giovedì 29 aprile 2010
Consigli per gli acquisti. Il Sarto di Ulm.
Anche questa volta, per la rubrica "Consigli per gli acquisti", il consiglio, rimane in ambito letterario, con la promessa dalle prossime volte di un maggiore spazio anche alle altre forme di comunicazione.
Non potevo però, ignorare il testo in questione, che ho avuto occasione di conoscere, alla presentazione insieme all'autore, Lucio Magri, a Firenze, presso la sede dell'ARCI in piazza Ciompi.
Il libro che riprende il titolo da un'episodio in cui il dirigente PCI Pietro Ingrao, rispose ad una domanda dalla platea, di un'assemblea di partito in cui si discuteva di cambiare nome al PCI e se non fosse il caso, dopo gli eventi storici accaduti, di continuare a chiamarsi e credere alla parola comunismo.
Ingrao, rispose citando un'opera di poche righe di B.Brecht in cui si racconta di un sarto, che fissato con l'idea del volo, un giorno, convinto di essere arrivato alla soluzione, si gettò dalla cattedrale della città finendo morto, tra la derisione generale e dell'autorità religiosa cittadina, il vescovo.
Ingrao, aggiunse subito dopo che però, "un giorno effettivamente l'uomo è riuscito a volare".
In sintesi estrema, c'è un tempo per ogni cosa, così anche per tutto ciò che può attualmente sembrare impossibile.
Magri in questo libro interessantissimo e dalla prosa ben articolata, dal lessico forbito, ci descrive punto per punto la crono-storia, non soltanto del PCI, ma del comunismo italiano ed europeo, facendo un lavoro di ricostruzione e anche di riflessione riguardo i punti nodali, più importanti di ogni fase storica.
Quello che personalmente più mi ha colpito, è il processo inverso che attraversa le righe del testo; un processo in controtendenza a quanto, dal 1989, si è abituati a sentire e leggere sul comunismo.
Non c'è qui frettolosa archiviazione di alcunchè, ne tantomeno nessuna scorciatoia storica di facile opinione, ma anzi ogni processo e personaggio sia il Togliatti della svolta a Salerno, o Stalin riguardo le fasi fondamentali della seconda guerra mondiale, dal patto Ribbentrop-Molotov, allo scontro con i nazisti sul fronte orientale, è presentato con la giusta lucida visione di chi, da sempre militante e critico a sinistra, può permettersi di analizzare, senza falso pudore, alcune tematiche che ancora oggi rappresentano delle falle, dei tabù, per quella tanta parte politica ex PCI in Italia e d ex comunista nel mondo.
Magri è lucido, nell'affrontare i passaggi più scomodi senza cedere, dall'alto della sua età (probabilmente può permetterselo), alla tentazione di rimuovere tutto ciò che è oggi oggetto di una messa "all'indice", spesso proprio da sinistra. Proprio questo lavoro critico risulta di grande spessore a mio avviso e ci dimostra come ci sia un gap enorme tra i vecchi quadri del Partito Comunista Italiano e gli attuali dirigenti politici della "sinistra" italiana, sopratutto del Partito Democratico, incapaci anche culturalmente di una riflessione seria sull'eredità lasciata dal più "grande partito comunista d'occidente".
Nessun mea culpa, distoglie Magri dall'obbiettivo di una ricostruzione obbiettiva, seppur personale, della parabola del PCI, un partito fondamentale non solo per l'avanzamento dei diritti nel nostro paese, ma baluardo e spesso ago della bilancia nel conflitto USA/URSS, prima e dopo le fasi più critiche della guerra fredda.
Si riconoscono i giusti meriti e demeriti ad una dirigenza che ha affrontato i guadi più duri del 900, la cosa poi ha maggior valore se si pensa alla posizione critica di Magri, uno dei fondatori della corrente del Manifesto, espulso dal partito per poi solo in seguito, esserne successivamente riabilitato, quando con il proprio partito, il PdUP confluì nel 1984 nel PCI.
