60 espropriati di una terra loro, da sempre.
Non sono solo gli USA a tacere, ma anche Spagna, Gran Bretagna, Francia, e quasi tutte le ex potenze coloniali dell'Europa, così come non c'è popolo che possa dirsi candido, privo di sangue sgorgato da qualche pulizia etnica, genocidio, campo di prigionia.
Avatar (semplicemente, pare) piuttosto banalmente ci narra come, sempre, quando una potenza tecnologica e militare incontri un popolo diverso, meno avanzato, lo consideri alla stregua del "buon selvaggio", di memoria illuminista.
"Buoni selvaggi" sono infatti gli abitanti del mondo fantastico di Cameron, che attraverso un prevedibile intreccio narrativo, arrivano verso uno scontato lieto fine.
Peccato che nella realtà, non sia così facile, ma anzi spesso, non esista proprio "l'happy ending".
Avatar è proprio il caso di dirlo, è l'alter ego virtuale di ogni popolo oppresso e colpito dagli inumerevoli genocidi di cui la storia dell'umanità è piena.
Nemmeno il fatto di "specchiarsi" nel grande schermo, però, pare sia sufficiente, agli oppressori o vincitori di oggi, per consentire a coloro, di fare un vero esame di coscienza collettiva, sul concetto di "imperialismo", ancora così in auge.
Vedere scorrere in tv le immagini terribili dello sterminio degli ebrei, sembra oggi, solo un velleitario memento, quando ancora nessuno ha reso effettivamente giustizia ad altrettanti "olocausti", dimenticati nel tempo perchè troppo scomodi da ricordare.
giovedì 28 gennaio 2010
martedì 26 gennaio 2010
Bocciato Boccia. Vittoria di Vendola e crisi PD in Puglia.
Vittoria netta dell'ex governatore Vendola, in Puglia alle primarie del centrosinistra, volute a "furor di popolo" dall'elettorato pugliese.
I dati, schiaccianti, 73 per cento contro un misero 27, non solo rafforzano il governatore uscente, ma mettono ancora di più in imbarazzo un partito, come quello Democratico che davvero non ne avrebbe bisogno.
La vittoria di Vendola non è solo frutto del carisma e delle scelte dell'amministrazione della regione, invero con qualche ombra, ma anche di una "ribellione" dal basso di tanta parte dell'elettorato democratico che in risposta ai diktat di D'Alema e soci ha votato in massa, il migliore dei due candidati.
Sì, perchè Boccia, un cognome che pare una condanna, era già stato "bocciato" proprio da Vendola, cinque anni orsono, in un ribaltone che all'epoca suscitò davvero molto scalpore e altrettante illusioni per la "sinistra" extra PD.
Una "minestra riscaldata" insomma che non si capisce da quale strategia politica possa essere sortita fuori, così palesemente perdente.
L'imbarazzo nel PD è a livelli stratosferici, D'Alema, il "grande manovratore occulto", della maggioranza interna, "burattinaio" di Bersani, ha subìto una sconfitta notevole, in uno dei suoi feudi maggiori, Gallipoli e in una delle provincie fondamentali come Lecce.
Vendola vince, ma nonostante ciò che dicono i giornali, il sottoscritto è tutto fuorchè sorpreso.
Direi addirittura che la vittoria di "Nikita", era assai prevedibile, quasi scontata.
Dopo l'harakiri sul nome di Emiliano, forse l'unico candidato concreto in risposta al governatore attuale, la scelta di Boccia appariva come una palese forzatura che l'elettorato, già arrabbiato per mancanza di democrazia interna, con conseguenti polemiche riguardo il metodo elettivo delle primarie in un primo momento "stoppato" dai vertici PD; probabilmente non avrebbe digerito.
Infatti.
Boccia è stato spazzato via, non solo da Vendola, ma da un'incompetenza politica nel PD, tanto incredibile da apparire quasi sospetta.
Per tutta risposta l'UDC di Casini, emarginato dalla coalizione, ha candidato l'ex PDL, Adriana Poli Bortone, facendo presagire quindi una "corsa" in solitaria.
Il PDL avanza un candidato, Rocco Palese, delfino del potentato Fitto, che non pare abbia le carte in regola, ora che anche l'UDC corre da solo, per insidiare Vendola.
Un Vendola sostenuto anche dalla Federazione della Sinistra di Ferrero, Diliberto e Salvi, in un tentativo di coesione sui contenuti e in cerca di un appoggio nelle altre regioni, contro anche lo stesso PD, come in Lombardia, dove Penati ha già messo un veto "ai comunisti".
Quel che è sicuro, è che si preannuncia all'orizzonte una battaglia politicamente interessante, in cui Vendola dovrà dimostrarsi all'altezza, non tanto degli avversari, quanto del suo nemico peggiore, il proprio carisma, uno scudo non sufficiente di fronte alle battaglie di cui la regione Puglia ha bisogno, che in dote di tanta fiducia, non potranno in nessuna maniera essere disattese di fronte ad un elettorato così generoso.
In caso di riconferma quindi, si aprirebbe uno spazio politico unico, in cui il governatore, dovrebbe per forza dimostrare non solo di essere un abile politico dal punto di vista mediatico, ma anche un amministratore capace, innovativo, moderno.
Cosa che nell'ultimo quinquennio, è accaduta solo a metà visto anche lo scandalo sulla sanità pubblica pugliese, che ci ha consegnato comunque un Vendola, ingabbiato tra i soliti poteri forti di clientela dei partiti maggiori, veri protagonisti dietro le quinte.
Una missione, che con lo "sgonfiamento" del progetto Sinistra e Libertà, recentemente rinominato, ma non per questo ripartito, determinerà anche il destino di questo politico, tanto amato, quanto controverso.
I dati, schiaccianti, 73 per cento contro un misero 27, non solo rafforzano il governatore uscente, ma mettono ancora di più in imbarazzo un partito, come quello Democratico che davvero non ne avrebbe bisogno.
La vittoria di Vendola non è solo frutto del carisma e delle scelte dell'amministrazione della regione, invero con qualche ombra, ma anche di una "ribellione" dal basso di tanta parte dell'elettorato democratico che in risposta ai diktat di D'Alema e soci ha votato in massa, il migliore dei due candidati.
Sì, perchè Boccia, un cognome che pare una condanna, era già stato "bocciato" proprio da Vendola, cinque anni orsono, in un ribaltone che all'epoca suscitò davvero molto scalpore e altrettante illusioni per la "sinistra" extra PD.
Una "minestra riscaldata" insomma che non si capisce da quale strategia politica possa essere sortita fuori, così palesemente perdente.
L'imbarazzo nel PD è a livelli stratosferici, D'Alema, il "grande manovratore occulto", della maggioranza interna, "burattinaio" di Bersani, ha subìto una sconfitta notevole, in uno dei suoi feudi maggiori, Gallipoli e in una delle provincie fondamentali come Lecce.
Vendola vince, ma nonostante ciò che dicono i giornali, il sottoscritto è tutto fuorchè sorpreso.
Direi addirittura che la vittoria di "Nikita", era assai prevedibile, quasi scontata.
Dopo l'harakiri sul nome di Emiliano, forse l'unico candidato concreto in risposta al governatore attuale, la scelta di Boccia appariva come una palese forzatura che l'elettorato, già arrabbiato per mancanza di democrazia interna, con conseguenti polemiche riguardo il metodo elettivo delle primarie in un primo momento "stoppato" dai vertici PD; probabilmente non avrebbe digerito.
