Il direttore intercambiabile, Vittorio Feltri, che una volta dirige il Giornale e un altra fa a scambio con la sua copia giornalistica - Belpietro - alla direzione dell'altro quotidiano destrorso Libero, (tanto che i due fogli, sembrano un unico grande quotidiano difficile da distinguere), oggi, è riuscito nel difficilissimo compito di superare in peggio se stesso.
Se esiste una dignità, oltre alla deontologia professionale, Feltri, da oggi vi rinuncia nel peggiore dei modi, attraverso un delirio giornalistico in cui esprime tesi bizzare che farebbero impallidire la logica di un undicenne.
Già nei giorni scorsi, i pennivendoli di destra erano riusciti a prevedere i mandanti dell'attentato di Oslo - i terribili terroristi islamici di Al Qaeda, orfani di Bin Laden - salvo poi dover ritrattare dopo che l'attentatore si svelava ariano, cristiano ortodosso, e sopratutto di destra; oggi, la perla giornalistica oltre ogni limite della ragione umana.
Se già secondo Feltri il problema non era lo squilibrio mentale di un uomo trentenne e le tendenze estremiste di nuovi blocchi politici di destra, ma piuttosto il "multiculturalismo" - "il razzismo e il multiculturalismo, (quindi l'accoglienza degli islamici) sono due facce della stessa medaglia.
Se si vuole eliminare il razzismo, basta eliminare il multiculturalismo" - oggi addirittura il nostro, dopo l'apologia razzista dalle colonne del Giornale, ci sfodera pure le sue doti scientifiche di matematico-antropologo, riuscendo nel difficile compito di sintetizzare le due discipline in una sola semplice equazione.
Alla base di tutto, l'egoismo.
Si, perchè in fondo in fondo, questi ragazzotti laburisti, in gita sull'isola-fiordo norvegese, hanno come al solito manifestato, una delle caratteristiche tipiche della "sinistra", l'essere pavidi, senza coraggio, ma sopratutto egoisti.
Secondo il fine ragionamento di antropologia spiccia di Feltri, anche "gli animali, hanno capito che conviene riunirsi contro il nemico naturale, in branco", ma gli animali non conoscono l'egoismo e preferiscono il "bene comune", il bene del "branco" a quello individuale.
Se già questo basterebbe a far vacillare la credibilità sulla reputazione del direttore, (e a muovere qualche obiezione bio/etologica) c'è pure dell'altro e qui a vacillare non è più la considerazione professionale, ma la sanità mentale dello stesso.
Feltri fa un semplice calcolo matematico, anzi aritmetico, in fondo, pensa il direttore, sull'isola c'erano 500 persone, fossero state 15 sarebbe stato difficile...ma insomma, erano 500 contro uno...vabbè lui era armato, ma si fossero tutte scagliate contro di lui...si probabilmente qualcun'altro sarebbe anche morto nel tentativo, ma prima o poi, "l'unione avrebbe fatto la forza" e dunque il mostro sarebbe stato sopraffatto...
Perchè dunque nessuno ha reagito?
Ma si sa, l'egoismo umano, se poi è innestato ad una formazione culturale e politica di sinistra, non può che produrre cittadini pavidi come quei ragazzi norvegesi, incapaci di replicare al signor Breivik, templare-nazista-cristiano dei giorni nostri.
Dunque seguendo lo stesso filo logico, il paragone più banale che viene da fare è quello con lo sterminio degli ebrei nei lager nazisti, in fondo vuoi mettere 6 milioni di ebrei contro "poche" centinaia di migliaia" di SS?
Anche gli ebrei però sono pavidi e a volte sono pure di sinistra, vedi Marx, padre di quella dottrina marxista, tanto odiata dall'attentatore di Oslo e progenitore del multiculturalismo inquinante la purezza "europea".
Qualcuno un giorno spiegherà a certi teorici che l'Europa, si è formata per via dell'unione e della fusione di ceppi etnici diversissimi tra loro ed è quindi ovviamente, per sua stessa natura un'insieme multiculturale, prima che esistessero divisioni politiche e giuridiche tra una nazione e l'altra a giustificare bislacchi sensi di appartenenza etnica o nazionalista.
Quello che rimane intatto e cieco, dopo tali digressioni, è l'odio, che si scontra con la vera differenza tra noi è la maggior parte del mondo animale, ovvero la capacità di ragionamento, che nell'essere umano può produrre devastanti e opposti effetti, può cioè, far pianificare un piano criminale, o può far comprendere empaticamente - cosa che avrebbe dovuto fare Feltri dall'alto della sua intelligenza ed esperienza di giornalista - che, il nostro percepire noi stessi e il nostro senso del pericolo, il nostro istinto di conservazione, non sempre vanno di pari passo con la "ratio" (in questa situazione è proprio il caso di dire, estrema) e magari si scontrano con la paura, direi sentimento normalissimo in certi casi, di perdere la cosa più preziosa, la propria vita.
Feltri, quando si esprime in questi termini, non fa che la stessa cosa dell'attentatore norvegese, mette da parte la sua capacità di ragionamento, la sua intelligenza, anche emotiva e la usa al suo servizio, piegandola ai propri interessi astratti e in questo, è assolutamente ed egualmente pericoloso, perchè da adito, a frange estreme di sentirsi in qualche modo qualificate a covare risentimento, contro una massa di paurosi e spiantati giovani senza ideali che non sanno nemmeno difendere loro stessi.
Che era un po' anche lo stesso senso e l'imputazione di colpa alla base delle deliranti righe lanciate su internet poche ore prima della strage, dall'attentatore norvegese.
All'eroe Feltri che si sarebbe sicuramente scagliato contro l'arcinemico nazista per proteggere qualche giovane vita, allora dico, parlando da profano di etologia, che se è vero che un branco di iene si coalizza contro un solo leone, perchè ha anche armi di offesa, è anche vero che chi non ha armi di offesa ma solo di difesa, non può far altro che fare l'unica cosa che sa fare e cioè correre, come fa appunto un branco di gazzelle.
Ma sopratutto, caro Feltri, io di leoni con in braccio un fucile, non ne ho mai visti.
lunedì 25 luglio 2011
sabato 7 maggio 2011
Osama Bin Laden è morto. Oppure no.
La notizia, che si è rincorsa più volte in questi giorni, è finalmente arrivata.
Con l'ufficialità del Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama.
Il nemico dei nemici, il primo della lista nera degli USA, il terrorista superpericoloso, è finalmente morto.
Come e quando, è difficile stabilirlo.
Sul web, come spesso accade, una rete intricata di informazioni, stringe sui legacci, rendendo difficile dipanare la matassa della Verità.
Foto del presunto cadavere prima pubblicate, poi smentite, poi "superate" da altre più recenti, confondono ancora di più la scena.
Sullo sfondo a fare da eco le dichiarazioni dei "leaders" mondiali ed italiani che commentano l'accaduto.
E' un coro di retorica e frasi ridondanti, dove l'enfasi funge da cosmesi per le parole - tanto banali quanto agghiaccianti - a commento dell'accaduto.
Ha dichiarato a caldo Berlusconi, è "un grande risultato nella lotta contro il Male"; "E’ una vittoria del Bene contro il Male", ha esultato Frattini.
Bersani, che non si è distinto dagli avversari politici, per "profondità" di dichiarazioni, si è congratulato con il governo e il popolo americano per la fine del "Principe della barbarie e della guerra fra civiltà". Barack Obama, si è limitato a dire, più semplicemente "giustizia è fatta".
Ciò che sfugge a tutti è il modo a cui si è arrivati all'uccisione del Nemico numero uno, ovvero senza un regolare processo, in cui giudicare "l'imputato".
La maniera, molto "yankee", di vendicare il torto subito attraverso l'uso della forza e col ricorso all'uccisione tramite arma da fuoco, fa a pugni con il ruolo che da sempre è assegnato agli USA; quello di "arbitro" dello "schacchiere" geopolitico mondiale.
Insomma "i Buoni", non hanno bisogno di spiegare perchè e come hanno distrutto "i Cattivi".
L'Asse del Male è crollato finalmente, sotto i colpi della democrazia in salsa americana, manco fosse il finale di un film di John Wayne.
Il "blitz", però, in cui sarebbe avvenuto il tutto, ha ben poco di scenografico e molto in comune con la squallida vita reale, seppure di un terrorista milionario.
Niente grotte, ne inseguimenti tra le montagne di Pakistan o Afghanistan, ma soltanto un'incursione in una villa-fortino, alla presenza della numerosa famiglia del defunto.
Il resto, la colluttazione, il numero dei morti, il corpo, l'identificazione o quant'altro, è tutto avvolto nel più assoluto mistero.
"Omissis", riserbo, silenzio, come la scia di un pennarello nero, sui tanti documenti desecretati, in questi anni dalla nazione a stelle e strisce.
"Omissis", riserbo, silenzio, come la scia di un pennarello nero, sui tanti documenti desecretati, in questi anni dalla nazione a stelle e strisce.
Si parla di un cadavere, ma senza nessuna foto, come di altri morti nella probabile colluttazione, così come si parla di una frettolosa rimozione del corpo, addirittura "seppellito" in fondo all'oceano onde evitare un possibile luogo di culto su una eventuale tomba sulla terraferma.
Eppure di altri pericolosi nemici si è visto tutto e di più, come in una sorta di insano reality, basti pensare alla morte di Saddam Hussein, accompagnato dalle telecamere fin sul patibolo e poi, rilanciato nell'etere, dai media di tutto il mondo.
Perchè?
Perchè il fantasma di tutti i fantasmi, l'ombra più nera, il personaggio più criptico, nemmeno in punto di morte, nemmeno quando, scovato dai suoi inseguitori, senza scampo, è divenuto segno tangibile?
Perchè proprio gli USA che da sempre hanno avuto il piacere di esporre i propri "trofei" di guerra, loro che hanno enfatizzato attraverso le immagini i valichi storici più importanti, perchè proprio la nazione che si premurò di mostrare il rivoluzionario Ernesto "Che" Guevara morto, in una sorta di macabro avvertimento, hanno deciso di stendere una sorta di "velo pietoso" su un così tanto odiato nemico?
Probabilmente questa domanda non troverà mai risposta, così come non sapremo mai esattamente come si è svolto il blitz, quante persone vi hanno preso parte, se e come i familiari dello sceicco sono stati coinvolti, dove sia stato realmente seppellito (o inabissato?) il corpo.