Magri ha la capacità di vedere e presentare alcuni "snodi" politici, al lettore, inducendo una riflessione sugli "scenari possibili" non attuati per via di scelte diverse.
Una su tutti, la cosiddetta "terza via", quella "corrente" (improprio definirla così) che agli sgoccioli della trasformazione del PCI in PDS, non ebbe, sopratutto per colpa di Ingrao (che all'ultimo non sostenne la linea di Magri) la capacità di mettere in minoranza la mozione di Occhetto ne tantomeno di dare un respiro maggiore alle posizioni critiche, ma asfittiche e vetero, di Cossutta, lasciando il partito ad una dolorosa spaccatura, tra chi aderì al PDS e chi successivamente fondò il PRC.
Guardando la situazione della politica italiana odierna non si può essere almeno parzialmente coinvolti da quanto ci propone Magri, così come non si può in tutta onestà dire che, la rimozione del comunismo, in favore di svolte social-democratiche e riformiste moderate, abbia portato in dote chissà quali risultati, anzi, l'arretramento pare piuttosto chiaro.
Se come pare, una parte della dirigenza PD, è sedotta e possibilista riguardo un'imbarco o una trattativa con il dissidente PDL Gianfranco Fini, spostando l'asse della politica italiana ancora più a destra, in una deriva liberale sempre più estrema, questo libro potrà essere strumento utile a tutti coloro che non se la sentono di adagiarsi ancora sull'unico monotematico diktat del pensiero "unico".
Un pensiero "unico", che, ormai non prevede più vocaboli come "socialismo e comunismo", relegati a termini enciclopedici di eventi storici ormai passati.
A tutti coloro che credono che Marx sia quanto mai attuale, che si sentono orfani del PCI, ma sopratutto che credono ancora di "poter volare", consiglio caldamente questo libro.
A Magri il compito di analizzare (aldilà delle critiche di chi, dice che come al solito, Magri, si guardi bene dal dare una soluzione al problema, non credo sia compito suo), a noi il compito di ripartire da qui, con una riflessione seria su ciò che ancora oggi magari anche sotto altre spoglie può essere individuato e chiamato "comunismo".
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lunedì 26 aprile 2010
Il Salto nel Buio. Appello per la difesa della Costituzione.
Ricevo e pubblico con piacere quest'appello, scritto da un amico, rivolto a tutte le forze democratiche della sinistra e dell'opposizione al governo Berlusconi e pubblicato ieri, 25 aprile 2010 sui quotidiani Liberazione e il Manifesto.
Con la speranza che possa trovare la più ampia collaborazione e diffusione.
“Il salto nel buio”
APPELLO PER LA SALVEZZA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E DELLO STATO DEMOCRATICO NATI DALL’ANTIFASCISMO E DALLA LOTTA DI LIBERAZIONE
E CHIAMATA A TUTTI I CITTADINI, ALLE FORZE POLITICHE E SOCIALI, DEMOCRATICHE E DELLA SINISTRA, AD UN RINNOVATO PATTO PER LA SUA DIFESA E ATTUAZIONE
E CHIAMATA A TUTTI I CITTADINI, ALLE FORZE POLITICHE E SOCIALI, DEMOCRATICHE E DELLA SINISTRA, AD UN RINNOVATO PATTO PER LA SUA DIFESA E ATTUAZIONE
Stiamo per entrare dentro l’ennesima, torbida, fase di attacco alla Costituzione democratica e antifascista. Ma, a differenza delle precedenti fasi, in particolare dell’ultima, a cavallo tra il 2004 e il 2006 (qualcuno ricorderà i famosi “saggi di Lorenzago” dove i “nuovi “padri Costituenti” della destra progettarono il cambiamento della Costituzione), l’attuale ha al suo interno molti maggiori elementi di pericolosità.