Infatti.
Boccia è stato spazzato via, non solo da Vendola, ma da un'incompetenza politica nel PD, tanto incredibile da apparire quasi sospetta.
Per tutta risposta l'UDC di Casini, emarginato dalla coalizione, ha candidato l'ex PDL, Adriana Poli Bortone, facendo presagire quindi una "corsa" in solitaria.
Il PDL avanza un candidato, Rocco Palese, delfino del potentato Fitto, che non pare abbia le carte in regola, ora che anche l'UDC corre da solo, per insidiare Vendola.
Un Vendola sostenuto anche dalla Federazione della Sinistra di Ferrero, Diliberto e Salvi, in un tentativo di coesione sui contenuti e in cerca di un appoggio nelle altre regioni, contro anche lo stesso PD, come in Lombardia, dove Penati ha già messo un veto "ai comunisti".
Quel che è sicuro, è che si preannuncia all'orizzonte una battaglia politicamente interessante, in cui Vendola dovrà dimostrarsi all'altezza, non tanto degli avversari, quanto del suo nemico peggiore, il proprio carisma, uno scudo non sufficiente di fronte alle battaglie di cui la regione Puglia ha bisogno, che in dote di tanta fiducia, non potranno in nessuna maniera essere disattese di fronte ad un elettorato così generoso.
In caso di riconferma quindi, si aprirebbe uno spazio politico unico, in cui il governatore, dovrebbe per forza dimostrare non solo di essere un abile politico dal punto di vista mediatico, ma anche un amministratore capace, innovativo, moderno.
Cosa che nell'ultimo quinquennio, è accaduta solo a metà visto anche lo scandalo sulla sanità pubblica pugliese, che ci ha consegnato comunque un Vendola, ingabbiato tra i soliti poteri forti di clientela dei partiti maggiori, veri protagonisti dietro le quinte.
Una missione, che con lo "sgonfiamento" del progetto Sinistra e Libertà, recentemente rinominato, ma non per questo ripartito, determinerà anche il destino di questo politico, tanto amato, quanto controverso.
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sabato 16 gennaio 2010
Il Partito Democratico in guerra con Facebook.
Per una volta voglio darvi una notizia più "leggera" ma che merita comunque una riflessione, con a margine qualche risata, una notizia, però figlia dei nostri tempi.
Con ilarità leggo, questa news, rimbalzata nella rete, per cui, la sede nazionale del Partito Democratico, a Roma, ha deciso "democraticamente" di oscurare il famoso sito di socialnetworking Facebook ai propri dipendenti.
Risate.
Il tutto è avvenuto nella giornata di ieri, in particolare nella mattinata, momento in cui c'è stato il blocco, probabilmente mediante filtro dell'indirizzo del sito.
La motivazione?
Quella di voler mettere un "freno" ad un atteggiamento troppo dispersivo degli impiegati del partito, che evidentemente erano ritenuti poco "produttivi" proprio per colpa di Facebook.
Da questo ragionamento è nata la necessità di "oscurare" il sito ai dipendenti che ovviamente hanno subito protestato, insieme ad alcuni politici, fino a che la decisione e il blocco non sono rientrati in serata.
Un "embargo" mediatico che farebbe la felicità del Ministro Brunetta e che fa sorridere se affiancato ad un partito che dovrebbe "difendere" i diritti dei lavoratori.
Così come sono altrettanto comiche le "motivazioni ufficiali" della decisione (manco fosse una dichiarazione di guerra tra due nazioni) dei vertici del PD che in un primo momento hanno addirittura ammesso la cosa, dicendo che il partito aveva preso una decisione "troppo aziendalista", poi da bravi ex Pci, hanno sfoderato il solito volto mansueto dell'unità e della coesione, dicendo che in realtà era solo "un problema tecnico".
Quello che fa sorridere è proprio l'atteggiamento "cinese" di un partito chiamato "democratico", che forse, sull'onda delle polemiche di queste ormai vicine regionali, ha pensato bene di omettere buona parte della contestazione, dagli occhi del nucleo centrale del partito.
Peccato che, nel partito delle primarie (usate solo quando piace, però), della "democrazia dal basso", Facebook, così come l'altro popolare servizio di micro blogging, Twitter, siano stati due bacini di diffusione importanti via web, se non proprio fondamentali, durante l'elezione dell'attuale segretario Bersani, così come non si può sottovalutare l'importanza di un sito come appunto Facebook, dove il Partito Democratico ha una sua pagina in cui si contano 15,000 iscritti.
Uno strumento indispensabile proprio per chi fa politica, oggi, grazie alla sua interfaccia semplice e alla sua diffusione enorme, anche capillare.
Una decisione tragicomica che fa capire però come sotto l'immagine superficiale di democrazia partecipativa si annidi però un atteggiamento per nulla diverso da quello monolitico delle classi dirigenti ex PCI e DC, vertici poco inclini alla critica, così come sia eclatante che il partito che lotta per il "lavoro" ed i suoi diritti, tratti i propri dipendenti, come un imprenditore privato qualsiasi.
Sarà mica l'influenza dei vari Colaninno e Calearo?
La macchina del caffè con annessa pausa sta già vacillando...
Con ilarità leggo, questa news, rimbalzata nella rete, per cui, la sede nazionale del Partito Democratico, a Roma, ha deciso "democraticamente" di oscurare il famoso sito di socialnetworking Facebook ai propri dipendenti.
Risate.
Il tutto è avvenuto nella giornata di ieri, in particolare nella mattinata, momento in cui c'è stato il blocco, probabilmente mediante filtro dell'indirizzo del sito.
La motivazione?
Quella di voler mettere un "freno" ad un atteggiamento troppo dispersivo degli impiegati del partito, che evidentemente erano ritenuti poco "produttivi" proprio per colpa di Facebook.
Da questo ragionamento è nata la necessità di "oscurare" il sito ai dipendenti che ovviamente hanno subito protestato, insieme ad alcuni politici, fino a che la decisione e il blocco non sono rientrati in serata.
Un "embargo" mediatico che farebbe la felicità del Ministro Brunetta e che fa sorridere se affiancato ad un partito che dovrebbe "difendere" i diritti dei lavoratori.
Così come sono altrettanto comiche le "motivazioni ufficiali" della decisione (manco fosse una dichiarazione di guerra tra due nazioni) dei vertici del PD che in un primo momento hanno addirittura ammesso la cosa, dicendo che il partito aveva preso una decisione "troppo aziendalista", poi da bravi ex Pci, hanno sfoderato il solito volto mansueto dell'unità e della coesione, dicendo che in realtà era solo "un problema tecnico".
Quello che fa sorridere è proprio l'atteggiamento "cinese" di un partito chiamato "democratico", che forse, sull'onda delle polemiche di queste ormai vicine regionali, ha pensato bene di omettere buona parte della contestazione, dagli occhi del nucleo centrale del partito.
Peccato che, nel partito delle primarie (usate solo quando piace, però), della "democrazia dal basso", Facebook, così come l'altro popolare servizio di micro blogging, Twitter, siano stati due bacini di diffusione importanti via web, se non proprio fondamentali, durante l'elezione dell'attuale segretario Bersani, così come non si può sottovalutare l'importanza di un sito come appunto Facebook, dove il Partito Democratico ha una sua pagina in cui si contano 15,000 iscritti.