Ma non è l'unica domanda che rimarrà disattesa.
Ancora oggi risultano nascosti i motivi per cui lo "sceicco del Terrore", figlio di una delle famiglie più ricche in assoluto della Terra, presenti attraverso partecipazioni azionarie e holding, nelle società multinazionali più potenti e importanti del mondo avrebbe dovuto attaccare gli Stati Uniti in nome della "Guerra Santa".
Così come non si capiscono gli intrecci tra due famiglie di potenti del petrolio, la famiglia Bush e quella appunto dei Bin Laden, da sempre partner e poi ad inizio millennio curiosamente contrapposte in opposti estremismi.
Così come rimane difficile capire perchè, siano stati accomunati due leader diversi, se non proprio opposti, come il "laico" Saddam Hussein e il "fondamentalista" Osama Bin Laden agli occhi degli Stati Uniti, tanto da proseguire la "lotta contro l'Asse del Male" anche in Iraq, quando in realtà non c'è mai stata nessuna connessione politica o ideologica tra i due capi.
Quello che invece si palesa, in tutta la sua ipocrita carica contraddittoria è il giudizio perentorio dell'Occidente contro l'Oriente islamico.
In uno scontro di "fondamentalismi" ideologico religiosi, come maschere, si intravedono evidenti secondi fini di natura economica.
Allora, la battaglia degli USA e dei loro alleati contro il medio oriente, non può che essere la lotta tra il Bene ed il Male, dei Buoni contro i Cattivi, della Giustizia e della Libertà, contro la chiusura mentale del mondo islamico.
Non può esserci risposta dunque, che violenta, per l'attacco dell'undici settembre 2001, anche se questa - nella stessa maniera in cui gli attacchi terroristici hanno coinvolto persone innocenti - ha portato a "danni collaterali" tra i civili di Afghanistan ed Iraq causando centinaia di migliaia di morti, distruzione e povertà in maniera ugualmente distruttiva e barbarica.
Quale "ratio" dunque a dividere i Buoni dai Cattivi?
Quale differenza tra opposti estremismi?
Se Bin Laden è morto veramente, se fosse un terrorista, o un pazzo squilibrato o una agente della CIA, come vorrebbero le teorie della "cospirazione", non lo sapremo probabilmente mai.
Ciò che rimane, sullo sfondo, è il campo, quello sì, reale e concreto, di uno scontro tra civiltà, che non può che acuire profondamente le differenze e le rivalse, così come l'odio tra il mondo occidentale, cristiano, in mano ai "falchi" USA e quello medio-orientale, islamico, degli sceicchi del petrolio e della "Sharia" integralista.
Un confronto tra versioni diverse, diametralmente opposte, in apparenza del mondo.
La sensazione invece è che al vertice dei "due mondi", vi siano le stesse persone, il solito modo di pensare, i medesimi interessi, che hanno l'unico fine di creare uno "scontro tra civiltà", come apparente motivo di giustificazione per una base popolare, come al solito all'oscuro di trame ordite sopra le proprie teste.
Osama Bin Laden è morto, sì, forse, probabilmente.
Sicuramente non è morto il "fondamentalismo", espediente classico per il raggiungimento dei propri fini (spesso economici) delle plutocrazie.
Probabilmente questa domanda non troverà mai risposta, così come non sapremo mai esattamente come si è svolto il blitz, quante persone vi hanno preso parte, se e come i familiari dello sceicco sono stati coinvolti, dove sia stato realmente seppellito (o inabissato?) il corpo.
Ma non è l'unica domanda che rimarrà disattesa.
Ancora oggi risultano nascosti i motivi per cui lo "sceicco del Terrore", figlio di una delle famiglie più ricche in assoluto della Terra, presenti attraverso partecipazioni azionarie e holding, nelle società multinazionali più potenti e importanti del mondo avrebbe dovuto attaccare gli Stati Uniti in nome della "Guerra Santa".
Così come non si capiscono gli intrecci tra due famiglie di potenti del petrolio, la famiglia Bush e quella appunto dei Bin Laden, da sempre partner e poi ad inizio millennio curiosamente contrapposte in opposti estremismi.
Così come rimane difficile capire perchè, siano stati accomunati due leader diversi, se non proprio opposti, come il "laico" Saddam Hussein e il "fondamentalista" Osama Bin Laden agli occhi degli Stati Uniti, tanto da proseguire la "lotta contro l'Asse del Male" anche in Iraq, quando in realtà non c'è mai stata nessuna connessione politica o ideologica tra i due capi.
Quello che invece si palesa, in tutta la sua ipocrita carica contraddittoria è il giudizio perentorio dell'Occidente contro l'Oriente islamico.
In uno scontro di "fondamentalismi" ideologico religiosi, come maschere, si intravedono evidenti secondi fini di natura economica.
Allora, la battaglia degli USA e dei loro alleati contro il medio oriente, non può che essere la lotta tra il Bene ed il Male, dei Buoni contro i Cattivi, della Giustizia e della Libertà, contro la chiusura mentale del mondo islamico.
Non può esserci risposta dunque, che violenta, per l'attacco dell'undici settembre 2001, anche se questa - nella stessa maniera in cui gli attacchi terroristici hanno coinvolto persone innocenti - ha portato a "danni collaterali" tra i civili di Afghanistan ed Iraq causando centinaia di migliaia di morti, distruzione e povertà in maniera ugualmente distruttiva e barbarica.
Quale "ratio" dunque a dividere i Buoni dai Cattivi?
Quale differenza tra opposti estremismi?
Se Bin Laden è morto veramente, se fosse un terrorista, o un pazzo squilibrato o una agente della CIA, come vorrebbero le teorie della "cospirazione", non lo sapremo probabilmente mai.
Ciò che rimane, sullo sfondo, è il campo, quello sì, reale e concreto, di uno scontro tra civiltà, che non può che acuire profondamente le differenze e le rivalse, così come l'odio tra il mondo occidentale, cristiano, in mano ai "falchi" USA e quello medio-orientale, islamico, degli sceicchi del petrolio e della "Sharia" integralista.
Un confronto tra versioni diverse, diametralmente opposte, in apparenza del mondo.
La sensazione invece è che al vertice dei "due mondi", vi siano le stesse persone, il solito modo di pensare, i medesimi interessi, che hanno l'unico fine di creare uno "scontro tra civiltà", come apparente motivo di giustificazione per una base popolare, come al solito all'oscuro di trame ordite sopra le proprie teste.
Osama Bin Laden è morto, sì, forse, probabilmente.
Sicuramente non è morto il "fondamentalismo", espediente classico per il raggiungimento dei propri fini (spesso economici) delle plutocrazie.
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domenica 24 aprile 2011
La democrazia diversa di Vittorio Arrigoni.
Questo, è il blog di Vittorio Arrigoni:
http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Uno spazio vuoto semplicemente perchè, il suo creatore è stato ucciso, da dei "sedicenti terroristi" islamici la notte del 14 o 15 aprile.
Fa molta impressione vedere che, lo spazio, regolarmente aggiornato da Vittorio, rechi impressa nel counter dei post, la data proprio del 14 aprile.
Pare una sorta di macabro epitaffio, un pezzo interrotto di vita, un anello di catena spezzato tra un "prima" e un "dopo" che non ci sarà mai, sperso in quell'infinito fiume di informazioni che è la rete di Internet.
Vittorio Arrigoni, pacifista italiano di trentacinque anni, collaboratore de Il Manifesto e di Peacereporter, noto per essere diventato tristemente famoso - in relazione all'operazione Piombo Fuso, di Israele - nel 2004 proprio grazie alla nascita del suo blog, era diventato, proprio perchè puntiglioso e puntuale, nel riferire quanto accadeva nella "striscia" di Gaza, "persona non gradita" in Israele e inserito nella "lista nera" dello stato ebraico.
Uno stato che attraverso le proprie forze militari, si era più volte "scontrato" con Arrigoni, "complice" di denunciare le brutali repressioni di Israele nei confronti dei palestinesi, arrivando addirittura a ridurlo in fin di vita nel 2008, quando dopo l'incarcerazione e le torture fu selvaggiamente picchiato e "rilasciato" oltre il confine giordano, prima di essere salvato da un gruppo di militari giordani.
La morte di Arrigoni ancora avvolta nel mistero, arriva in un momento in cui, l'opinone pubblica mondiale è concentrata da mesi sulle "rivoluzioni del medio-oriente", sui "ribelli" egiziani, tunisini, sui movimenti anti-Gheddafi, sul tumulto giovanile che sta spazzando le coste del sud del Mediterraneo.
Peccato che da anni, sempre in medio-oriente, sempre nel Mediterraneo, ci sia un popolo che lotta per la sua legittimazione, per esistere e non contro un despota o tiranno, impersonificato da un leader un po' paludato, ma contro uno stato in cui, i politici e i governanti sono democraticamente eletti e verso cui, nessuna forza esterna si permetterebbe mai d'intervenire militarmente.
Questo stato è Israele.
Questo è il concetto di "democrazia" attraverso l'epoca del pensiero unico, momento storico in cui, dittatori e governanti "democratici" si confondono, a seconda dell'appoggio e della considerazione degli organi di potere internazionali.
Allora grazie ad Arrigoni si scopre che la repressione brutale può accadere anche se non è Gheddafi o Saddam Hussein ad infierire sulla popolazione civile inerme, o ancora, si scopre che i muri, i ghetti non sono stati solo scenari della DDR o dell'est europeo yiddish; le deportazioni non sono solo opera dei nazisti nei confronti del popolo ebraico; si scopre che mezzo secolo dopo l'Olocausto, proprio il popolo di Sion non ha imparato niente dalla propria tragedia e ha la memoria terribilmente corta.
Tutto questo nel quasi totale silenzio dei media occidentali.
Un silenzio che Vittorio aveva osato squarciare, attraverso la rete, attraverso i video su Youtube, anche se, ahimè, non aveva mai avuto la "notorietà" sui grandi media, allo stesso modo di alcuni "giovani ribelli" libici, quegli stessi giovani verso cui, Vittorio, non aveva mancato di esprimere, da subito la propria solidarietà.
Le labili informazioni di questi giorni, che si sono intensificate solo dopo la morte, confermano ancora una volta come esista, anche nel "libero" mondo occidentale, un restrittivo "filtro" alle notizie scomode e alle personalità non gradite, come era Vittorio.
