Nella storia travagliata, del nostro paese, ci sono sempre stati momenti cruciali che come dei veri e propri guadi hanno imposto una decisa svolta all’andamento della politica istituzionale, ad una sua eventuale trasformazione, capace d’incidere poi anche nelle prospettive concrete della società italiana.
Nell’ambito del mondo del lavoro, soprattutto quello di stampo industriale e in particolare attraverso le lotte del movimento operaio, si sono spesso misurati i livelli, non solo dei diritti lavorativi, ma anche di democrazia, di autonomia individuale del lavoratore/persona, che grazie alle lotte avvenute sulla scia degli anni del cosiddetto “miracolo economico”, diveniva non più mero elemento di un ingranaggio produttivo di cui esso solo marginalmente faceva parte, ma al contrario soggetto attivo e propositivo, capace attraverso i gruppi sindacali e un’organizzazione movimentistica coesa, d’incidere nel mercato del lavoro e nei piani di sviluppo non solo delle grandi aziende private, ma anche degli stessi governi nazionali.
Furono proprio queste lotte sindacali, fondate sulla Costituzione Italiana e in particolare sull’art. 41 di quest’ultima (articolo non a caso in questi ultimi tempi sotto le mire del ministro Tremonti) a permettere ad una massa di persone, spesso prive di una cultura scolastica di medio livello, ma comunque edotte dai partiti della sinistra ai propri diritti individuali; di portare avanti battaglie impensabili per l’avanzamento delle classi “subalterne”, finalmente padrone della propria vita e non più semplici “moltitudini di proletari fanciulli”, sempre “in una situazione di eterna dipendenza” rispetto al loro lavoro.
L’Italia che lavorava, degli operai, degli impiegati; con le lotte dei primi anni ‘60, diventava dunque “maggiorenne”, prendeva cioè coscienza dei propri diritti individuali, al punto tale che questa autodeterminazione riuscì addirittura, negli anni successivi a travalicare i confini dell’ambito del lavoro e ad invadere quelli della società civile, con le battaglie vinte, sui temi dell’aborto e del divorzio.
Una trasformazione che non poteva che legarsi a doppio filo con la politica dei partiti, in particolare con quella del PCI che seppur non esente da errori, era riuscito in quegli anni se non a condizionare, almeno ad organizzare e a dare la giusta sponda a quelle lotte.
Lotte che ci hanno portato in dote lo Statuto dei Lavoratori, una forza sindacale confederativa tra le più forti e avanzate d’Europa, la possibilità concreta per milioni di persone di programmare e dare prospettiva alle proprie vite attraverso l’acquisto di beni primari quali la casa, la possibilità di condividere la scuola pubblica con le altre classi sociali, una scuola non più riservata alle classi dirigenti e quindi solo ad una stretta cerchia d’elitaria di persone, ma a tutti, seppur all’interno di un sistema gerarchico ancorato a vecchi programmi.
La crisi dei mercati e le politiche neo liberiste post muro di Berlino, hanno rapidamente messo in discussione quanto acquisito in termine di diritto lavorativo, di fronte all’unica forma di governo economico ormai possibile, quella capitalistica, conformizzando il pensiero economico e politico ad un unico assioma, non a caso, giustamente definito “pensiero unico”.
Un “pensiero unico”, velocemente introiettato anche dalle forze della “sinistra”, nel tentativo maldestro di prendere le distanze dalle vecchie ideologie comuniste, così pericolose perché stantie, per chi da sempre ha fatto negli ultimi 20 anni, sfoggio di “modernismo”, politico per stare “al passo dell’avversario”.
Peccato che all’interno di questa rimozione forzata, siano rimaste stritolate, masse di uomini e donne ovviamente disorientate di fronte a tali cambiamenti dei partiti politici di riferimento, che hanno avuto l’effetto di una cosmesi, un maquillage e nulla più, producendo nel nuovo solo arretramenti, dalla precarizzazione del lavoro (nel tristemente famoso, pacchetto Treu) al tentativo di mettere in connessione i vertici industriali con la base elettorale.
Ed ecco che nel Partito Democratico trovano spazio i Calearo e i Colaninno, così come ex operai della Thyssenkrup.
Un problema quindi, per il Partito Democratico tenere una posizione sola e netta di fronte ad una battaglia sindacale come quella di Pomigliano d’Arco; soprattutto se c’è di mezzo la Fiat, una posizione così incerta da mettere in imbarazzo non solo i vertici del PD, ma anche tanta parte della CGIL non legata alla Fiom, vicina appunto ai vertici del PD stesso.