Uno strumento indispensabile proprio per chi fa politica, oggi, grazie alla sua interfaccia semplice e alla sua diffusione enorme, anche capillare.
Una decisione tragicomica che fa capire però come sotto l'immagine superficiale di democrazia partecipativa si annidi però un atteggiamento per nulla diverso da quello monolitico delle classi dirigenti ex PCI e DC, vertici poco inclini alla critica, così come sia eclatante che il partito che lotta per il "lavoro" ed i suoi diritti, tratti i propri dipendenti, come un imprenditore privato qualsiasi.
Sarà mica l'influenza dei vari Colaninno e Calearo?
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giovedì 14 gennaio 2010
Bettino Craxi, grande statista, santo subito.
Et voilà.
Tra numeri circensi d'alta scuola e salti mortali degni di professionisti del trapezio acrobatico, in questi giorni si sprecano le parole sulla grandezza del defunto, ora "riveduto e corretto, Benedetto "Bettino" Craxi.
Tra i più attivi, sull'onda della polemica, nota ormai, riguardo l'istituzione di una via in suo nome a Milano, per bocca del sindaco Moratti; tanti personaggi della maggioranza berlusconiana, qualche giornalista a libro paga, come Minzolini, ma anche nomi noti della cosiddetta "opposizione".
Quell'opposizione delle "riforme", così in crisi di identità oggi.
La cosa clamorosa però (in realtà nemmeno più di tanto ormai) è che, le dichiarazioni che arrivano dai banchi della minoranza parlamentare, sono appunto, voli acrobatici di rara bellezza verbale, in cui si "revisiona" l'immagine dello statista italiano, che sarebbe ogni tanto giusto ricordare fu non solo politco capace, ma anche protagonista del più grande scandalo politico italiano di sempre, denominato "Mani Pulite".
Chi sarà colui che si è arrischiato a tanto?
Un'altro grande "predestinato" della politica italiana, uno che sottoscriverebbe di certo la battuta andreottiana "il potere logora..chi non ce l'ha..".
Che non si fa scrupolo quindi di aggiustare il tiro della contesa, a proprio comodo.
Chi è?
Chi se non lui, il "baffo di ferro" della sinistra italiana, Massimo D'Alema!
Le parole, confezionate come un ricamo nel TG1 dell "paggio" Minzolini fanno da introduzione appunto, ad uno dei tristi "editoriali" del mefitico direttore del TG pubblico nazionale.
''Sono contrario alle polemiche. In realta' bisognerebbe discutere di Craxi, che e' stato una figura importante della storia italiana, con maggiore distacco. Ormai fa parte della storia del Paese e credo che questo ci aiuterebbe a vederne le qualita' accanto a quelli che, a mio giudizio, furono gli errori''.
Questo ha detto Massimo D'Alema intervistato dal TG1.
Dichiarazione senza dubbio da inserire, nell'elenco delle migliori, tra cui quella su "Mediaset una risorsa per il paese" e altre "chicche".
Potrebbe però, il "lidermassimo", spiegarci quali sono per lui errori e qualità del defunto e se magari, secondo lui, c'è qualche attinenza tra queste sue "qualità" e colui che oggi domina la scena politica del nostro paese, un certo Silvio Berlusconi.
Oppure se certe leggi come ad esempio il "decreto Berlusconi", varato dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest di proprietà di Silvio Berlusconi, allora un semplice imprenditore con cui Craxi aveva una forte amicizia, da che parte si collochino esattamente secondo lui, se nell'insieme degli "errori" o delle "qualità"...
Ma anche perchè, certi politici "illuminati" del centro sinistra (sinistra?), siano ormai più avvezzi a citare e ricordare Craxi al posto di un certo Berlinguer...
Tra numeri circensi d'alta scuola e salti mortali degni di professionisti del trapezio acrobatico, in questi giorni si sprecano le parole sulla grandezza del defunto, ora "riveduto e corretto, Benedetto "Bettino" Craxi.
Tra i più attivi, sull'onda della polemica, nota ormai, riguardo l'istituzione di una via in suo nome a Milano, per bocca del sindaco Moratti; tanti personaggi della maggioranza berlusconiana, qualche giornalista a libro paga, come Minzolini, ma anche nomi noti della cosiddetta "opposizione".
Quell'opposizione delle "riforme", così in crisi di identità oggi.
La cosa clamorosa però (in realtà nemmeno più di tanto ormai) è che, le dichiarazioni che arrivano dai banchi della minoranza parlamentare, sono appunto, voli acrobatici di rara bellezza verbale, in cui si "revisiona" l'immagine dello statista italiano, che sarebbe ogni tanto giusto ricordare fu non solo politco capace, ma anche protagonista del più grande scandalo politico italiano di sempre, denominato "Mani Pulite".
Chi sarà colui che si è arrischiato a tanto?
Un'altro grande "predestinato" della politica italiana, uno che sottoscriverebbe di certo la battuta andreottiana "il potere logora..chi non ce l'ha..".
Che non si fa scrupolo quindi di aggiustare il tiro della contesa, a proprio comodo.
Chi è?
Chi se non lui, il "baffo di ferro" della sinistra italiana, Massimo D'Alema!
Le parole, confezionate come un ricamo nel TG1 dell "paggio" Minzolini fanno da introduzione appunto, ad uno dei tristi "editoriali" del mefitico direttore del TG pubblico nazionale.
''Sono contrario alle polemiche. In realta' bisognerebbe discutere di Craxi, che e' stato una figura importante della storia italiana, con maggiore distacco. Ormai fa parte della storia del Paese e credo che questo ci aiuterebbe a vederne le qualita' accanto a quelli che, a mio giudizio, furono gli errori''.
Questo ha detto Massimo D'Alema intervistato dal TG1.
Dichiarazione senza dubbio da inserire, nell'elenco delle migliori, tra cui quella su "Mediaset una risorsa per il paese" e altre "chicche".
Potrebbe però, il "lidermassimo", spiegarci quali sono per lui errori e qualità del defunto e se magari, secondo lui, c'è qualche attinenza tra queste sue "qualità" e colui che oggi domina la scena politica del nostro paese, un certo Silvio Berlusconi.
Oppure se certe leggi come ad esempio il "decreto Berlusconi", varato dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest di proprietà di Silvio Berlusconi, allora un semplice imprenditore con cui Craxi aveva una forte amicizia, da che parte si collochino esattamente secondo lui, se nell'insieme degli "errori" o delle "qualità"...
Ma anche perchè, certi politici "illuminati" del centro sinistra (sinistra?), siano ormai più avvezzi a citare e ricordare Craxi al posto di un certo Berlinguer...
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lunedì 11 gennaio 2010
Consigli per gli acquisti
Gian Antonio Stella, pluricelebrato autore e giornalista del Corriere della Sera, nonchè editorialista, già conosciuto per il famosissimo "La Casta" (scritto con S.Rizzo), ha scritto questo libro, nell'ormai datato 2003.
Libro, che se non ricordo male ha ripreso il titolo da alcuni manifesti della Lega, in cui barconi pieni di immigrati che campeggiavano nella foto, venivano per l'appunto appellati con la parola dispregiativa "orda".