Quello stesso mondo occidentale che mobilità le star di Hollywood per la liberazione del Tibet, o che si scaglia contro la Cina antidemocratica, o contro la mefitica Cuba, si guarda bene di fare lo stesso con Israele, lo stato del Mossad e delle frangie politiche più estremiste di tutta la destra politica mondiale.
Qui, il silenzio cala come una coltre nera, come una benda, una benda simile a quella che aveva Vittorio Arrigoni nel video in cui si chiedeva il prezzo della sua liberazione.
Quasi uno sgarbo, simbolico a chi, gli occhi, lì ha sempre avuti ben aperti.
Vi lascio riflettere, su questo video, pubblicato proprio da Arrigoni, in riposta ad un "certo" Roberto Saviano, personalità intellettuale (?) del nostro paese e incensato "vate" dei giorni nostri.
Se sui casalesi il nostro ci vede bene, su Israele e libertà nello stato ebraico, la vista gli si offusca un pochino...
http://www.youtube.com/watch?v=NBgI_QWgXaI
Un saluto a Vittorio Arrigoni, che come unica colpa ha avuto quella di pensare all'umanità, in maniera diversa.
Il quotidiano "Libero" ha titolato "Lasciatelò là", in risposta al veto imposto dalla famiglia Arrigoni di far passare la salma attraverso lo stato d'Israele.
Ma sì, lasciamolo là, dove è stato amato, dove, l'ipocrisia del mondo occidentale si scontra con la brutale realtà giornaliera di un pulizia etnica permanente, dove cadono tutti i veli mediatici e la vita vera si rivela cruda, in tutta la sua terribile e bellissima umanità.
Se nonostante tutto, Restiamo umani, caro Vittorio, è anche grazie a te.
http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Uno spazio vuoto semplicemente perchè, il suo creatore è stato ucciso, da dei "sedicenti terroristi" islamici la notte del 14 o 15 aprile.
Fa molta impressione vedere che, lo spazio, regolarmente aggiornato da Vittorio, rechi impressa nel counter dei post, la data proprio del 14 aprile.
Pare una sorta di macabro epitaffio, un pezzo interrotto di vita, un anello di catena spezzato tra un "prima" e un "dopo" che non ci sarà mai, sperso in quell'infinito fiume di informazioni che è la rete di Internet.
Vittorio Arrigoni, pacifista italiano di trentacinque anni, collaboratore de Il Manifesto e di Peacereporter, noto per essere diventato tristemente famoso - in relazione all'operazione Piombo Fuso, di Israele - nel 2004 proprio grazie alla nascita del suo blog, era diventato, proprio perchè puntiglioso e puntuale, nel riferire quanto accadeva nella "striscia" di Gaza, "persona non gradita" in Israele e inserito nella "lista nera" dello stato ebraico.
Uno stato che attraverso le proprie forze militari, si era più volte "scontrato" con Arrigoni, "complice" di denunciare le brutali repressioni di Israele nei confronti dei palestinesi, arrivando addirittura a ridurlo in fin di vita nel 2008, quando dopo l'incarcerazione e le torture fu selvaggiamente picchiato e "rilasciato" oltre il confine giordano, prima di essere salvato da un gruppo di militari giordani.
La morte di Arrigoni ancora avvolta nel mistero, arriva in un momento in cui, l'opinone pubblica mondiale è concentrata da mesi sulle "rivoluzioni del medio-oriente", sui "ribelli" egiziani, tunisini, sui movimenti anti-Gheddafi, sul tumulto giovanile che sta spazzando le coste del sud del Mediterraneo.
Peccato che da anni, sempre in medio-oriente, sempre nel Mediterraneo, ci sia un popolo che lotta per la sua legittimazione, per esistere e non contro un despota o tiranno, impersonificato da un leader un po' paludato, ma contro uno stato in cui, i politici e i governanti sono democraticamente eletti e verso cui, nessuna forza esterna si permetterebbe mai d'intervenire militarmente.
Questo stato è Israele.
Questo è il concetto di "democrazia" attraverso l'epoca del pensiero unico, momento storico in cui, dittatori e governanti "democratici" si confondono, a seconda dell'appoggio e della considerazione degli organi di potere internazionali.
Allora grazie ad Arrigoni si scopre che la repressione brutale può accadere anche se non è Gheddafi o Saddam Hussein ad infierire sulla popolazione civile inerme, o ancora, si scopre che i muri, i ghetti non sono stati solo scenari della DDR o dell'est europeo yiddish; le deportazioni non sono solo opera dei nazisti nei confronti del popolo ebraico; si scopre che mezzo secolo dopo l'Olocausto, proprio il popolo di Sion non ha imparato niente dalla propria tragedia e ha la memoria terribilmente corta.
Tutto questo nel quasi totale silenzio dei media occidentali.
Un silenzio che Vittorio aveva osato squarciare, attraverso la rete, attraverso i video su Youtube, anche se, ahimè, non aveva mai avuto la "notorietà" sui grandi media, allo stesso modo di alcuni "giovani ribelli" libici, quegli stessi giovani verso cui, Vittorio, non aveva mancato di esprimere, da subito la propria solidarietà.
Le labili informazioni di questi giorni, che si sono intensificate solo dopo la morte, confermano ancora una volta come esista, anche nel "libero" mondo occidentale, un restrittivo "filtro" alle notizie scomode e alle personalità non gradite, come era Vittorio.
Quello stesso mondo occidentale che mobilità le star di Hollywood per la liberazione del Tibet, o che si scaglia contro la Cina antidemocratica, o contro la mefitica Cuba, si guarda bene di fare lo stesso con Israele, lo stato del Mossad e delle frangie politiche più estremiste di tutta la destra politica mondiale.
Qui, il silenzio cala come una coltre nera, come una benda, una benda simile a quella che aveva Vittorio Arrigoni nel video in cui si chiedeva il prezzo della sua liberazione.
Quasi uno sgarbo, simbolico a chi, gli occhi, lì ha sempre avuti ben aperti.
Vi lascio riflettere, su questo video, pubblicato proprio da Arrigoni, in riposta ad un "certo" Roberto Saviano, personalità intellettuale (?) del nostro paese e incensato "vate" dei giorni nostri.
Se sui casalesi il nostro ci vede bene, su Israele e libertà nello stato ebraico, la vista gli si offusca un pochino...
http://www.youtube.com/watch?v=NBgI_QWgXaI
Un saluto a Vittorio Arrigoni, che come unica colpa ha avuto quella di pensare all'umanità, in maniera diversa.
Il quotidiano "Libero" ha titolato "Lasciatelò là", in risposta al veto imposto dalla famiglia Arrigoni di far passare la salma attraverso lo stato d'Israele.
Ma sì, lasciamolo là, dove è stato amato, dove, l'ipocrisia del mondo occidentale si scontra con la brutale realtà giornaliera di un pulizia etnica permanente, dove cadono tutti i veli mediatici e la vita vera si rivela cruda, in tutta la sua terribile e bellissima umanità.
Se nonostante tutto, Restiamo umani, caro Vittorio, è anche grazie a te.
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giovedì 24 febbraio 2011
Caro Nichi, perchè ignori la sinistra? di A.Burgio
di Alberto Burgio su il manifesto – 22 febbraio 2011
"Come siamo messi a sinistra? Siamo messi male. Non è una novità, certo. Ma, visto che le cose precipitano e ci potremmo trovare in campagna elettorale dall’oggi al domani, vale la pena di dirsi le cose come stanno, senza troppa diplomazia.
Sul manifesto si sono susseguiti in questi mesi gli appelli all’unità delle forze di alternativa. Appelli dettati dalla ragionevolezza e dalla responsabilità, non dall’ingenuità. A nessuno sfuggono le difficoltà del mettere insieme gli spezzoni di una sinistra andata in frantumi. Se si sostiene che, ciò nonostante, ci si dovrebbe sforzare di trasmettere al “popolo della sinistra” un senso di condivisione e di reciproco ascolto, è perché si ritiene che lo spettacolo delle divisioni (per non dire del settarismo e della litigiosità) rischia di respingere potenziali elettori (l’astensionismo è oggi il secondo partito italiano e recluta anche a sinistra) giocando a favore delle forze moderate.
Tutti questi appelli – nessuno escluso – sono sin qui caduti nel vuoto. Chi li ha lanciati ha svolto il frustrante ruolo della voce che urla in un deserto. La cosa appare particolarmente incresciosa adesso, alla luce delle ultime evoluzioni dello scenario politico. Sembra che alle elezioni si presenteranno tre poli. Con la destra berlusconiana e leghista competeranno un centro moderato a dominante destrorsa (Fli, Udc, Api, Mpa) e un centrosinistra a dominante moderata (Pd, Idv, Psi, Sel, Fds, Partito radicale, Verdi). La tripartizione della rappresentanza è un salutare congedo dal bipolarismo che ha prodotto guasti giganteschi negli oltre quindici anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Ma la somma algebrica tra i partiti resta favorevole alle forze moderate. C’è da augurarsi che la prossima maggioranza nasca dalla convergenza tra centro e centrosinistra. Ma anche in questa eventualità si tratterà comunque di un governo assai più conservatore di quelli guidati da Romano Prodi (il che è tutto dire). In questa situazione davvero poco entusiasmante (dimostrazione che le condizioni sfavorevoli tendono a riprodursi e che assai raramente si verificano rimbalzi spontanei) chi si augura che il Paese volti pagina e cominci un nuovo cammino auspica che la sinistra aumenti quanto possibile il proprio peso relativo, e questo difficilmente potrebbe accadere qualora andassero dispersi consensi potenzialmente diretti verso Sel o verso la Fds.
Questa è la ratio degli appelli unitari susseguitisi con scarso successo su queste pagine. Ma a questo punto è giusto dire con chiarezza che le responsabilità dell’indifferenza che essi hanno sin qui incontrato non si ripartiscono in parti uguali tra i destinatari. La responsabilità è anche in questo caso proporzionale alla forza. È quindi in primo luogo su Nichi Vendola che incombe, se non altro, l’onere di chiarire il proprio pensiero in tema di unità della sinistra. Ciò, peraltro, lo aiuterebbe a definire con maggior nettezza e coerenza la linea strategica di Sel, evitando gli eccessi tattici che in questi giorni lo hanno portato ad avanzare proposte poco opportune.