In primo luogo per la dispersione, da oltre 2 anni, di quell’ampio schieramento democratico e progressista che si era aggiudicato tutte le consultazioni elettorali, amministrative e politiche, succedutesi nell’arco temporale 2002-2006 (sebbene d’un soffio le politiche del 2006) e, soprattutto aveva vinto, nettamente, il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006.
E lì parve che la sconfitta della destra fosse avvenuta anche nella società, uscita provata e ulteriormente impoverita dall’illusionismo berlusconiano, ma ahimé, i fatti immediatamente successivi s’incaricarono di dimostrare che così non era. E in effetti, al contrario di quanto molti di noi pensavano o auspicavano che venisse posto in essere da parte dello schieramento progressista, cioè la valorizzazione e il consolidamento, politico e culturale, dell’eccezionale risultato referendario, e quindi la riaffermazione della Costituzione, venne imboccata, subito e scelleratamente tutt’altra strada: il rilancio nel campo della destra del tema delle “riforme” costituzionali”!
Così facendo si dimostrava chiaramente – qualora non ci se ne fosse ancora adeguatamente convinti nel corso del tormentato quindicennio 1994-2008 – che gran parte delle nostre “classi dirigenti”, di fatto, avevano oramai assunto, nel profondo, assieme alle “coordinate” economico-sociali proprie della destra (il liberismo economico, l’assunzione, irriflessa e irrazionale, del tema del razzismo e conseguenti politiche securitarie…), anche la relativa e connessa “ideologia istituzionale” (accentuazione del momento decisorio di vertice – presidenzialismo nelle sue varie versioni, ridimensionamento della funzione delle assemblee elettive, centrali ma anche locali, dai propri compiti legislativo e di controllo, trasformazione radicale di quelle particolari associazioni di cittadini - i partiti politici, così come previsti dalla Costituzione all’art.49, che per tutta una lunga fase repubblicana avevano svolto un’importante funzione pedagogica per larghi strati della popolazione, quella “scuola gratuita di massa” secondo l’efficace definizione di Lelio Basso; il “ridimensionamento” dell’autonomia della magistratura..), dandone, tra l’altro, concreta prova nell’agire politico dell’ultimo quindicennio (modifica del Titolo V della Costituzione con i voti del solo centro-sinistra, aumento della precarietà del lavoro e connessa riduzione delle tutele, leggi elettorali restrittive della democrazia..).
Tutto ciò era avvenuto ben prima del tracollo elettorale del 2008, nel cui ciclo di emarginazione politica e sociale siamo tuttora immersi.
E ADESSO?
Il continuo degradarsi dello spirito pubblico e la connessa criminalizzazione del dissenso e della stessa agibilità democratica sono giunti a livelli quasi autoritari, sol che si pensi ai continui e quotidiani attacchi, rivolti da anni, dal capo del governo e dai suoi collaboratori, agli organi di informazione non ancora loro asserviti, e a tutti gli organi di garanzia e di autogoverno democratico e costituzionale.
Il Parlamento, di fatto ridotto ad organo di mera ratifica della volontà del capo e della sua coalizione di “bravi”; la Magistratura, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Presidente della Repubblica, continuamente sottoposti ad una pressione tipica di una “repubblica sudamericana anni ‘70”.
Ma è particolarmente nei confronti del Capo dello Stato, organo mediatamente politico e di garanzia costituzionale, che si sono realizzate, di fatto, le principali deformazioni, dal momento che la sua funzione costituzionale è stata subdolamente fatta apparire, e ovviamente “gradita”, non più come il garante supremo della Costituzione, la “viva vox constitutionis”, secondo la celebre formula di Calamandrei, bensì in quella, assai ridimensionata e volutamente ininfluente di notaio-certificatore, contro la Costituzione.
Il consolidamento della destra nelle sedi politiche ed istituzionali, nella società e nello stesso senso comune, rendono a nostro avviso concreto il realizzarsi, in questa legislatura, di quel cambiamento costituzionale in chiave autoritaria – cesarista, a cui mira, incessantemente da circa un trentennio (quantomeno a partire dal programma di rinascita democratica di Licio Gelli) la parte peggiore del paese.