Un libro che, inutile dirlo, non ha minimamente sentito il peso degli anni, anzi, paradossalmente è più attuale oggi di quando è stato scritto, in quanto la Lega ha subito un'ascesa proprio negli ultimi tempi, portandosi dietro uno strascico razzista, di cui anche in questi giorni sono piene le pagine dei giornali e i servizi dei Tg.
Tanto che, il testo è stato pure aggiornato, in successive edizioni e ristampe, segno evidente di come, il problema dell'immigrazione sia sempre più d'attualità e i dati e le analisi riguardo il fenomeno siano assolutamente feconde.
Il libro, come vedete dall'immagine accanto, si chiama appunto "L'orda", con il sottotitolo "quando gli albanesi eravamo noi".
Un sottotitolo che fa immediatamente capire una cosa, quanto sia labile l'odio etnico nel nostro paese e sia spesso frutto di accanimento contro un flusso migratorio in particolare, fino al momento che questo, integratosi, non lascia spazio ad un altro, più nuovo e "di moda", nelle cronache della stampa.
Evidenziando un fatto talmente palese da sembrare stupido, ovvero che ogni nuova "ondata" d'immigrati porta con se un'insieme di persone di tutti i tipi, che prima dell'integrazione, per colpa anche di situazioni di vita ai margini, tende facilmente a comparire nella cronaca (non solo con fatti eclatanti) per fatti di varia delinquenza, fino a che, stabilizzandosi, "sparisca", come già detto, dall'attenzione dei media.
Dai primi anni in cui sulle nostre spiagge arrivarono i primi "vu cumprà", marocchini e nord africani, c'è stato tutto un susseguirsi di nazionalità che hanno avuto ribalta, per poi lasciare spazio ad altre; polacchi, cinesi, albanesi, cingalesi, rumeni, o etnie come ad esempio gli zingari Rom.
Nel mezzo di questi flussi una serie di episodi più o meno gravi di razzismo, violenza e sopratutto disinformazione.
Che il bravo Stella con la consueta calma e pacatezza sfuma, analizza, dipana, corregge.
Chi direbbe infatti, oggi, che la regione italiana con più emigrati dalla fine del 1800 fino agli anni 50 del 900, è stata, più di tutte il "padano" Veneto, del profondo Nord Est?
Un vero e proprio paradosso storico.
Uno dei tanti che dimorano all'interno del libro, suscitando più di una sorpresa e anche un sorriso.
Così, i "druidi" padani, diventano per austriaci e svizzeri, "mangiapolenta", "bocia", "tsscing" (dal rumore delle monete, riferito alla grande frequenza di lavoro minorile, degli emigranti e quindi all'interesse solo per i soldi delle famiglie che mandavano a lavorare i numerosi figli).
Così come si può scoprire che i luoghi comuni, sugli immigrati sono uguali indistintamente oggi come ieri e fanno leva sugli istinti più bassi e corporali degli aborigeni.
"Mendicanti per professione e per piacere", "assassini dopo due bicchieri", "la popolazione più sporca che sia mai esistita", "indesiderabili da bloccare, firmato Ku Klux Klan", "rubano il lavoro", "parassiti, vogliono cacciare gli australiani", sono solo alcuni dei "complimenti" riservati all'italiano emigrato, meridionale o "padano" che fosse, quando gli emigranti eravamo noi.
Americani, Austriaci, Svizzeri, Australiani etc. tutti concordi su una cosa sola, l'italiano era un parassita mangia-spaghetti (o polenta!), puzzava d'aglio ed era capace di uccidere anche per due lire con lo "stiletto che hanno sempre in tasca".
Non che poi, verso quest'ultima "qualità", quella del coltello facile (da lì l'appellativo "dagoes" da daga), avessero proprio tutti i torti, altro argomento che sfata, secondo i dati, il concetto di aumento della criminalità nel nostro paese per colpa dell'immigrazione. Infatti dal 1991 (anno della prima grande ondata di immigrati) ad oggi, pare impossibile, ma il tasso d'omicidi ad esempio, è addirittura diminuito.
Nel 1881, ad esempio, il tasso di omicidi era addirittura dodici volte maggiore ad oggi e addirittura negli anni del vent'ennio fascista solo a Roma, (immaginando che in certe cifre non figurassero le morti politiche, sicuramente omesse dal regime), gli omicidi erano addirittura 1801 di media contro i "soli" 700 di oggi in tutta Italia.
Questo e altro troverete in questo tomo, testo utile a sfatare gli stereotipi di cui il nostro paese oggi è pieno, sopratutto in questi giorni, dopo i fatti di Rosarno.
Un libro utile per capire, nel caso ce ne fosse bisogno, come le parole del ministro Maroni, non siano solo gravi e inumane, ma anche prive di ogni fondamento logico e statistico.
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sabato 9 gennaio 2010
Troppa tolleranza. Finalmente arriva la giustizia a Rosarno.
Era ora che si facesse qualcosa per risolvere il problema.
Il ministro Maroni, aveva già ammonito ieri dello spinoso problema con la solita pacatezza:
"In tutti questi anni - ha detto - è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un'immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazioni di forte degrado, come quella di Rosarno". "Stiamo intervenendo - ha aggiunto - intanto ponendo fine all'immigrazione clandestina, agli sbarchi che hanno alimentato il degrado, e a poco a poco porteremo la situazione alla normalità: questo è il nostro impegno".
In effetti, per pensare ci hanno pensato, anche se sul filo di lana di una situazione tesissima, tra abitanti del luogo e immigrati.
E' di poche ore fa, infatti la notizia, che durante la "deportazione" (probabilmente potrei anche togliere le virgolette), su alcuni di loro, sono arrivate anche le pallottole, questa volta, quelle vere.
Infatti, nonostante i fumosi servizi dei soliti telegiornali, utili più alla disinformazione che all'informazione, il motivo scatenante dello scontro è rimasto quasi in secondo piano.
Ad agitare una situazione resa pesante da enormi condizioni di disagio e degrado, oltre che probabilmente dallo sfruttamento lavorativo degli immigrati, è stato un episodio di provocazione, attuato tramite dei colpi sparati a salve, ieri su un gruppo di persone, immigrati appunto, della zona.
La situazione è di lì a poco degenerata, riproponendo un clima ormai tristemente caro al nostro paese, un clima d'odio e d'intolleranza che, è inutile nascondersi, si è acuito con il governo del centro-destra.
Un clima figlio di una serie di fattori facilmente individuabili, invisibili solo al "miope" Maroni, ma comuni sempre in situazioni di questo tipo.
Una rabbia che è figlia dello sfruttamento di persone che esistono solo nei campi dei lavori stagionali, invisibili allo Stato e alle istituzioni, schiavi in un mondo di servi della gleba, impauriti, scorati, da una povertà comune.
Terroni!
Una volta gridavano ai calabresi, emigrati nel "grande nord" alla fine degli anni cinquanta, in cerca di fortuna lavorativa.
Scappati dal "paese", dalla "miseria", dalla dura vita dei campi che erano ancorati ancora alla logica latifondista e padronale.
Oggi "terroni" e "padani", nonostante il federalismo, il "sud fannullone", si trovano accanto nella lotta allo "straniero".