Lasciare in questo momento la Fiom sola, insieme alle centinaia di persone che hanno votato no al referendum sull’accordo sindacale proposto da Marchionne, significa compiere l’ennesimo atto di vassallaggio ai poteri forti, silurando indirettamente anche una delle ultime “casematte” di diritto in Italia, quella dell’autonomia sindacale.
L’accordo infatti, tra le nebulose trame della sua scrittura, nasconde passaggi al limite di ogni democratica forma coercitiva, mettendo in discussione il diritto di sciopero, estendendo le ore di straordinario non pagate, impedendo eventuali riunioni sindacali, precarizzando ancor di più chi è già precario con misure e contratti diversi all’interno addirittura della stessa azienda.
L’intento è chiaro, è il “divide et impera” di romana memoria, un valico quello di Pomigliano, seguito con trepidante attesa dal Governo, da Confindustria e da tanta parte dell’impresa privata italiana.
Se come diceva l’avvocato Gianni Agnelli, “ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, oggi siamo ad un passaggio storico.
Pomigliano rischia di essere per i diritti sindacali nel nostro paese la breccia in un muro di una roccaforte sempre più isolata, un passaggio che aperto, sarà impossibile bloccare rispetto ad un’orda di liberalizzazioni già in procinto d’arrivare.
Ci si aspetterebbe quindi che oltre ad una presa di posizione “vicina agli operai della Fiom” come si è affrettato a dire tatticamente Bersani, “ma comunque aperta al dialogo”, ci possa essere qualcosa di più netto, un discorso perentorio, un argine contro la valanga.
Figurarsi.
C’è chi fa pure di peggio e tra la redazione di un romanzo inutile e un libro di poesie penoso, ha pure il tempo di dire che “l’accordo è duro ma inevitabile” come dice il politico “per tutte le stagioni” Walter Veltroni in una recente intervista al Corriere della Sera.
Non abbiamo dubbi sul fatto che lui di “durezza” legata “al lavoro” sia un esperto, dato che dai tempi della FGCI in poi, probabilmente, non ha mai lavorato un giorno in vita sua.
A margine di questo empasse, c’è un solo problema nodale, che è quello della collocazione politica del Partito Democratico, che perde la propria identità (ammesso che mai l’abbia avuta) di partito d’opposizione, di minimo antagonismo, di minima rappresentanza delle classi lavoratrici, ed anche su una questione di facile comprensione politica come nel caso della battaglia della Fiom a Pomigliano, si mostra nella sua pesante incertezza perenne di partito senza identità ideologica.
La crisi dei mercati mondiali ci pone di fronte ad un interrogativo ormai non più rinviabile che attende risposta e cioè come ripartire rispetto ad una crisi che non è soltanto una crisi di sovrapproduzione, ma una crisi generale e profonda di un sistema in cui il profitto è l’unico obbiettivo, un sistema pesantemente diseguale, che fagocita nella ricerca del maggior guadagno, individui, nazioni e popoli, risorse ambientali, un sistema capitalista rinnovato nelle proprie strategie di mercato, ma identico negli obbiettivi di gestione del potere alle vecchie oligarchie di metà ‘800.
Non è con l’accettazione della “teoria del male minore”, (a che pro continuare a lavorare senza nessun diritto, solo per sopravvivere? Come richiesto agli operai di Pomigliano?) con l’introiettamento delle logiche di mercato che si può risolvere e fermare la spirale della crisi economica.
Si sente quindi ancor un maggior bisogno di una forza autonoma, anticapitalista, a sinistra, che riunisca quella larga parte di persone che non vota più per disaffezione o che non si riconosce più nel progetto moderato del PD, ormai orientato ad un tipo si politica di stampo anglosassone, con minime differenze tra le politiche dei poli, dal punto di vista economico, quasi impercettibili.
Pomigliano in questo percorso è una tappa cruciale, l’appoggio alla lotta dei lavoratori e alla Fiom è indispensabile nell’ottica più generale dei diritti del lavoro, in Italia.
Rinunciare ad una presa di posizione netta, come fa il PD, rischia di essere altrimenti un errore, per la sinistra italiana tutta, esiziale ed irreversibile.
lunedì 12 luglio 2010
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