Non stupisce che il meritato e travolgente successo della sua figura possa indurre Vendola in tentazione. Ma la troppa spregiudicatezza sul terreno della politica politicante è cattiva consigliera. E le sirene dell’autosufficienza non dovrebbero sedurre un politico navigato, consapevole della volatilità e dell’ambivalenza di un consenso raccolto in una società atomizzata e post-democratica (queste cose non valgono solo per la destra), pervasa (anche a sinistra) dalla subcultura del leaderismo carismatico.
Sta di fatto che l’ostentato silenzio di Vendola per ciò che riguarda le altre forze della sinistra – a cominciare da quella Fds che comprende un partito da lui stesso fondato – rischia di apparire agli occhi di tanti un’incomprensibile manifestazione di chiusura, se non di ostilità. E rischia di alienargli molte simpatie, tanto più che sulle persistenti divisioni a sinistra potrebbero far leva altri partiti (a cominciare dal Pd) giocando l’una contro l’altra le forze di alternativa e sfruttando a danno di tutte il noto meccanismo del «voto utile». Sarebbe davvero un peccato che anche questa speranza di un nuovo inizio venga ostacolata da comportamenti che poco sembrano avere a che fare con la «buona politica» che Vendola con forza invoca."
Sul manifesto si sono susseguiti in questi mesi gli appelli all’unità delle forze di alternativa. Appelli dettati dalla ragionevolezza e dalla responsabilità, non dall’ingenuità. A nessuno sfuggono le difficoltà del mettere insieme gli spezzoni di una sinistra andata in frantumi. Se si sostiene che, ciò nonostante, ci si dovrebbe sforzare di trasmettere al “popolo della sinistra” un senso di condivisione e di reciproco ascolto, è perché si ritiene che lo spettacolo delle divisioni (per non dire del settarismo e della litigiosità) rischia di respingere potenziali elettori (l’astensionismo è oggi il secondo partito italiano e recluta anche a sinistra) giocando a favore delle forze moderate.
Tutti questi appelli – nessuno escluso – sono sin qui caduti nel vuoto. Chi li ha lanciati ha svolto il frustrante ruolo della voce che urla in un deserto. La cosa appare particolarmente incresciosa adesso, alla luce delle ultime evoluzioni dello scenario politico. Sembra che alle elezioni si presenteranno tre poli. Con la destra berlusconiana e leghista competeranno un centro moderato a dominante destrorsa (Fli, Udc, Api, Mpa) e un centrosinistra a dominante moderata (Pd, Idv, Psi, Sel, Fds, Partito radicale, Verdi). La tripartizione della rappresentanza è un salutare congedo dal bipolarismo che ha prodotto guasti giganteschi negli oltre quindici anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Ma la somma algebrica tra i partiti resta favorevole alle forze moderate. C’è da augurarsi che la prossima maggioranza nasca dalla convergenza tra centro e centrosinistra. Ma anche in questa eventualità si tratterà comunque di un governo assai più conservatore di quelli guidati da Romano Prodi (il che è tutto dire). In questa situazione davvero poco entusiasmante (dimostrazione che le condizioni sfavorevoli tendono a riprodursi e che assai raramente si verificano rimbalzi spontanei) chi si augura che il Paese volti pagina e cominci un nuovo cammino auspica che la sinistra aumenti quanto possibile il proprio peso relativo, e questo difficilmente potrebbe accadere qualora andassero dispersi consensi potenzialmente diretti verso Sel o verso la Fds.
Questa è la ratio degli appelli unitari susseguitisi con scarso successo su queste pagine. Ma a questo punto è giusto dire con chiarezza che le responsabilità dell’indifferenza che essi hanno sin qui incontrato non si ripartiscono in parti uguali tra i destinatari. La responsabilità è anche in questo caso proporzionale alla forza. È quindi in primo luogo su Nichi Vendola che incombe, se non altro, l’onere di chiarire il proprio pensiero in tema di unità della sinistra. Ciò, peraltro, lo aiuterebbe a definire con maggior nettezza e coerenza la linea strategica di Sel, evitando gli eccessi tattici che in questi giorni lo hanno portato ad avanzare proposte poco opportune.
Non stupisce che il meritato e travolgente successo della sua figura possa indurre Vendola in tentazione. Ma la troppa spregiudicatezza sul terreno della politica politicante è cattiva consigliera. E le sirene dell’autosufficienza non dovrebbero sedurre un politico navigato, consapevole della volatilità e dell’ambivalenza di un consenso raccolto in una società atomizzata e post-democratica (queste cose non valgono solo per la destra), pervasa (anche a sinistra) dalla subcultura del leaderismo carismatico.
Sta di fatto che l’ostentato silenzio di Vendola per ciò che riguarda le altre forze della sinistra – a cominciare da quella Fds che comprende un partito da lui stesso fondato – rischia di apparire agli occhi di tanti un’incomprensibile manifestazione di chiusura, se non di ostilità. E rischia di alienargli molte simpatie, tanto più che sulle persistenti divisioni a sinistra potrebbero far leva altri partiti (a cominciare dal Pd) giocando l’una contro l’altra le forze di alternativa e sfruttando a danno di tutte il noto meccanismo del «voto utile». Sarebbe davvero un peccato che anche questa speranza di un nuovo inizio venga ostacolata da comportamenti che poco sembrano avere a che fare con la «buona politica» che Vendola con forza invoca."
Il mio commento personale, è che - oltre al sempre ottimo Burgio - non si può che condividere gran parte della sostanza dell'articolo.
Gli ultimi scivoloni verbali di Nichi (che meritano una riflessione, a presto un articolo su InControcorrente), possibilista verso addirittura il polo dei "finiani", con poi il successivo investimento a premier di Rosy Bindi (quanto c'è di vero e quanto di tattica?) hanno infatti creato più di un'inquietudine a sinistra.
I commenti pieni di perplessità per questa operazione, di Alfonso Gianni (su Liberazione), di Rinaldini, di Ferrero o anche di indignazione (sacrosanta) dei coniugi Guliano e Heidi Giuliani (genitori di Carlo Giuliani, per non confondersi), sono un buon metro di misura per capire come sia netto il dissenso di larghissima parte della sinistra alternativa.
Il problema è che, personalmente ritengo impossibile quanto auspica giustamente, Burgio.
Vendola non calcola minimamente chi è alla sua sinistra, ne tantomeno può permettersi di fare a meno del PD.
A presto un commento approfondito.
InControcorrente
mercoledì 16 febbraio 2011
La Caduta? Berlusconi e l'Italia a"nudo".
Pare proprio che lo processeranno.
In un finale cinematografico, che ricorda un po' le vicende di Al Capone, anche lui "incastrato" per motivi più "futili" di ciò che gli sarebbe dovuto essere stato imputato, Silvio Berlusconi, pare davvero al capolinea.
I reati imputati, le accuse di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile in merito al caso "Ruby", sono infatti passibili di giudizio con rito immediato.
Che sia dunque la fine?
Il resto dell'arco parlamentare, oltre il Pdl, si leva in un'onda di polemiche, assai prevedibili, tra dichiarazioni che sembrano ormai, una sorta di disco rotto, viste le molteplici occasioni avute in questi anni per commentare una sorta di "deja-vu" politico, che si è più volte ripetuto.
Un Berlusconi così in difficoltà però, francamente, non si era mai visto.
Tanto che, anche i fedelissimi, o anche gli alleati (vedi Lega), non sono più così sicuri del sostegno alla sua figura istituzionale, ma anzi, oltre le solite frasi di circostanza, di fiducia e garantismo nei confronti del premier, si ha la sensazione, che ci possa essere un massiccio riposizionamento nell'arco politico.
Persi i"finiani", da poco fondatori di Futuro e Libertà, anche la Lega pare guardarsi attorno, più che altro, per l'imbarazzo di dover sostenere, sempre più sola, un personaggio impresentabile, alla propria base, da sempre intransigente.
Se da un lato a destra, si aprono scenari incredibili, a sinistra, pardon, nel centro-sinistra, c'è una certa fibrillazione, dovuta non tanto all'emozione di vedere il nemico di sempre collassare, ma invece perchè, in caso di un prematuro giudizio del premier, tutti i veli, cadrebbero a terra.
Le ambiguità, sempre messe in secondo piano, grazie alla "extrema ratio" dell'unità tra diversi, contro "l'arcinemico", vengono, dunque a dissolversi.
Il Pd, la giustizialista IdV, ma anche il leader di SeL Vendola, sono ora alle scelte decisive.
Come si posizioneranno in un'eventuale "dipartita" di Berlusconi?
Ci sarà l'esigenza di costruire le nuove "sante alleanze" su programmi chiari e non più contro qualcuno.
Difficile che ciò accada in tempi brevi e nel caso di elezioni anticipate, si attendono dei veri e propri stravolgimenti giornalieri, tra indiscrezioni di vario tipo, seduzioni "centriste" per il Pd, aperture possibiliste a larghe intese per Vendola, silenzio per l'Idv, quasi orfana ormai, del nemico di sempre.
Se Berlusconi cadrà, lascerà un paese, che come più volte ho detto, non può più fare a meno di lui.
Il "berlusconismo", ben visibile, non solo, nel "leaderismo" politico dei partiti-personali, di questa ultima coda della "seconda Repubblica", si allarga anche alla società italiana tutta, permeata di quella "cultura dell'immagine" ormai inscindibile dai costumi degli italiani.
Sorge il dubbio quindi, del fatto che, debellata la radice del "male", gli "anticorpi" della società italiana siano oggi insufficienti per debellare la totalità del "male" stesso, ormai esteso, come un cancro, a tanta parte del corpo delle istituzioni italiane.
Berlusconi che anche Nichi Vendola, riesce comunque a vedere come "l'uomo nuovo della politica italiana negli anni post Tangentopoli", ha superato, forse inconsapevolmente se stesso, ha creato le premesse per un disegno reazionario più grande della sua figura stessa.
Nell'Italia in cui, c'è una situazione di estrema difficoltà economica e sociale, Berlusconi, ha eluso il conflitto, ha creato il consenso "fasullo" attraverso i media, ha introdotto una sub cultura (qualcuno l'avrebbe chiamata "rivoluzione passiva") che sì è sostituita agli ultimi baluardi che permanevano innestati nell'anima della costituente post bellica.
Berlusconi - e non sono un caso i suoi legami con la massoneria di Propaganda 2 - ha "rivoluzionato" il panorama politico italiano, cambiando tutto, anche i propri avversari.