La soluzione è semplice, ed è chiara e uguale indistintamente da sinistra a destra, già dai tempi del "governo D'Alema", governo che varò i mefitici Centri di Permanenza Temporanea, difatto dei lager legalizzati, fino ad arrivare ad oggi, allo stato di repressione perenne, al rimpatrio dei "clandestini" alla loro denuncia nel caso decidano di farsi curare, al rastrellamento per un "bianco Natale", fino al controllo delle masse dei piccoli "diversi" nelle classi delle nostre scuole con lo "sbarramento", varato proprio in questi giorni, del 30 per cento, per classe, dalla ministra Maria Stella Gelmini.
La soluzione unica, che farebbe invidia al prestigiatore più bravo, è quella di farli sparire.
Direzione, appunto, CPT di Crotone ora "ribattezzato" è proprio il caso di dirlo, "Centro d'accoglienza Sant'Anna".
Nel mezzo il pogrom abbattutosi su di loro.
Spari alle gambe, nella migliore tradizione mafiosa, bastonate e sprangate e addirittura tentativi d'investimento a mezzo auto.
Bilancio giornaliero, 37 feriti (19 tra gli immigrati e 18 tra le forze dell'ordine) di cui due gravi tra gli extracomunitari.
Situazioni di panico hanno investito poi tutto il circondario, con scontri, e disordini di ogni genere, addirittura spari da un balcone, sulla folla.
Questa sarebbe la cronaca.
L'unica cosa insomma, che sentirete dai soliti mezzi della "disinformazione", corredata da qualche dichiarazione inutile e scontata dei capi dello Stato pubblico e religioso del nostro paese, più il solito "ping pong" asfittico tra maggioranza e opposizione, fatto di scambi d'accuse (?).
Del perchè si sia verificato tutto ciò neanche l'ombra.
Perchè un gruppo di emarginati, invisibili, fino ad un minuto prima, sia esploso improvvisamente in un attacco di inaudita violenza, nessuno lo sa.
Che ci facessero lì, quelle 800 persone, dislocate in due ex fabbriche nessuno se lo domanda.
In realtà è assai semplice, sono numeri di quella manodopera a basso costo che compongono quei 20,000 immigrati, clandestini e regolari (stime CGIL, 2007) che gravitano nella zona e che la criminalità organizzata "disloca" nei vari settori, sopratutto dell'agricoltura stagionale.
Ora vengono "sgomberati", per adesso a Crotone, poi chissà.
Intervistati, alcuni di loro, fanno nomi di città come Milano, Roma, Firenze, Livorno, a chi gli chiede se lì troveranno lavoro, la risposta sempre la solita, no, niente lavoro, niente soldi.
Da una situazione di marginalità all'altra, senza nome, senza diritti.
La crisi colpisce anche loro, strato più basso della società, "sfrattati" dal loro ruolo di schiavi, ormai inutilizzati a libro paga probabilmente della "Ndrangheta", lavoratori anch'essi in esubero.
No problem, ci pensa Maroni, una mano di vernice e gli immigrati non ci sono più, a Rosarno.
In attesa che ritornino a spuntare come tante macchie nere, da qualche altra parte, in questo nostro disastrato e sempre più stupidamente razzista, paese.
Il ministro Maroni, aveva già ammonito ieri dello spinoso problema con la solita pacatezza:
"In tutti questi anni - ha detto - è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un'immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazioni di forte degrado, come quella di Rosarno". "Stiamo intervenendo - ha aggiunto - intanto ponendo fine all'immigrazione clandestina, agli sbarchi che hanno alimentato il degrado, e a poco a poco porteremo la situazione alla normalità: questo è il nostro impegno".
In effetti, per pensare ci hanno pensato, anche se sul filo di lana di una situazione tesissima, tra abitanti del luogo e immigrati.
E' di poche ore fa, infatti la notizia, che durante la "deportazione" (probabilmente potrei anche togliere le virgolette), su alcuni di loro, sono arrivate anche le pallottole, questa volta, quelle vere.
Infatti, nonostante i fumosi servizi dei soliti telegiornali, utili più alla disinformazione che all'informazione, il motivo scatenante dello scontro è rimasto quasi in secondo piano.
Ad agitare una situazione resa pesante da enormi condizioni di disagio e degrado, oltre che probabilmente dallo sfruttamento lavorativo degli immigrati, è stato un episodio di provocazione, attuato tramite dei colpi sparati a salve, ieri su un gruppo di persone, immigrati appunto, della zona.
La situazione è di lì a poco degenerata, riproponendo un clima ormai tristemente caro al nostro paese, un clima d'odio e d'intolleranza che, è inutile nascondersi, si è acuito con il governo del centro-destra.
Un clima figlio di una serie di fattori facilmente individuabili, invisibili solo al "miope" Maroni, ma comuni sempre in situazioni di questo tipo.
Una rabbia che è figlia dello sfruttamento di persone che esistono solo nei campi dei lavori stagionali, invisibili allo Stato e alle istituzioni, schiavi in un mondo di servi della gleba, impauriti, scorati, da una povertà comune.
Terroni!
Una volta gridavano ai calabresi, emigrati nel "grande nord" alla fine degli anni cinquanta, in cerca di fortuna lavorativa.
Scappati dal "paese", dalla "miseria", dalla dura vita dei campi che erano ancorati ancora alla logica latifondista e padronale.
Oggi "terroni" e "padani", nonostante il federalismo, il "sud fannullone", si trovano accanto nella lotta allo "straniero".
La soluzione è semplice, ed è chiara e uguale indistintamente da sinistra a destra, già dai tempi del "governo D'Alema", governo che varò i mefitici Centri di Permanenza Temporanea, difatto dei lager legalizzati, fino ad arrivare ad oggi, allo stato di repressione perenne, al rimpatrio dei "clandestini" alla loro denuncia nel caso decidano di farsi curare, al rastrellamento per un "bianco Natale", fino al controllo delle masse dei piccoli "diversi" nelle classi delle nostre scuole con lo "sbarramento", varato proprio in questi giorni, del 30 per cento, per classe, dalla ministra Maria Stella Gelmini.
La soluzione unica, che farebbe invidia al prestigiatore più bravo, è quella di farli sparire.
Direzione, appunto, CPT di Crotone ora "ribattezzato" è proprio il caso di dirlo, "Centro d'accoglienza Sant'Anna".
Nel mezzo il pogrom abbattutosi su di loro.
Spari alle gambe, nella migliore tradizione mafiosa, bastonate e sprangate e addirittura tentativi d'investimento a mezzo auto.
Bilancio giornaliero, 37 feriti (19 tra gli immigrati e 18 tra le forze dell'ordine) di cui due gravi tra gli extracomunitari.
Situazioni di panico hanno investito poi tutto il circondario, con scontri, e disordini di ogni genere, addirittura spari da un balcone, sulla folla.
Questa sarebbe la cronaca.
L'unica cosa insomma, che sentirete dai soliti mezzi della "disinformazione", corredata da qualche dichiarazione inutile e scontata dei capi dello Stato pubblico e religioso del nostro paese, più il solito "ping pong" asfittico tra maggioranza e opposizione, fatto di scambi d'accuse (?).
Del perchè si sia verificato tutto ciò neanche l'ombra.
Perchè un gruppo di emarginati, invisibili, fino ad un minuto prima, sia esploso improvvisamente in un attacco di inaudita violenza, nessuno lo sa.