Per questo riteniamo di trovarci dinanzi all’ATTACCO FINALE e potenzialmente demolitore della nostra Carta Fondamentale, e insieme ad essa della repubblica democratica e antifascista così come concepite e volute dall’Antifascismo e dalla Resistenza liberatrice.
Senza timore di esagerazione, qualora ciò si avverasse vedremmo ulteriormente ridursi ed in maniera significativa il già degradato spazio politico e pubblico per le forze dell’alternativa, oltre che le sfere di libertà di ciascun soggetto, singolo e associato.
Siamo cioè consapevoli di trovarci dinanzi al serissimo e incombente scenario proprio di un cambiamento radicale di regime, connotato dal presidenzialismo del capo popolo e da un’autocrazia elettiva (maggioritaria) ad esso subalterna e connessa, al solo fine di cristallizzare, costituzionalmente, la sciagurata accoppiata data dalla deriva plebiscitaria-autoritaria del capo con il razzismo, ormai dilagante, della destra reazionaria e del leghismo.
Per questi motivi intendiamo invitare tutti i cittadini, singolarmente e nelle forme associative loro proprie, le forze politiche della sinistra e democratiche, le forze sociali e sindacali, ad incontrarsi nelle ricorrenze, del 25 Aprile, del 1 Maggio e del 2 Giugno, a Roma e in tutte le città italiane, rivolgendo loro un accorato e solenne invito ad UNIRSI per realizzare un PATTO per LA SALVEZZA della COSTITUZIONE repubblicana e dello STATO democratico nati dalla Resistenza. Un ultimo, e ci auguriamo non tardivo, sussulto democratico al fine di scongiurare l’inevitabile baratro.
Pur consapevoli delle diversità politiche e culturali che esistono tra noi, riteniamo certamente prevalente la necessità di porre in essere, tutti insieme e da subito, ogni sforzo per la difesa attiva e intransigente della Costituzione e della democrazia del nostro paese.
Il senso della storia e dei suoi processi, e la relativa interpretazione dei fatti storici, così come tramandatici dai nostri Maggiori, sono ben vivi in tutti noi.
Per questo auspichiamo che questa consapevolezza storica possa nuovamente radicarsi nella coscienza civile del paese e, conseguentemente, nella riflessione politica e culturale in luogo della malapianta di una certa politologia e di un certo ingegnerismo istituzionale che, nella migliore delle ipotesi appaiono scevri del benché minimo connotato valoriale democratico - sociale, quando addirittura non assumono il ruolo di vero e proprio strumento ideologico al servizio dei potentati economici e dunque del liberismo contro la Costituzione e la democrazia sociale da essa prevista.
Riteniamo dunque strumentale e frutto di una logora “politica dello scambio”,uscita sconfitta dal referendum popolare del 2006, l’ennesima riproposizione del tema delle c.d. “riforme” costituzionali. Sappiamo che sono ben altre le urgenze del paese!
Consideriamo perciò irricevibile la proposta dell’attuale maggioranza, perché finalizzata unicamente al recepimento in Costituzione dei postulati politici e culturali del berlusconismo e del leghismo.
Qualsiasi “revisione” costituzionale nel contesto dato, considerando i rapporti di forza in campo e la squilibratissima possibilità di comunicazione, equivarrebbe ad un vero e proprio salto nel buio per la democrazia e la libertà, ed un’ulteriore perdita secca, in termini di diritti di libertà e diritti sociali, per i lavoratori e per i cittadini, già duramente colpiti da una Crisi, il cui acme non è stato ancora raggiunto.
Con questa nostra Chiamata vogliamo, invece, recuperare quello slancio e quella linearità d’azione che hanno caratterizzato la battaglia referendaria per la salvaguardia della Costituzione del 2005-2006, in cui, la giustezza e la nettezza della Lotta per la Costituzione furono compresi dalla maggioranza dei cittadini italiani, e dove le forze di sinistra seppero uscire, dopo molti anni, dalla marginalità per tornare a parlare, da protagoniste, al paese!