Che sono oggi solo i rappresentanti, di una sovrastruttura, qual'è oggi la politica italiana, del tutto scollata ormai, dal favore dei potenziali elettori.
Berlusconi, com'è evidente, cadrà, prima o poi, se non il 6 aprile, lo farà per altre questioni, in altre occasioni, fossero anche i suoi - come quelli di tutti - limiti biologici.
L'eredità, il lascito però, rischia di essere più pesante della sua figura stessa.
Il "caimano" infatti ha cannibalizzato non solo se stesso, ma anche tutto il costume e la società italiana, del tutto "berlusconizzata", perchè incentrata sulla sua figura, seppur decadente, ma sempre indispensabile.
Tanto che, i suoi avversari politici, anche agli albori della sua dipartita politica, sono del tutto incapaci di pensarsi senza di lui, nessuna proposta, nessuno "scarto progressista", solo commenti, qualche futile raccolta di firme.
Come se con una semplice raccolta di firme si potesse cacciare un poltico, regolarmente eletto.
Occorrerebbe forse, domandarsi come sì è arrivati a questo punto.
La sensazione, spiacevole e che desta inquietudine, è quella che nell'Italia post Berlusconi non si sia compiuto, quel decisivo passo che portò dopo il fascismo alla nascita di uno Stato nuovo, innestato sulla Carta Costituzionale.
Gli anticorpi non sono, questa volta, stati prodotti, e l'Italia malata, rischia di essere come una paziente operata in ritardo, se non morta del tutto, destinata ad una serie di danni irreversibili...
In un finale cinematografico, che ricorda un po' le vicende di Al Capone, anche lui "incastrato" per motivi più "futili" di ciò che gli sarebbe dovuto essere stato imputato, Silvio Berlusconi, pare davvero al capolinea.
I reati imputati, le accuse di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile in merito al caso "Ruby", sono infatti passibili di giudizio con rito immediato.
Che sia dunque la fine?
Il resto dell'arco parlamentare, oltre il Pdl, si leva in un'onda di polemiche, assai prevedibili, tra dichiarazioni che sembrano ormai, una sorta di disco rotto, viste le molteplici occasioni avute in questi anni per commentare una sorta di "deja-vu" politico, che si è più volte ripetuto.
Un Berlusconi così in difficoltà però, francamente, non si era mai visto.
Tanto che, anche i fedelissimi, o anche gli alleati (vedi Lega), non sono più così sicuri del sostegno alla sua figura istituzionale, ma anzi, oltre le solite frasi di circostanza, di fiducia e garantismo nei confronti del premier, si ha la sensazione, che ci possa essere un massiccio riposizionamento nell'arco politico.
Persi i"finiani", da poco fondatori di Futuro e Libertà, anche la Lega pare guardarsi attorno, più che altro, per l'imbarazzo di dover sostenere, sempre più sola, un personaggio impresentabile, alla propria base, da sempre intransigente.
Se da un lato a destra, si aprono scenari incredibili, a sinistra, pardon, nel centro-sinistra, c'è una certa fibrillazione, dovuta non tanto all'emozione di vedere il nemico di sempre collassare, ma invece perchè, in caso di un prematuro giudizio del premier, tutti i veli, cadrebbero a terra.
Le ambiguità, sempre messe in secondo piano, grazie alla "extrema ratio" dell'unità tra diversi, contro "l'arcinemico", vengono, dunque a dissolversi.
Il Pd, la giustizialista IdV, ma anche il leader di SeL Vendola, sono ora alle scelte decisive.
Come si posizioneranno in un'eventuale "dipartita" di Berlusconi?
Ci sarà l'esigenza di costruire le nuove "sante alleanze" su programmi chiari e non più contro qualcuno.
Difficile che ciò accada in tempi brevi e nel caso di elezioni anticipate, si attendono dei veri e propri stravolgimenti giornalieri, tra indiscrezioni di vario tipo, seduzioni "centriste" per il Pd, aperture possibiliste a larghe intese per Vendola, silenzio per l'Idv, quasi orfana ormai, del nemico di sempre.
Se Berlusconi cadrà, lascerà un paese, che come più volte ho detto, non può più fare a meno di lui.
Il "berlusconismo", ben visibile, non solo, nel "leaderismo" politico dei partiti-personali, di questa ultima coda della "seconda Repubblica", si allarga anche alla società italiana tutta, permeata di quella "cultura dell'immagine" ormai inscindibile dai costumi degli italiani.
Sorge il dubbio quindi, del fatto che, debellata la radice del "male", gli "anticorpi" della società italiana siano oggi insufficienti per debellare la totalità del "male" stesso, ormai esteso, come un cancro, a tanta parte del corpo delle istituzioni italiane.
Berlusconi che anche Nichi Vendola, riesce comunque a vedere come "l'uomo nuovo della politica italiana negli anni post Tangentopoli", ha superato, forse inconsapevolmente se stesso, ha creato le premesse per un disegno reazionario più grande della sua figura stessa.
Nell'Italia in cui, c'è una situazione di estrema difficoltà economica e sociale, Berlusconi, ha eluso il conflitto, ha creato il consenso "fasullo" attraverso i media, ha introdotto una sub cultura (qualcuno l'avrebbe chiamata "rivoluzione passiva") che sì è sostituita agli ultimi baluardi che permanevano innestati nell'anima della costituente post bellica.
Berlusconi - e non sono un caso i suoi legami con la massoneria di Propaganda 2 - ha "rivoluzionato" il panorama politico italiano, cambiando tutto, anche i propri avversari.
Che sono oggi solo i rappresentanti, di una sovrastruttura, qual'è oggi la politica italiana, del tutto scollata ormai, dal favore dei potenziali elettori.
Berlusconi, com'è evidente, cadrà, prima o poi, se non il 6 aprile, lo farà per altre questioni, in altre occasioni, fossero anche i suoi - come quelli di tutti - limiti biologici.
L'eredità, il lascito però, rischia di essere più pesante della sua figura stessa.
Il "caimano" infatti ha cannibalizzato non solo se stesso, ma anche tutto il costume e la società italiana, del tutto "berlusconizzata", perchè incentrata sulla sua figura, seppur decadente, ma sempre indispensabile.
Tanto che, i suoi avversari politici, anche agli albori della sua dipartita politica, sono del tutto incapaci di pensarsi senza di lui, nessuna proposta, nessuno "scarto progressista", solo commenti, qualche futile raccolta di firme.
Come se con una semplice raccolta di firme si potesse cacciare un poltico, regolarmente eletto.
Occorrerebbe forse, domandarsi come sì è arrivati a questo punto.
La sensazione, spiacevole e che desta inquietudine, è quella che nell'Italia post Berlusconi non si sia compiuto, quel decisivo passo che portò dopo il fascismo alla nascita di uno Stato nuovo, innestato sulla Carta Costituzionale.
Gli anticorpi non sono, questa volta, stati prodotti, e l'Italia malata, rischia di essere come una paziente operata in ritardo, se non morta del tutto, destinata ad una serie di danni irreversibili...
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mercoledì 9 febbraio 2011
Il mio diritto alla Noia. Storia di un paese diviso, un nano e qualche ballerina.
La notizia, ed è sicuramente importante, è quella di una richiesta, da parte dei Pm di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi, di rito immediato, riguardo il tristemente famoso "caso Ruby", che non mi dilungo nemmeno a spiegare cos'è, tanto se n'è parlato.
Ciò significherebbe che Berlusconi, costretto a processo, potrebbe essere giudicato subito e nel caso fosse ritenuto colpevole dell'accusa di "concussione e prostituzione minorile", rischierebbe il carcere, come previsto per legge riguardo il seguente reato.
Senza possibilità d'appello ne di spostamento dei tempi di giudizio.
Non potrebbe dunque avvalersi di quella che è sempre stata la sua fortuna, la prescrizione.
Una notizia così, che giustamente rimbalza su tutti i media internazionali e potrebbe essere uno spartiacque della nostra politica nostrana, dovrebbe far balzare sulla sedia un qualsiasi medio e attento cittadino.
Invece no.
Io personalmente, trovo tutto ciò tristemente noioso.
Almeno quanto il finale già scritto, di un fim mediocre.
La realtà dei fatti, incomincia pericolosamente ad assomigliare ad una fiction tv, con sceneggiatura e sceneggiatore mediocri, attori e comparse che si barcamenano in parti e recite viste e riviste.
Il protagonista poi, inflazionatissimo, è la brutta copia di tanti potentati "italioti" succedutisi negli anni, che non solo non fanno più ridere, ma nemmeno piangere.
Questo sentimento d'indifferenza, che forse indignerà qualche "benpensante", credo che sia condiviso con me, da tanti italiani.
La noia di vivere in questo paese, in cui tutto pare un diorama muffito, uno scenario di mummie imbalsamate è amplificata, se possibile, dalla totale mancanza di alternativa rispetto al governo esistente.
Nel paese del "celodurismo", dove settantenni s'illudono di correre dietro a prorompenti nullità a pagamento, dove c'è una "miss" per ogni cosa, da "miss Italia" a "miss Padania", dove il nepotismo regna imperante, dove dei secessionisti sono "Ministri della Repubblica Italiana", dove nell'orgia dei talk show si può scoprire che due deputati della maggioranza di governo (Bocchino e Castelli a Annozero giovedì scorso ndr.) si scannano l'uno con l'altro perchè manca "l'opposizione", dove gli ex condannati di "Vallettopoli" scrivono libri o si candidano in politica, dove cristiano cattolici democratici (leggi democristiani) sguazzano tra le file dell'arco palamentare con la stessa disinvoltura con cui divorziano e prendono i sacramenti, in questo stesso paese, dove il segretario del principale partito d'opposizione sembra il presidente di una Cooperativa qualsiasi, dove l'unica proposta politica è il - si "raccolgono firme" (sic!) per "cacciare il Presidente del Consiglio" - in questo stesso paese dove sono tutti "nuovi" salvo essere eletti da almeno 25 anni in una delle due camere, dove destra e sinistra si mescolano tra interpreti che sembrano la stessa cosa, in questo paese pieno di religiosi che si astengono dal far politica ma poi commentano su tutto, in questo paese di laici, che corrono al "family day" o ai meeting di Cl, in questo paese dove sono in via d'estinzione gli atei e i comunisti, salvo "richiamarli" come spauracchi alla bisogna; in questo triste, tristissimo paese dove anche il Presidente della Repubblica dice cose banali di fronte a l'immagine di questo squallore, di quest'immenso "Circo Barnum", pieno di nani e ballerine, cocotte e macchiette, io invoco - il mio diritto alla Noia.