Che ci facessero lì, quelle 800 persone, dislocate in due ex fabbriche nessuno se lo domanda.
In realtà è assai semplice, sono numeri di quella manodopera a basso costo che compongono quei 20,000 immigrati, clandestini e regolari (stime CGIL, 2007) che gravitano nella zona e che la criminalità organizzata "disloca" nei vari settori, sopratutto dell'agricoltura stagionale.
Ora vengono "sgomberati", per adesso a Crotone, poi chissà.
Intervistati, alcuni di loro, fanno nomi di città come Milano, Roma, Firenze, Livorno, a chi gli chiede se lì troveranno lavoro, la risposta sempre la solita, no, niente lavoro, niente soldi.
Da una situazione di marginalità all'altra, senza nome, senza diritti.
La crisi colpisce anche loro, strato più basso della società, "sfrattati" dal loro ruolo di schiavi, ormai inutilizzati a libro paga probabilmente della "Ndrangheta", lavoratori anch'essi in esubero.
No problem, ci pensa Maroni, una mano di vernice e gli immigrati non ci sono più, a Rosarno.
In attesa che ritornino a spuntare come tante macchie nere, da qualche altra parte, in questo nostro disastrato e sempre più stupidamente razzista, paese.
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giovedì 7 gennaio 2010
La Stagione dell'Amore, viene e va anche a Sinistra.
"La stagione dell'Amore viene e va, i desideri non invecchiano con l'età", cantava nel 1983 Franco Battiato nell'album "Orizzonti perduti".
A guardare quest'immagine, con il testo, che scorre cantato dall'artista siciliano, all'ascolto, parebbe davvero che la canzone sia stata scritta per questo incredibile passaggio della politica italiana a sinistra.
Che sia davvero possibile riunire gli ex "fratelli coltelli" della sinistra minoritaria?
Aldilà di enfatiche immagini c'è di che essere cauti.
Molto dipenderà da fattori esterni alla Federazione dalla Sinistra e a Sinistra Ecologia e Libertà.
Come al solito i pesi decisivi che faranno muovere la bilancia, saranno altri, materializzandoli politicamente si chiamano Partito Democratico e UDC.
Tutto passa per la candidatura a Presidente della Regione Puglia, in cui, il PD, nelle ultime settimane ha dato prova di schizofrenia e pericolosa disunità, impantandosi in più di una posizione e tirando fuori dal cilindro più di un candidato dopo lo stop degli iscritti alla candidatura unica di Emiliano.
I quotidiani di questi giorni, ironizzano sul nome del candidato nuovo(?) Boccia che di fatto tanto nuovo non è, dato che fu all'epoca delle scorse regionali pugliesi, già candidato e sconfitto dal governatore uscente, Vendola, appunto.
Un nome tirato fuori dal cilindro di fatto solo per "bocciare", "Nikita", così ben visto anche da diversi elettori del PD in Puglia e pericoloso antagonista a due candidati un po' "debolucci", come Emiliano, già sindaco di Bari e appunto Boccia.
In tutto questo scenario, cala l'ombra di una corte serrata al partitino più in voga dell'arco parlamentare, l'UDC di Casini, strattonato da più parti sia dal PDL che dal PD.
Partito Democratico, che con l'occhio lunghissimo, mira a preparare l'imbarco di Casini in una eventuale alleanza per le prossime elezioni politiche, che se il governo Berlusconi reggerà, saranno nel 2013.
Una tattica per uscire da un'alleanza a braccetto dell'IDV, alleato "impossibile", vera spina nel fianco, di un partito come quello Democratico, in pericolosa discesa ma sopratutto perennemente in confronto con la linea "dura" dell'Italia dei Valori nei confronti dell'arcinemico Berlusconi.
Appare chiaro dunque, che nel caso in Puglia e in altre regioni venga imbarcato l'UDC, un'eventuale alleanza, sui contenuti, per le prossime regionali, diverrebbe impossibile con la Federazione della Sinistra e vedrebbe, nonostante quest'ultimo non sia contrario ad alleanze "allargate", estromesso Vendola che sappiamo bene, quanto sia restio a tirarsi indietro riguardo l'esercizio del potere.
Si prospetterebbe un clamoroso traghetto, quasi una "love boat" che potrebbe vedere, nel caso Vendola "mollasse" (o venisse mollato) il PD, sostenuto trasversalmente anche dalla Federazione della Sinistra di PRC-PDCI-Socialismo2000, in una "reunion" anti litteram" al congresso del 2008 di Rifondazione Comunista.
Sapete, ormai bene tutti, come il sottoscritto la pensi, sull'uomo "nuovo" della sinistra Nichi Vendola.
Lo ritengo il maggior (se non proprio l'unico) responsabile della deleteria scissione avvenuta nel PRC, così come è impossibile non vedere certe sue zone d'ombra di ambiguità politica o tanto meno dimenticare come, il nostro, abbia tentato di soffocare il PRC con "cammellamenti vari" e colpi di mano più o meno diretti prima di abbandonare la nave tra le polemiche, in favore di un nuovo soggetto-scorciatoia prima movimentista poi di fatto svelato per quello che era, solo un cartello elettorale.
Senza il leaderismo di Vendola forse, oggi avremmo una sinistra extra PD più forte, presente al parlamento europeo e in pesante divenire di fronte alla stasi programmatica del PD.
Partito Democratico, visto da Vendola, sempre come unico e solo interlocutore possibile, che poi, a conti fatti sa fare quello che da sempre lo "stalinismo" di certi vecchi dirigenti (sopratutto di origine pugliese) sanno fare meglio, ovvero i propri interessi.
Scaricato da D'Alema, che lo ha strumentalizzato in tutte le maniere possibili sin dai tempi del congresso di Rifondazione, nel tentativo, quasi riuscito di cancellare l'alternativa reale al PD, o anche di delegittimare Veltroni a capo del partito (tentativo riuscitissimo), il governatore pugliese si trova emarginato nella difficile situazione politica, di dover decidere come e dove stare.
Basteranno le primarie del PD ad aiutarlo in questa per niente difficile scelta?
Vendola in caso di sconfitta, minaccia come al solito di "fare le valigie", autosostenendosi in una candidatura in cui cercherebbe la sponda (possibilista) di Ferrero e della Fed. della Sinistra.
A che prezzo?
Un prezzo sicuramente alto, vista la dismissione del progetto Sinistra Ecologia e Libertà, mai partito veramente.
Riusciranno quindi i nostri eroi a fare il cosiddetto "passo indietro"?
Pare proprio di sì, "l'amaro calice" è già pronto, tra i mugugni degli elettori delle minoranze di entrambi gli schieramenti.
Personalmente, credo che in fondo, se Vendola, si svincolerà veramente senza ambiguità dal PD, l'unica strada possibile, sarà quella di un suo sostegno in Puglia, anche da parte della Federazione della Sinistra, per non ripetere l'incredibile situazione delle europee in cui due nani si accapigliano per non soccombere, soccombendo invece entrambi, perchè schiacciati dallo sbarramento elettorale.
Mettendo per un attimo da parte rancori e travasi di bile passati.
A condizione però di una presa di coscienza del governatore uscente, rispetto al livello completo delle regionali prossime di marzo, in cui posizioni ambigue del suo partito non saranno più tollerate.