E’ questo ciò che ci prefiggiamo. Sono terminati i tempi degli slogan, delle mezze parole dal sapore incomprensibile e tecnocratico, del politichese più o meno corretto.
Intendiamo tornare tra la nostra gente, tra i lavoratori per proporre, nell’immediato, un Patto per la salvezza della Costituzione fondata sul lavoro, che costituisca il primo passo da cui proiettarsi in direzione della effettiva e duratura riconquista democratica e costituzionale del paese, per l’attuazione del programma democratico – sociale della Carta, che significa non soltanto Governo ma qualità dell’azione politica sui temi fondamentali per il paese e i suoi cittadini (politiche redistributive e di pace, piena e buona occupazione, scuola e sanità pubbliche, beni e servizi pubblici e sociali, casa ecc..).
Siamo ben consci che il nostro Appello e la nostra Chiamata avvengono dopo che molte, troppe occasioni, funzionali al ristabilimento di una normale dialettica democratica, sono state sprecate.
Ne sono seguiti errori, gravi sottovalutazioni della pericolosità dell’avversario, si é manifestata all’interno del ceto politico e conseguentemente nella società una vera e propria subalternità culturale rispetto ai temi delle destre, vecchie e nuove, e lo specchio di ciò è rappresentato dal recepimento di un sistema elettorale antidemocratico, funzionale e omologante al mainstream capitalistico internazionale, formalmente bipartitico ma sostanzialemente monopartitico (il monopartitismo disgiunto), che costituisce una della cause principali del riduzionismo democratico in atto. Ed in più piccoli e insensati egoismi di partito. Soltanto se sapremo superare tali errori di prospettiva e di prassi politica, potremo risollevarci.
Siamo però persuasi che ciascun cittadino, ciascun lavoratore italiano, ogni soggetto collettivo destinatario del nostro Appello e della nostra Chiamata, nessuno escluso, sia in buona parte consapevole della drammaticità del momento che stiamo vivendo, e della grandissima responsabilità che questo implica per il futuro della nostra democrazia e della nostra libertà.
Il Parlamento, di fatto ridotto ad organo di mera ratifica della volontà del capo e della sua coalizione di “bravi”; la Magistratura, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Presidente della Repubblica, continuamente sottoposti ad una pressione tipica di una “repubblica sudamericana anni ‘70”.
Ma è particolarmente nei confronti del Capo dello Stato, organo mediatamente politico e di garanzia costituzionale, che si sono realizzate, di fatto, le principali deformazioni, dal momento che la sua funzione costituzionale è stata subdolamente fatta apparire, e ovviamente “gradita”, non più come il garante supremo della Costituzione, la “viva vox constitutionis”, secondo la celebre formula di Calamandrei, bensì in quella, assai ridimensionata e volutamente ininfluente di notaio-certificatore, contro la Costituzione.
Il consolidamento della destra nelle sedi politiche ed istituzionali, nella società e nello stesso senso comune, rendono a nostro avviso concreto il realizzarsi, in questa legislatura, di quel cambiamento costituzionale in chiave autoritaria – cesarista, a cui mira, incessantemente da circa un trentennio (quantomeno a partire dal programma di rinascita democratica di Licio Gelli) la parte peggiore del paese.
Per questo riteniamo di trovarci dinanzi all’ATTACCO FINALE e potenzialmente demolitore della nostra Carta Fondamentale, e insieme ad essa della repubblica democratica e antifascista così come concepite e volute dall’Antifascismo e dalla Resistenza liberatrice.
Senza timore di esagerazione, qualora ciò si avverasse vedremmo ulteriormente ridursi ed in maniera significativa il già degradato spazio politico e pubblico per le forze dell’alternativa, oltre che le sfere di libertà di ciascun soggetto, singolo e associato.