Sono annoiato!
Che si fottano tutti, per primi coloro che urlano il cambiamento da pulpiti privilegiati, si fottano i nani, ma anche i "grilli parlanti", i "nuovi poeti" e le vecchie "balene bianche", si fottano gli intellettuali di sinistra e di destra (incredibile nel nulla di oggi, esistono anche loro), i giornalisti a pagamento, gli opinionisti, le soubrette, le prostitute, (non necessariamente in quest'ordine), si fottano i "falsi giovani" della politica, replicanti dei vecchi, si fotta la cosmesi delle cose, la rimozione della memoria storica, il Festival di Sanremo alle porte, con il suo stuolo di trombe e tromboni, si fotta il servizio pubblico, "i capitani coraggiosi" dell'Industria, si fottano i rottamatori, si fottano i diplomatici incapaci di una posizione netta, si fotta la "destra moderna ed europeista" e il "centro-sinistra riformista", si fottano i movimenti che durano pochi mesi, si fotta la politica, ma anche l'antipolitica, si fottano i testimonial tv, i consigli per gli acquisti, le fasce "pro-tette" e il perbenismo, sia quello falso che quello vero, si fotta la "reazione" tutta, sopratutto quella religiosa.
Rivendico il mio diritto ad indignarmi, io ti odio, italiano medio!
Disgrazia di questo miserabile paese!
Nella ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di questa nazione divisa, talmente debole da essere nata tra i sotterfugi della casta politica del tempo, in una sorta di destino già scritto, faccio leva sul sentimento d'indignazione comune.
Lasciamoli soli nella loro mediocrità.
Lasciamoli soli a contemplare la fine di loro stessi.
Il 17 marzo che nessuno innalzi un moto d'orgoglio.
Non è difficile, in fondo, la Nazionale di calcio, quel giorno, non gioca...
Ciò significherebbe che Berlusconi, costretto a processo, potrebbe essere giudicato subito e nel caso fosse ritenuto colpevole dell'accusa di "concussione e prostituzione minorile", rischierebbe il carcere, come previsto per legge riguardo il seguente reato.
Senza possibilità d'appello ne di spostamento dei tempi di giudizio.
Non potrebbe dunque avvalersi di quella che è sempre stata la sua fortuna, la prescrizione.
Una notizia così, che giustamente rimbalza su tutti i media internazionali e potrebbe essere uno spartiacque della nostra politica nostrana, dovrebbe far balzare sulla sedia un qualsiasi medio e attento cittadino.
Invece no.
Io personalmente, trovo tutto ciò tristemente noioso.
Almeno quanto il finale già scritto, di un fim mediocre.
La realtà dei fatti, incomincia pericolosamente ad assomigliare ad una fiction tv, con sceneggiatura e sceneggiatore mediocri, attori e comparse che si barcamenano in parti e recite viste e riviste.
Il protagonista poi, inflazionatissimo, è la brutta copia di tanti potentati "italioti" succedutisi negli anni, che non solo non fanno più ridere, ma nemmeno piangere.
Questo sentimento d'indifferenza, che forse indignerà qualche "benpensante", credo che sia condiviso con me, da tanti italiani.
La noia di vivere in questo paese, in cui tutto pare un diorama muffito, uno scenario di mummie imbalsamate è amplificata, se possibile, dalla totale mancanza di alternativa rispetto al governo esistente.
Nel paese del "celodurismo", dove settantenni s'illudono di correre dietro a prorompenti nullità a pagamento, dove c'è una "miss" per ogni cosa, da "miss Italia" a "miss Padania", dove il nepotismo regna imperante, dove dei secessionisti sono "Ministri della Repubblica Italiana", dove nell'orgia dei talk show si può scoprire che due deputati della maggioranza di governo (Bocchino e Castelli a Annozero giovedì scorso ndr.) si scannano l'uno con l'altro perchè manca "l'opposizione", dove gli ex condannati di "Vallettopoli" scrivono libri o si candidano in politica, dove cristiano cattolici democratici (leggi democristiani) sguazzano tra le file dell'arco palamentare con la stessa disinvoltura con cui divorziano e prendono i sacramenti, in questo stesso paese, dove il segretario del principale partito d'opposizione sembra il presidente di una Cooperativa qualsiasi, dove l'unica proposta politica è il - si "raccolgono firme" (sic!) per "cacciare il Presidente del Consiglio" - in questo stesso paese dove sono tutti "nuovi" salvo essere eletti da almeno 25 anni in una delle due camere, dove destra e sinistra si mescolano tra interpreti che sembrano la stessa cosa, in questo paese pieno di religiosi che si astengono dal far politica ma poi commentano su tutto, in questo paese di laici, che corrono al "family day" o ai meeting di Cl, in questo paese dove sono in via d'estinzione gli atei e i comunisti, salvo "richiamarli" come spauracchi alla bisogna; in questo triste, tristissimo paese dove anche il Presidente della Repubblica dice cose banali di fronte a l'immagine di questo squallore, di quest'immenso "Circo Barnum", pieno di nani e ballerine, cocotte e macchiette, io invoco - il mio diritto alla Noia.
Sono annoiato!
Che si fottano tutti, per primi coloro che urlano il cambiamento da pulpiti privilegiati, si fottano i nani, ma anche i "grilli parlanti", i "nuovi poeti" e le vecchie "balene bianche", si fottano gli intellettuali di sinistra e di destra (incredibile nel nulla di oggi, esistono anche loro), i giornalisti a pagamento, gli opinionisti, le soubrette, le prostitute, (non necessariamente in quest'ordine), si fottano i "falsi giovani" della politica, replicanti dei vecchi, si fotta la cosmesi delle cose, la rimozione della memoria storica, il Festival di Sanremo alle porte, con il suo stuolo di trombe e tromboni, si fotta il servizio pubblico, "i capitani coraggiosi" dell'Industria, si fottano i rottamatori, si fottano i diplomatici incapaci di una posizione netta, si fotta la "destra moderna ed europeista" e il "centro-sinistra riformista", si fottano i movimenti che durano pochi mesi, si fotta la politica, ma anche l'antipolitica, si fottano i testimonial tv, i consigli per gli acquisti, le fasce "pro-tette" e il perbenismo, sia quello falso che quello vero, si fotta la "reazione" tutta, sopratutto quella religiosa.
Rivendico il mio diritto ad indignarmi, io ti odio, italiano medio!
Disgrazia di questo miserabile paese!
Nella ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di questa nazione divisa, talmente debole da essere nata tra i sotterfugi della casta politica del tempo, in una sorta di destino già scritto, faccio leva sul sentimento d'indignazione comune.
Lasciamoli soli nella loro mediocrità.
Lasciamoli soli a contemplare la fine di loro stessi.
Il 17 marzo che nessuno innalzi un moto d'orgoglio.
Non è difficile, in fondo, la Nazionale di calcio, quel giorno, non gioca...
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lunedì 24 gennaio 2011
lunedì 17 gennaio 2011
FIOM, lo spartiacque della sinistra.
Ha vinto il sì.
Nel "gioco delle tre carte" che ha proposto alla platea mediatica Marchionne, sono stati decisivi, i 400 voti circa degli impiegati e dei "quadri" di Mirafiori.
Un gioco che io definirei di prestigio, perchè, nella contesa proprio gli impiegati sono coloro che non saranno toccati dall'accordo.
Un numero di persone che però, sarebbero state toccate nel caso di uno spostamento produttivo di Fiat da Mirafiori all'estero.
E' dunque bastato il ricatto padronale di Marchionne per "smuovere" ed avere la certezza del voto, massiccio e quasi uninime di una parte della fabbrica, assicurandosi così un cospicuo vantaggio iniziale.
Un vantaggio che si è rilevato insufficiente, dato che, per chi si aspettava in risultato simile a Pomigliano, le cose sono andate diversamente e la vittoria del sì, è arrivata solo ed esclusivamente per quel centinaio di voti.
Tanto che, se si prendono in esame solo i voti dei vari settori della linea di montaggio si vede come il risultato si ribalti.
La vittoria di Marchionne e dell'esercito dei "responsabili, moderni e non ideologizzati", (CISL, UIL, UGL) è mediaticamente, una vittoria di Pirro.
Un risultato che rafforza la FIOM, che vede raddoppiare i consensi rispetto ai voti previsti dei soli tesserati, coinvolgendo dunque anche una parte di lavoratori, nel diniego all'accordo, provenienti anche da altre sigle.
Nessun plebiscito per Marchionne dunque, che per forza adesso dovrà investire, ma sopratutto un confronto che si protrae nel futuro, dato che, indipendentemente da ciò che l'accordo stesso dice (nessuna rappresentanza per chi non firma), dovrà comunque confrontarsi con con un ampio fronte di disaccordo.
Una situazione quella di Mirafiori, tutta in divenire anche in prospettiva dello sciopero del 28 gennaio.
Gli "strascichi" però non si fermano qui, anzi, travalicano il solo ambito lavorativo e d'azienda e investono pesantemente anche il mondo politico, in particolare nel "centro-sinistra".
Se sono chiare le posizioni di Fassino e Chiamparino, così come di Veltroni o del "rottamatore" Renzi, tutti esposti verso il sì, molto meno chiara è la posizione, attendista e quasi imbarazzata, dei vicini all'attuale segretario Bersani e di quella larga parte del Partito Democratico legata ad ampi settori del sindacato CGIL.
L'imbarazzo e la difficoltà sono palpabili, così come la sensazione di trovarsi in posizione scomoda, rispetto ad un valico, che rischia di essere esiziale, per lo stesso PD.
Con le dichiarazioni di alcuni degli esponenti del Partito Democratico infatti, si definisce finalmente l'identità di partito interclassista di quest'ultimo, in maniera chiara, c'è uno scarto quindi tra la base militante, proveniente dal vecchio PCI ed ancorata ad un concetto di partito classista; e un vertice che oggi, rischia di non rappresentarla più correndo dietro ad una "modernità" di posizioni, quasi sovrapposta a quelle che si possono trovare nel PDL.
Il rischio è quello di uno svuotamento del Partito Democratico, dal senso del suo esistere, (ha senso votare un partito che non ti rappresenta?) dalla propria base elettorale, uno svuotamento che rischia di creare una "frattura" tra la parte politica del partito e quella militante, due parti non più aderenti l'una all'altra, ma scollate e in alcuni casi addirittura pericolosamente opposte.
