Come ogni anno verso la fine di maggio, mi è capitato di partecipare alla cena sociale di fine stagione del mio circolo Arci.
Un momento in cui, più di cento volontari, si ritrovano e di fronte ad un menù di tutto rispetto, festeggiano la chiusura dei turni stagionali.
Capita allora, che in una zona franca come quella di un circolo che sotto il proprio tetto, racchiude tutte le anime della "sinistra", dal PD a Rifondazione, si trovino fianco a fianco persone che politicamente hanno militanza diversa.
Capita anche, in periodo di elezioni, che si possa, condivendo la stessa storia politica e la stessa radice partitica (leggi PCI) sostenere candidati sindaco diversi, che nei piccoli comuni con le elezioni amministrative alle porte si trovino addirittura uno agli antipodi del'altro.
Tra un piatto e l'altro e qualche timido discorso, si finisce inevitabilmente in politica, in quel luogo, che la presidente del circolo, giustamente ci ricorda, nasce per un'intento aggregativo di mutuo soccorso, in anni in cui la politica era si, davvero cosa concreta ed era impossibile dividerla da iniziative di questo tipo.
La Casa del Popolo era l'espressione "laica" dell'antagonismo al Campanile della chiesa cattolica.
Ma era sopratutto il centro dell'unione visibile, reale, della forza di una massa di persone.
Oggi fa un certo effetto vedere come la frammentazione della sinistra italiana passi anche da qui, e come in un luogo in cui, ci si "spersonalizza" e si abbandona la fede politica, si possa ritrovare un senso comune, unitario.
Viene allora da pensare una cosa, che nel momento in cui c'è qualcosa di concreto per cui lavorare, un reale obbiettivo comune, collegato al mondo vero, della gente in carne e ossa, si possa ancora oggi trovare "l'unità" per un fine più alto, a beneficio di tutti.
Forse alla sinistra italiana manca questo, aldilà degli scontri tra dirigenti, i calcoli elettorali, le alleanze...
Ma non solo.
Se terminassi il mio post in questa maniera, tenendo questo leit motiv, sarei banalmente prevedibile, un po' troppo ingenuo e soprattutto romanticamente stupido.
No, la cosa non è così semplice.
Non si può sempre finire, come si usa dire dalle mie parti, a "tarallucci e vino".
Non c'è sempre un lieto fine.
Purtroppo quello che si notava quel giorno, non era solo la mole, la "massa", che ancora in un rigurgito dei bei tempi che furono, dava l'impressione della vecchia grandezza di un partito che non c'è più, ma c'erano anche altre componenti che emergevano e che a mio avviso, sono parte integrante della disfatta di un popolo enorme come quello dell'ex PCI.
Si notava la buona volontà, lo spirito di abnegazione, l'aiuto per gli altri, per il fine ultimo, la buona riuscita dell'evento, in questo caso.
Ma dai discorsi si capiva come, la base di un partito di massa come il PCI, oggi in buona parte convogliata nel PD, nonostante le trasformazioni pseudo moderne, sia rimasta ai tempi di Togliatti.
C'è un dogma in gran parte degli elettori del più grande partito di sinistra in Italia.
Lo stesso dogma che contrapponeva appunto il PCI di togliattiana memoria, alla chiesa cattolica.
Ovvero la fiducia cieca nel partito, nel fine ultimo, prima la rivoluzione, oggi sconfiggere l'odiato Berlusconi.
Si nota l'errore di fondo del PCI prima e dei partiti successivi ad esso, ovvero quella frattura tra una dirigenza di "intellighenti", di pseudo intellettuali, leader d'allevamento e una base incolta, mai veramente erudita nei temi della politica, con la compiacenza del "partito".
Una base che a guardarla da vicino pare sempre più il cavallo stakanovista del racconto di Orwell, la Fattoria degli Animali, grande lavoratore, ma cieco e sempre fedele all'ente superiore del "partito".
E tra battute e scherzi sul premier, qualche frecciata ai partini della sinistra extraparlamentare, rimaneva ben poco.
L'unica certezza era quella di votare ancora PD, come si è votato DS, PDS, PCI prima.
Per essere forti, per essere insieme, per essere tutti una cosa sola.
"In tanti per cambiare" recita lo slogan del partito democratico.
Sembra quasi un paradosso oggi, in tanti si, ma per sentirsi come una volta, forti, uniti.
Senza più l'obbiettivo, senza più meta, anche contro l'evidenza stessa dei fatti.
Una base fedele e una dirigenza miope, di faccendieri e apprendisti della politica, più qualche predestinato "leader", questa la forza di un gigante di cartone, qual'era il PCI.
A reggerlo un sogno flebile.
Oggi, parafrasando Gaber, nemmeno quello, nemmeno più le"ali per volare", rattrappite.
Tutti "gabbiani ipotetici".
E' sparita la sinistra, la voglia di cambiamento, la voglia di sognare un mondo diverso, sono spariti i simboli, i colori, gli acronimi, le battaglie, la Storia.
Peccato che a quel pranzo nessuno, o quasi, se ne fosse accorto, o magari ipocritamente, non voglia accorgersene, farebbe troppo male.
Meglio un bicchiere di vino, qualche risata e l'impressione che nulla sia cambiato, all'interno di uno scenario che, sempre di più, assomiglia ad un vecchio diorama rattoppato, rappresentazione fittizia, di un passato glorioso che non c'è più.
lunedì 1 giugno 2009
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