Siamo cioè consapevoli di trovarci dinanzi al serissimo e incombente scenario proprio di un cambiamento radicale di regime, connotato dal presidenzialismo del capo popolo e da un’autocrazia elettiva (maggioritaria) ad esso subalterna e connessa, al solo fine di cristallizzare, costituzionalmente, la sciagurata accoppiata data dalla deriva plebiscitaria-autoritaria del capo con il razzismo, ormai dilagante, della destra reazionaria e del leghismo.
Per questi motivi intendiamo invitare tutti i cittadini, singolarmente e nelle forme associative loro proprie, le forze politiche della sinistra e democratiche, le forze sociali e sindacali, ad incontrarsi nelle ricorrenze, del 25 Aprile, del 1 Maggio e del 2 Giugno, a Roma e in tutte le città italiane, rivolgendo loro un accorato e solenne invito ad UNIRSI per realizzare un PATTO per LA SALVEZZA della COSTITUZIONE repubblicana e dello STATO democratico nati dalla Resistenza. Un ultimo, e ci auguriamo non tardivo, sussulto democratico al fine di scongiurare l’inevitabile baratro.
Pur consapevoli delle diversità politiche e culturali che esistono tra noi, riteniamo certamente prevalente la necessità di porre in essere, tutti insieme e da subito, ogni sforzo per la difesa attiva e intransigente della Costituzione e della democrazia del nostro paese.
Il senso della storia e dei suoi processi, e la relativa interpretazione dei fatti storici, così come tramandatici dai nostri Maggiori, sono ben vivi in tutti noi.
Per questo auspichiamo che questa consapevolezza storica possa nuovamente radicarsi nella coscienza civile del paese e, conseguentemente, nella riflessione politica e culturale in luogo della malapianta di una certa politologia e di un certo ingegnerismo istituzionale che, nella migliore delle ipotesi appaiono scevri del benché minimo connotato valoriale democratico - sociale, quando addirittura non assumono il ruolo di vero e proprio strumento ideologico al servizio dei potentati economici e dunque del liberismo contro la Costituzione e la democrazia sociale da essa prevista.
Riteniamo dunque strumentale e frutto di una logora “politica dello scambio”,uscita sconfitta dal referendum popolare del 2006, l’ennesima riproposizione del tema delle c.d. “riforme” costituzionali. Sappiamo che sono ben altre le urgenze del paese!
Consideriamo perciò irricevibile la proposta dell’attuale maggioranza, perché finalizzata unicamente al recepimento in Costituzione dei postulati politici e culturali del berlusconismo e del leghismo.
Qualsiasi “revisione” costituzionale nel contesto dato, considerando i rapporti di forza in campo e la squilibratissima possibilità di comunicazione, equivarrebbe ad un vero e proprio salto nel buio per la democrazia e la libertà, ed un’ulteriore perdita secca, in termini di diritti di libertà e diritti sociali, per i lavoratori e per i cittadini, già duramente colpiti da una Crisi, il cui acme non è stato ancora raggiunto.
Con questa nostra Chiamata vogliamo, invece, recuperare quello slancio e quella linearità d’azione che hanno caratterizzato la battaglia referendaria per la salvaguardia della Costituzione del 2005-2006, in cui, la giustezza e la nettezza della Lotta per la Costituzione furono compresi dalla maggioranza dei cittadini italiani, e dove le forze di sinistra seppero uscire, dopo molti anni, dalla marginalità per tornare a parlare, da protagoniste, al paese!
E’ questo ciò che ci prefiggiamo. Sono terminati i tempi degli slogan, delle mezze parole dal sapore incomprensibile e tecnocratico, del politichese più o meno corretto.