Non serve a niente inoltre, ripetere il solito "mantra" del partito "con più posizioni" quando, su questioni così importanti e dirimenti, come quella dell'accordo di Mirafiori, ci si spacca mediaticamente in un clima d'incertezza totale, tra dichiarazioni antitetiche l'una all'altra; l'effetto prodotto rimane comunque profondamente negativo di fronte ad una base elettorale spaesata, muta nella propria delusione, irrigidita da dichiarazioni e posizioni poco chiare, sempre diverse.
Se prendiamo per buoni i sondaggi, (per quello che contano), il PD è in caduta libera rispetto all'ultimo dato uscito e andato in onda su La7 il 9 gennaio con un risultato che si attesta al 26,2 per cento, con una perdita del 1,7 rispetto ad un sondaggio precedente.
Un risultato disastroso in una fase in cui Berlusconi dovrebbe essere in netta difficoltà.
Considerando inoltre la crescita dei partiti minori (IDV, SEL, Fed. Sinistra) ma la decrescita globale del centro-sinistra (che perde lo 0,4) si vede come i voti che ingrossano altre fila, sopratutto dei partiti che partecipano alla "coalizione" (IDV e SEL), siano erosi direttamente al Partito Democratico, in una "trasmigrazione" di voti di area da una sigla all'altra.
Segno evidente che il PD, suscita sempre meno "simpatie", ma segno altrettanto evidente di come, la gran massa di elettori potenziali che non votano non sia attratta dal centro sinistra come progetto politico.
Un progetto politico, che si riduce alle tanto decantate "primarie di coalizione", invocate da Vendola e al leaderismo dei personaggi di spicco dei partiti in questione, delle piccole "polis" elettorali innestate sul volto telegenico dell'uno o dell'altro personaggio di spicco.
Un po' poco in una fase come questa.
Anche Nichi Vendola, vero fenomeno mediatico del momento, non esce bene da questa "fase", le primarie infatti, sono scivolate in secondo piano, il PD guarda sempre più al centro e i propositi egemoni del politico di Terlizzi alla guida del centro sinistra paiono sfumare.
Quale sarà la sua posizione, lui sempre sordo alle richieste di "un terzo polo di sinistra" oltre (e senza) il PD?
L'impressione è che sia arrivato il momento della decisione definitiva e che il referendum FIOM sia lo spartiacque di nuove, eventuali, coalizioni politiche.
Arriva il momento in cui non ci portà più nascondere ed occorrerà dare risposta alle migliaia di operai che hanno votato no, suscitando una miriade di appelli, sostegno, interessi della società civile.
Una società civile che si è coalizzata dietro una battaglia simbolica, come quella di Mirafiori, ma che si trova da sempre, divisa alle urne.
Basterà "insufflare", "sparigliare le carte" nel PD per ridare vigore a un qualcosa che appare celebralmente morto, come la vecchia forma di coalizione del centro sinistra?
Io, personalmente non credo.
Nel "gioco delle tre carte" che ha proposto alla platea mediatica Marchionne, sono stati decisivi, i 400 voti circa degli impiegati e dei "quadri" di Mirafiori.
Un gioco che io definirei di prestigio, perchè, nella contesa proprio gli impiegati sono coloro che non saranno toccati dall'accordo.
Un numero di persone che però, sarebbero state toccate nel caso di uno spostamento produttivo di Fiat da Mirafiori all'estero.
E' dunque bastato il ricatto padronale di Marchionne per "smuovere" ed avere la certezza del voto, massiccio e quasi uninime di una parte della fabbrica, assicurandosi così un cospicuo vantaggio iniziale.
Un vantaggio che si è rilevato insufficiente, dato che, per chi si aspettava in risultato simile a Pomigliano, le cose sono andate diversamente e la vittoria del sì, è arrivata solo ed esclusivamente per quel centinaio di voti.
Tanto che, se si prendono in esame solo i voti dei vari settori della linea di montaggio si vede come il risultato si ribalti.
La vittoria di Marchionne e dell'esercito dei "responsabili, moderni e non ideologizzati", (CISL, UIL, UGL) è mediaticamente, una vittoria di Pirro.
Un risultato che rafforza la FIOM, che vede raddoppiare i consensi rispetto ai voti previsti dei soli tesserati, coinvolgendo dunque anche una parte di lavoratori, nel diniego all'accordo, provenienti anche da altre sigle.
Nessun plebiscito per Marchionne dunque, che per forza adesso dovrà investire, ma sopratutto un confronto che si protrae nel futuro, dato che, indipendentemente da ciò che l'accordo stesso dice (nessuna rappresentanza per chi non firma), dovrà comunque confrontarsi con con un ampio fronte di disaccordo.
Una situazione quella di Mirafiori, tutta in divenire anche in prospettiva dello sciopero del 28 gennaio.
Gli "strascichi" però non si fermano qui, anzi, travalicano il solo ambito lavorativo e d'azienda e investono pesantemente anche il mondo politico, in particolare nel "centro-sinistra".
Se sono chiare le posizioni di Fassino e Chiamparino, così come di Veltroni o del "rottamatore" Renzi, tutti esposti verso il sì, molto meno chiara è la posizione, attendista e quasi imbarazzata, dei vicini all'attuale segretario Bersani e di quella larga parte del Partito Democratico legata ad ampi settori del sindacato CGIL.
L'imbarazzo e la difficoltà sono palpabili, così come la sensazione di trovarsi in posizione scomoda, rispetto ad un valico, che rischia di essere esiziale, per lo stesso PD.
Con le dichiarazioni di alcuni degli esponenti del Partito Democratico infatti, si definisce finalmente l'identità di partito interclassista di quest'ultimo, in maniera chiara, c'è uno scarto quindi tra la base militante, proveniente dal vecchio PCI ed ancorata ad un concetto di partito classista; e un vertice che oggi, rischia di non rappresentarla più correndo dietro ad una "modernità" di posizioni, quasi sovrapposta a quelle che si possono trovare nel PDL.
Il rischio è quello di uno svuotamento del Partito Democratico, dal senso del suo esistere, (ha senso votare un partito che non ti rappresenta?) dalla propria base elettorale, uno svuotamento che rischia di creare una "frattura" tra la parte politica del partito e quella militante, due parti non più aderenti l'una all'altra, ma scollate e in alcuni casi addirittura pericolosamente opposte.
Non serve a niente inoltre, ripetere il solito "mantra" del partito "con più posizioni" quando, su questioni così importanti e dirimenti, come quella dell'accordo di Mirafiori, ci si spacca mediaticamente in un clima d'incertezza totale, tra dichiarazioni antitetiche l'una all'altra; l'effetto prodotto rimane comunque profondamente negativo di fronte ad una base elettorale spaesata, muta nella propria delusione, irrigidita da dichiarazioni e posizioni poco chiare, sempre diverse.
Se prendiamo per buoni i sondaggi, (per quello che contano), il PD è in caduta libera rispetto all'ultimo dato uscito e andato in onda su La7 il 9 gennaio con un risultato che si attesta al 26,2 per cento, con una perdita del 1,7 rispetto ad un sondaggio precedente.
Un risultato disastroso in una fase in cui Berlusconi dovrebbe essere in netta difficoltà.
Considerando inoltre la crescita dei partiti minori (IDV, SEL, Fed. Sinistra) ma la decrescita globale del centro-sinistra (che perde lo 0,4) si vede come i voti che ingrossano altre fila, sopratutto dei partiti che partecipano alla "coalizione" (IDV e SEL), siano erosi direttamente al Partito Democratico, in una "trasmigrazione" di voti di area da una sigla all'altra.
Segno evidente che il PD, suscita sempre meno "simpatie", ma segno altrettanto evidente di come, la gran massa di elettori potenziali che non votano non sia attratta dal centro sinistra come progetto politico.
Un progetto politico, che si riduce alle tanto decantate "primarie di coalizione", invocate da Vendola e al leaderismo dei personaggi di spicco dei partiti in questione, delle piccole "polis" elettorali innestate sul volto telegenico dell'uno o dell'altro personaggio di spicco.
Un po' poco in una fase come questa.
Anche Nichi Vendola, vero fenomeno mediatico del momento, non esce bene da questa "fase", le primarie infatti, sono scivolate in secondo piano, il PD guarda sempre più al centro e i propositi egemoni del politico di Terlizzi alla guida del centro sinistra paiono sfumare.
Quale sarà la sua posizione, lui sempre sordo alle richieste di "un terzo polo di sinistra" oltre (e senza) il PD?
L'impressione è che sia arrivato il momento della decisione definitiva e che il referendum FIOM sia lo spartiacque di nuove, eventuali, coalizioni politiche.
Arriva il momento in cui non ci portà più nascondere ed occorrerà dare risposta alle migliaia di operai che hanno votato no, suscitando una miriade di appelli, sostegno, interessi della società civile.
Una società civile che si è coalizzata dietro una battaglia simbolica, come quella di Mirafiori, ma che si trova da sempre, divisa alle urne.
Basterà "insufflare", "sparigliare le carte" nel PD per ridare vigore a un qualcosa che appare celebralmente morto, come la vecchia forma di coalizione del centro sinistra?
Io, personalmente non credo.
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venerdì 14 gennaio 2011
Mirafiori ore 22.00. Referendum sulla dignità.
Ore 22.00.
Sarà il primo turno di fabbrica, a Mirafiori, che stasera si cimenterà, suo malgrado in un referendum farsa, in cui nonostante il voto, favorevole e contrario, l'esito pare scontato.
Si tratterà comunque vada di una sconfitta per il diritto lavorativo nel nostro paese.
Una sconfitta figlia della cultura della "moderazione&modernizzazione", della rimozione forzata di valori scambiati per muffite ideologie, di un arretramento perpetuo delle forze politiche che dovrebbero rappresentare, nelle istituzioni, gli stessi uomini e donne che stasera voteranno nelle urne della fabbrica torinese.
La tensione che graverà sulle spalle degli operai di Mirafiori, sarà una tensione autentica, uno stato d'animo che purtroppo, non verrà alleggerito da nessun sostegno decisivo, delle forze politche.
Sono lontani anni luce i giorni del sostegno dell'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, sempre a Mirafiori, il 26 settembre 1980 e non solo per il tempo, cronologico, passato.
Sono distanze incolmabili di due mondi politici, profondamente diversi.