Ma sopratutto che gli "orizzonti perduti", tanto cari al documento congressuale firmato ai tempi di Rifondazione Comunista dallo stesso Vendola, come dice Battiato, "non si scordano mai"(sopratutto se servono a cancellare con poesia, un partito) ma nemmeno "ritornano mai"...
A guardare quest'immagine, con il testo, che scorre cantato dall'artista siciliano, all'ascolto, parebbe davvero che la canzone sia stata scritta per questo incredibile passaggio della politica italiana a sinistra.
Che sia davvero possibile riunire gli ex "fratelli coltelli" della sinistra minoritaria?
Aldilà di enfatiche immagini c'è di che essere cauti.
Molto dipenderà da fattori esterni alla Federazione dalla Sinistra e a Sinistra Ecologia e Libertà.
Come al solito i pesi decisivi che faranno muovere la bilancia, saranno altri, materializzandoli politicamente si chiamano Partito Democratico e UDC.
Tutto passa per la candidatura a Presidente della Regione Puglia, in cui, il PD, nelle ultime settimane ha dato prova di schizofrenia e pericolosa disunità, impantandosi in più di una posizione e tirando fuori dal cilindro più di un candidato dopo lo stop degli iscritti alla candidatura unica di Emiliano.
I quotidiani di questi giorni, ironizzano sul nome del candidato nuovo(?) Boccia che di fatto tanto nuovo non è, dato che fu all'epoca delle scorse regionali pugliesi, già candidato e sconfitto dal governatore uscente, Vendola, appunto.
Un nome tirato fuori dal cilindro di fatto solo per "bocciare", "Nikita", così ben visto anche da diversi elettori del PD in Puglia e pericoloso antagonista a due candidati un po' "debolucci", come Emiliano, già sindaco di Bari e appunto Boccia.
In tutto questo scenario, cala l'ombra di una corte serrata al partitino più in voga dell'arco parlamentare, l'UDC di Casini, strattonato da più parti sia dal PDL che dal PD.
Partito Democratico, che con l'occhio lunghissimo, mira a preparare l'imbarco di Casini in una eventuale alleanza per le prossime elezioni politiche, che se il governo Berlusconi reggerà, saranno nel 2013.
Una tattica per uscire da un'alleanza a braccetto dell'IDV, alleato "impossibile", vera spina nel fianco, di un partito come quello Democratico, in pericolosa discesa ma sopratutto perennemente in confronto con la linea "dura" dell'Italia dei Valori nei confronti dell'arcinemico Berlusconi.
Appare chiaro dunque, che nel caso in Puglia e in altre regioni venga imbarcato l'UDC, un'eventuale alleanza, sui contenuti, per le prossime regionali, diverrebbe impossibile con la Federazione della Sinistra e vedrebbe, nonostante quest'ultimo non sia contrario ad alleanze "allargate", estromesso Vendola che sappiamo bene, quanto sia restio a tirarsi indietro riguardo l'esercizio del potere.
Si prospetterebbe un clamoroso traghetto, quasi una "love boat" che potrebbe vedere, nel caso Vendola "mollasse" (o venisse mollato) il PD, sostenuto trasversalmente anche dalla Federazione della Sinistra di PRC-PDCI-Socialismo2000, in una "reunion" anti litteram" al congresso del 2008 di Rifondazione Comunista.
Sapete, ormai bene tutti, come il sottoscritto la pensi, sull'uomo "nuovo" della sinistra Nichi Vendola.
Lo ritengo il maggior (se non proprio l'unico) responsabile della deleteria scissione avvenuta nel PRC, così come è impossibile non vedere certe sue zone d'ombra di ambiguità politica o tanto meno dimenticare come, il nostro, abbia tentato di soffocare il PRC con "cammellamenti vari" e colpi di mano più o meno diretti prima di abbandonare la nave tra le polemiche, in favore di un nuovo soggetto-scorciatoia prima movimentista poi di fatto svelato per quello che era, solo un cartello elettorale.
Senza il leaderismo di Vendola forse, oggi avremmo una sinistra extra PD più forte, presente al parlamento europeo e in pesante divenire di fronte alla stasi programmatica del PD.
Partito Democratico, visto da Vendola, sempre come unico e solo interlocutore possibile, che poi, a conti fatti sa fare quello che da sempre lo "stalinismo" di certi vecchi dirigenti (sopratutto di origine pugliese) sanno fare meglio, ovvero i propri interessi.
Scaricato da D'Alema, che lo ha strumentalizzato in tutte le maniere possibili sin dai tempi del congresso di Rifondazione, nel tentativo, quasi riuscito di cancellare l'alternativa reale al PD, o anche di delegittimare Veltroni a capo del partito (tentativo riuscitissimo), il governatore pugliese si trova emarginato nella difficile situazione politica, di dover decidere come e dove stare.
Basteranno le primarie del PD ad aiutarlo in questa per niente difficile scelta?
Vendola in caso di sconfitta, minaccia come al solito di "fare le valigie", autosostenendosi in una candidatura in cui cercherebbe la sponda (possibilista) di Ferrero e della Fed. della Sinistra.
A che prezzo?
Un prezzo sicuramente alto, vista la dismissione del progetto Sinistra Ecologia e Libertà, mai partito veramente.
Riusciranno quindi i nostri eroi a fare il cosiddetto "passo indietro"?
Pare proprio di sì, "l'amaro calice" è già pronto, tra i mugugni degli elettori delle minoranze di entrambi gli schieramenti.
Personalmente, credo che in fondo, se Vendola, si svincolerà veramente senza ambiguità dal PD, l'unica strada possibile, sarà quella di un suo sostegno in Puglia, anche da parte della Federazione della Sinistra, per non ripetere l'incredibile situazione delle europee in cui due nani si accapigliano per non soccombere, soccombendo invece entrambi, perchè schiacciati dallo sbarramento elettorale.
Mettendo per un attimo da parte rancori e travasi di bile passati.
A condizione però di una presa di coscienza del governatore uscente, rispetto al livello completo delle regionali prossime di marzo, in cui posizioni ambigue del suo partito non saranno più tollerate.
Ma sopratutto che gli "orizzonti perduti", tanto cari al documento congressuale firmato ai tempi di Rifondazione Comunista dallo stesso Vendola, come dice Battiato, "non si scordano mai"(sopratutto se servono a cancellare con poesia, un partito) ma nemmeno "ritornano mai"...
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martedì 5 gennaio 2010
Il PD nella bufera delle riforme.
Inizia il nuovo anno, all'insegna dell'amore universale, dopo l'attentato (?) a Silvio Berlusconi, ma nonostante un clima disteso, la situazione non pare cambiare per il Partito Democratico.
Un partito che ormai appare quasi come un animale mitologico, fatto di animali e pezzi di animali diversi, tenuti faticosamente assieme, ma che non incutono timore.
Non una chimera, non un grifone, il PD, sembra più un esperimento genetico riuscito male, un azzardo politico, in questo caso, ma che non ha trovato fusione.
Le polemiche dei giorni scorsi, riguardo le varie candidature per le elezioni regionali, sopratutto di Puglia e Calabria, misurano la temperatura di un partito, sempre più febbricitante.
Un partito, in difficoltà sopratutto nella propria collocazione politica, ambigua e lontana da certe pratiche "democratiche" come le primarie, oggi quasi una condanna per il PD, che invece di un'invenzione positiva, sono diventate un'arma a doppio taglio.