Gli eredi diretti di quel grande partito, li vedreste forse oggi, fuori dai cancelli, nella persona del loro segretario, Bersani, con lo stesso numero di persone intorno, appassionatamente accalcate?
Ne dubito e se anche qualche "leader" politico davanti ai cancelli c'è stato, ad onor del vero, ad esempio Nichi Vendola (seppur contestato, prima di sfilare via dentro l'edificio) oppure il segretario del Prc Paolo Ferrero, la sensazione che si ha, è che comunque la politica oggi, viene vista come una sovrastruttura, poco più che un sostegno amicale a battaglie in cui, non si è più in grado d'incidere.
Ce lo conferma il grado di arroganza dell'ad. FIAT Marchionne, un tono padronale che non ha trovato argini mediatici, tra l'empasse imbarazzato delle multiple posizioni del Partito Democratico e l'oscurantismo televisivo, perpetrato nei confronti delle forze extraparlamentari dell'estrema sinistra.
In questa battaglia in cui FIOM, addirittura riesce (e questo da seriamente da pensare...) ad oscurare CGIL, con la figura di Landini che batte nettamente quella della neo segretaria, Camusso, nell'indice di gradimento, ciò che sfugge, sono le dinamiche che vanno oltre il semplice accordo.
L'accordo di per se, è più o meno quanto già visto a Pomigliano, forse pure peggiorato, riduzione delle pause durante il lavoro, divieto di sciopero, rappresentanza sindacale "pilotata" all'interno della fabbrica, minima autonomia dei lavoratori, in tutti i sensi; senza niente, a fare da contropartita.
Un accordo "capestro", in cui il ricatto è palese.
Ma c'è di più.
C'è un aspetto, solo in parte preso in considerazione dai media e dagli opinionisti.
Ed è quello della crisi che investe il mercato automobilistico.
Motivo principale per cui, Sergio Marchionne invoca il senso di responsabilità e minaccia uno spostamento in Canada, della produzione, in caso di bocciatura del referendum.
La produzione è in crisi, perchè la domanda di auto è in flessione e senza gli inncentivi, spremuti fino all'impossibile, il mercato è paurosamente fermo.
Allora perchè chiedere condizioni straordinarie di produzione?
L'allargamento del prodotto, pardon, del "brand" FIAT, oltreoceano in cerca di nuovi mercati, così come la produzione di nuovi modelli (SUV?) non sono risposte sufficienti a spiegare, quest'ansia di "produrre" dell'ad. di FIAT.
Dunque a che serve il piglio deciso di Marchionne?
Serve essenzialmente ad una cosa sola, a fare cioè, ciò che il capitale fa nei momenti in cui, dopo un'espansione economica, si arriva inevitabilmente ad un periodo critico di sovrapproduzione, si ristruttura.
Marchionne, colpisce e batte i suoi colpi nel ramo industriale, nella produzione, sulle schiene dei lavoratori, per lanciare messaggi all'unico "mercato" ancora fertile, quello volatile, della finanza.
Infatti il titolo FIAT cresce negli indici di borsa e la casa torinese non perde tempo, aumentando la sua presenza nell'azionariato Chrysler negli Stati Uniti, passando, nei giorni scorsi dal 20, al 25% delle azioni, con un prospetto di acquisire, nel 2011 fino al 35%.
Con quali soldi lo fa, con quali garanzie?
Non vedere che la politica di Marchionne è una politica ristrutturativa, atta a demolire la contrattazione collettiva e ad avvantaggiarsi di un momento critico delle forze di opposizione, è un errore esiziale.
L'argine che si prepara a sfondare Marchionne, sarà un passaggio in cui la deriva dei diritti del lavoro in Italia, filtrerà fino a contaminare tutti gli strati del lavoro salariato, demolendo, di fatto, gli ultimi bastioni statutari rimasti in piedi dopo l'ondata di precarizzazioni dei contratti di fine anni 90.
Mancare l'appello alla chiamata in difesa di questa battaglia, rischia di essere per il centro-sinistra l'ennesimo passo falso verso una metamorfosi moderata, irreversibile, in un'ansia, irragionevole - visti anche i sondaggi in caduta libera del Partito Democratico, ad esempio - di "sovrapposizione" con l'avversario.
Le parole di Fassino, Veltroni e Chiamparino, in favore del "sì", sembrano pietre tombali, sulle ormai minime speranze di ripresa del Partito Democratico ad un ruolo di rappresentanza e conflitto delle masse lavoratrici, orfane di un partito, appunto, di massa.
Rimangono, purtroppo da soli, fuori e dentro i cancelli di Mirafiori, i metalmeccanici, in lotta per qualcosa di più di un contratto, di uno stipendio, in lotta contro un pauroso ritorno al passato, in lotta per la propria dignità.
Sarà il primo turno di fabbrica, a Mirafiori, che stasera si cimenterà, suo malgrado in un referendum farsa, in cui nonostante il voto, favorevole e contrario, l'esito pare scontato.
Si tratterà comunque vada di una sconfitta per il diritto lavorativo nel nostro paese.
Una sconfitta figlia della cultura della "moderazione&modernizzazione", della rimozione forzata di valori scambiati per muffite ideologie, di un arretramento perpetuo delle forze politiche che dovrebbero rappresentare, nelle istituzioni, gli stessi uomini e donne che stasera voteranno nelle urne della fabbrica torinese.
La tensione che graverà sulle spalle degli operai di Mirafiori, sarà una tensione autentica, uno stato d'animo che purtroppo, non verrà alleggerito da nessun sostegno decisivo, delle forze politche.
Sono lontani anni luce i giorni del sostegno dell'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, sempre a Mirafiori, il 26 settembre 1980 e non solo per il tempo, cronologico, passato.
Sono distanze incolmabili di due mondi politici, profondamente diversi.
Gli eredi diretti di quel grande partito, li vedreste forse oggi, fuori dai cancelli, nella persona del loro segretario, Bersani, con lo stesso numero di persone intorno, appassionatamente accalcate?
Ne dubito e se anche qualche "leader" politico davanti ai cancelli c'è stato, ad onor del vero, ad esempio Nichi Vendola (seppur contestato, prima di sfilare via dentro l'edificio) oppure il segretario del Prc Paolo Ferrero, la sensazione che si ha, è che comunque la politica oggi, viene vista come una sovrastruttura, poco più che un sostegno amicale a battaglie in cui, non si è più in grado d'incidere.
Ce lo conferma il grado di arroganza dell'ad. FIAT Marchionne, un tono padronale che non ha trovato argini mediatici, tra l'empasse imbarazzato delle multiple posizioni del Partito Democratico e l'oscurantismo televisivo, perpetrato nei confronti delle forze extraparlamentari dell'estrema sinistra.
In questa battaglia in cui FIOM, addirittura riesce (e questo da seriamente da pensare...) ad oscurare CGIL, con la figura di Landini che batte nettamente quella della neo segretaria, Camusso, nell'indice di gradimento, ciò che sfugge, sono le dinamiche che vanno oltre il semplice accordo.
L'accordo di per se, è più o meno quanto già visto a Pomigliano, forse pure peggiorato, riduzione delle pause durante il lavoro, divieto di sciopero, rappresentanza sindacale "pilotata" all'interno della fabbrica, minima autonomia dei lavoratori, in tutti i sensi; senza niente, a fare da contropartita.
Un accordo "capestro", in cui il ricatto è palese.
Ma c'è di più.
C'è un aspetto, solo in parte preso in considerazione dai media e dagli opinionisti.
Ed è quello della crisi che investe il mercato automobilistico.
Motivo principale per cui, Sergio Marchionne invoca il senso di responsabilità e minaccia uno spostamento in Canada, della produzione, in caso di bocciatura del referendum.
La produzione è in crisi, perchè la domanda di auto è in flessione e senza gli inncentivi, spremuti fino all'impossibile, il mercato è paurosamente fermo.
Allora perchè chiedere condizioni straordinarie di produzione?
L'allargamento del prodotto, pardon, del "brand" FIAT, oltreoceano in cerca di nuovi mercati, così come la produzione di nuovi modelli (SUV?) non sono risposte sufficienti a spiegare, quest'ansia di "produrre" dell'ad. di FIAT.
Dunque a che serve il piglio deciso di Marchionne?
Serve essenzialmente ad una cosa sola, a fare cioè, ciò che il capitale fa nei momenti in cui, dopo un'espansione economica, si arriva inevitabilmente ad un periodo critico di sovrapproduzione, si ristruttura.
Marchionne, colpisce e batte i suoi colpi nel ramo industriale, nella produzione, sulle schiene dei lavoratori, per lanciare messaggi all'unico "mercato" ancora fertile, quello volatile, della finanza.
Infatti il titolo FIAT cresce negli indici di borsa e la casa torinese non perde tempo, aumentando la sua presenza nell'azionariato Chrysler negli Stati Uniti, passando, nei giorni scorsi dal 20, al 25% delle azioni, con un prospetto di acquisire, nel 2011 fino al 35%.
Con quali soldi lo fa, con quali garanzie?
Non vedere che la politica di Marchionne è una politica ristrutturativa, atta a demolire la contrattazione collettiva e ad avvantaggiarsi di un momento critico delle forze di opposizione, è un errore esiziale.
L'argine che si prepara a sfondare Marchionne, sarà un passaggio in cui la deriva dei diritti del lavoro in Italia, filtrerà fino a contaminare tutti gli strati del lavoro salariato, demolendo, di fatto, gli ultimi bastioni statutari rimasti in piedi dopo l'ondata di precarizzazioni dei contratti di fine anni 90.
Mancare l'appello alla chiamata in difesa di questa battaglia, rischia di essere per il centro-sinistra l'ennesimo passo falso verso una metamorfosi moderata, irreversibile, in un'ansia, irragionevole - visti anche i sondaggi in caduta libera del Partito Democratico, ad esempio - di "sovrapposizione" con l'avversario.
Le parole di Fassino, Veltroni e Chiamparino, in favore del "sì", sembrano pietre tombali, sulle ormai minime speranze di ripresa del Partito Democratico ad un ruolo di rappresentanza e conflitto delle masse lavoratrici, orfane di un partito, appunto, di massa.
Rimangono, purtroppo da soli, fuori e dentro i cancelli di Mirafiori, i metalmeccanici, in lotta per qualcosa di più di un contratto, di uno stipendio, in lotta contro un pauroso ritorno al passato, in lotta per la propria dignità.
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