Lo spauracchio di una perdita di controllo sulla base, però, non è il solo problema con cui i dirigenti del partito si dovranno misurare, viste le polemiche di questi giorni, sulla questione delle "riforme".
Un argomento sulla bocca di tutta la classe politica, tranne che su quella degli elettori, un argomento caldo, invocato dalla Lega quanto dal PDL tutto.
Una discussione che passa attraverso la riforma della Costituzione, aldilà del silenzio di gran parte degli organi d'informazione, in un attacco a quest'ultima, duro, grave, senza precedenti.
Se infatti mesi addietro la carta costituzionale pareva l'ultimo baluardo a dividere i due grandi partiti contenitore italiani, oggi quest'ultima difesa pare assottigliarsi sempre più, fino a divenire un sottilissimo velo.
Le parole del ministro Brunetta, come una stilettata, colpiscono volutamente dove fa più male, come a saggiare il limite in cui spingersi al massimo, in attesa di un nuovo affondo.
Vittima, la democrazia repubblicana, agnello sacrificale sull'altare del nuovismo e sullo scambio di favori, tra i "berluscones" e i democratici, che evidentemente non hanno del tutto abbandonato l'idea di un sistema bipolare e sopratutto bipartisan.
La levata di scudi a difesa dell'articolo 1, minacciato dal ministro Brunetta, pare, rivolgendo lo sguardo alla massa piddina, un riflesso superficiale, a un colpo, appunto, troppo in profondità.
Mentre in realtà, "l'inciucio" tanto sventolato da Antonio Di Pietro e dalla stampa indipendente, sembra piuttosto chiaro, il campo, forse, le elezioni regionali, uno scambio di favori politici in base alle possibili candidature, più o meno forti da parte del PDL in alcune regioni, tese ovviamente a favorire il candidato opposto.
In cambio della possibilità di un'intesa, larga che vada dalle "riforme" istituzionali, fino su, su, agli articoli della costituzione italiana.
Uno scambio di "prigionieri", in cui ci sono in mezzo non solo i diritti democratici della Repubblica, ma anche i poteri della magistratura, l'accrescimento dei poteri del presidente del consiglio e altre amenità, di cui i grandi giornali parlano superficialmente, concentrati solo sulla polemica fittizia.
In mezzo, uno scontro tra alleati attuali e presunti, in cui danzano in un balletto giornaliero di dichiarazioni e polemiche, l'Italia dei Valori e l'UDC di Casini.
Uno scenario nebuloso, in cui il Partito Democratico, rimane congelato, tra trattative sottobanco e problemi interni al partito e con la base elettorale, sempre più spinosi da risolvere, come nel caso delle primarie in Puglia, in cui oggi è spuntato un terzo candidato, Francesco Boccia, di fatto per rafforzare il partito dalla minaccia del carisma dell'attuale governatore pugliese, Nichi Vendola.
All'orizzonte ben poche idee, con la sensazione, sempre più palpabile che l'attuale segretario, Bersani, sia sempre più solo al comando di una nave, la cui rotta non è chiara e il timone sempre più spesso strattonato dai veri "dirigenti occulti", in lotta tra loro, con il rischio grosso, di avvicinarsi al solito "iceberg" di sempre, letale come già nel 1994 e nel 2008, un iceberg, chiamato Silvio Berlusconi.
Un partito che ormai appare quasi come un animale mitologico, fatto di animali e pezzi di animali diversi, tenuti faticosamente assieme, ma che non incutono timore.
Non una chimera, non un grifone, il PD, sembra più un esperimento genetico riuscito male, un azzardo politico, in questo caso, ma che non ha trovato fusione.
Le polemiche dei giorni scorsi, riguardo le varie candidature per le elezioni regionali, sopratutto di Puglia e Calabria, misurano la temperatura di un partito, sempre più febbricitante.
Un partito, in difficoltà sopratutto nella propria collocazione politica, ambigua e lontana da certe pratiche "democratiche" come le primarie, oggi quasi una condanna per il PD, che invece di un'invenzione positiva, sono diventate un'arma a doppio taglio.
Lo spauracchio di una perdita di controllo sulla base, però, non è il solo problema con cui i dirigenti del partito si dovranno misurare, viste le polemiche di questi giorni, sulla questione delle "riforme".
Un argomento sulla bocca di tutta la classe politica, tranne che su quella degli elettori, un argomento caldo, invocato dalla Lega quanto dal PDL tutto.
Una discussione che passa attraverso la riforma della Costituzione, aldilà del silenzio di gran parte degli organi d'informazione, in un attacco a quest'ultima, duro, grave, senza precedenti.
Se infatti mesi addietro la carta costituzionale pareva l'ultimo baluardo a dividere i due grandi partiti contenitore italiani, oggi quest'ultima difesa pare assottigliarsi sempre più, fino a divenire un sottilissimo velo.
Le parole del ministro Brunetta, come una stilettata, colpiscono volutamente dove fa più male, come a saggiare il limite in cui spingersi al massimo, in attesa di un nuovo affondo.
Vittima, la democrazia repubblicana, agnello sacrificale sull'altare del nuovismo e sullo scambio di favori, tra i "berluscones" e i democratici, che evidentemente non hanno del tutto abbandonato l'idea di un sistema bipolare e sopratutto bipartisan.
La levata di scudi a difesa dell'articolo 1, minacciato dal ministro Brunetta, pare, rivolgendo lo sguardo alla massa piddina, un riflesso superficiale, a un colpo, appunto, troppo in profondità.
Mentre in realtà, "l'inciucio" tanto sventolato da Antonio Di Pietro e dalla stampa indipendente, sembra piuttosto chiaro, il campo, forse, le elezioni regionali, uno scambio di favori politici in base alle possibili candidature, più o meno forti da parte del PDL in alcune regioni, tese ovviamente a favorire il candidato opposto.
In cambio della possibilità di un'intesa, larga che vada dalle "riforme" istituzionali, fino su, su, agli articoli della costituzione italiana.
Uno scambio di "prigionieri", in cui ci sono in mezzo non solo i diritti democratici della Repubblica, ma anche i poteri della magistratura, l'accrescimento dei poteri del presidente del consiglio e altre amenità, di cui i grandi giornali parlano superficialmente, concentrati solo sulla polemica fittizia.
In mezzo, uno scontro tra alleati attuali e presunti, in cui danzano in un balletto giornaliero di dichiarazioni e polemiche, l'Italia dei Valori e l'UDC di Casini.
Uno scenario nebuloso, in cui il Partito Democratico, rimane congelato, tra trattative sottobanco e problemi interni al partito e con la base elettorale, sempre più spinosi da risolvere, come nel caso delle primarie in Puglia, in cui oggi è spuntato un terzo candidato, Francesco Boccia, di fatto per rafforzare il partito dalla minaccia del carisma dell'attuale governatore pugliese, Nichi Vendola.
All'orizzonte ben poche idee, con la sensazione, sempre più palpabile che l'attuale segretario, Bersani, sia sempre più solo al comando di una nave, la cui rotta non è chiara e il timone sempre più spesso strattonato dai veri "dirigenti occulti", in lotta tra loro, con il rischio grosso, di avvicinarsi al solito "iceberg" di sempre, letale come già nel 1994 e nel 2008, un iceberg, chiamato Silvio Berlusconi.
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