Intendiamo tornare tra la nostra gente, tra i lavoratori per proporre, nell’immediato, un Patto per la salvezza della Costituzione fondata sul lavoro, che costituisca il primo passo da cui proiettarsi in direzione della effettiva e duratura riconquista democratica e costituzionale del paese, per l’attuazione del programma democratico – sociale della Carta, che significa non soltanto Governo ma qualità dell’azione politica sui temi fondamentali per il paese e i suoi cittadini (politiche redistributive e di pace, piena e buona occupazione, scuola e sanità pubbliche, beni e servizi pubblici e sociali, casa ecc..).
Siamo ben consci che il nostro Appello e la nostra Chiamata avvengono dopo che molte, troppe occasioni, funzionali al ristabilimento di una normale dialettica democratica, sono state sprecate.
Ne sono seguiti errori, gravi sottovalutazioni della pericolosità dell’avversario, si é manifestata all’interno del ceto politico e conseguentemente nella società una vera e propria subalternità culturale rispetto ai temi delle destre, vecchie e nuove, e lo specchio di ciò è rappresentato dal recepimento di un sistema elettorale antidemocratico, funzionale e omologante al mainstream capitalistico internazionale, formalmente bipartitico ma sostanzialemente monopartitico (il monopartitismo disgiunto), che costituisce una della cause principali del riduzionismo democratico in atto. Ed in più piccoli e insensati egoismi di partito. Soltanto se sapremo superare tali errori di prospettiva e di prassi politica, potremo risollevarci.
Siamo però persuasi che ciascun cittadino, ciascun lavoratore italiano, ogni soggetto collettivo destinatario del nostro Appello e della nostra Chiamata, nessuno escluso, sia in buona parte consapevole della drammaticità del momento che stiamo vivendo, e della grandissima responsabilità che questo implica per il futuro della nostra democrazia e della nostra libertà.
Se non ora quando? La resistenza (costituzionale) continua.
Primi firmatari: Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Michelangelo Bovero, Emiliano Brancaccio, Maurizio Brotini, Alberto Burgio, Lorenza Carlassarre, Massimo Ceciarini, Antonello Ciervo, Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Elisabetta Grande, Alfiero Grandi, Claudio Grassi, Donata Gottardi, Carlo Lucchesi, Maria Rosaria Marella, Giovanni Marini, Gerardo Marotta, Ugo Mattei, Corrado Mauceri,Giorgio Mele, Siliano Mollitti, Diego Novelli, Andrea Panaccione, Roberto Passini, Marcello Rossi, Cesare Salvi, Paolo Solimeno, Alessandro Somma, Massimo Torelli, Gianni Vigilante, Massimo Villone, Luigi Vinci, Zaccheo Nencioni
Primi firmatari: Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Michelangelo Bovero, Emiliano Brancaccio, Maurizio Brotini, Alberto Burgio, Lorenza Carlassarre, Massimo Ceciarini, Antonello Ciervo, Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Elisabetta Grande, Alfiero Grandi, Claudio Grassi, Donata Gottardi, Carlo Lucchesi, Maria Rosaria Marella, Giovanni Marini, Gerardo Marotta, Ugo Mattei, Corrado Mauceri,Giorgio Mele, Siliano Mollitti, Diego Novelli, Andrea Panaccione, Roberto Passini, Marcello Rossi, Cesare Salvi, Paolo Solimeno, Alessandro Somma, Massimo Torelli, Gianni Vigilante, Massimo Villone, Luigi Vinci, Zaccheo Nencioni
martedì 20 aprile 2010
Vendola in fuga da SEL. SEL in fuga da se stessa.
Che le cose non andassero per il verso giusto lo si era ampiamente intuito, nelle settimane scorse, quando in risposta al "lancio" delle cosiddette "Fabbriche di Nichi", (i nuovi laboratori progettuali del governatore pugliese Vendola); si erano avute da più parti all'interno di Sinistra Ecologia e Libertà, risposte quasi piccate, da parte dei vari esponenti di punta del partito/movimento.
Sia Claudio Fava che l'ex PRC Alfonso Gianni, fin da subito, mettevano in dubbio la bontà dell'operazione politica del leader pugliese.
Un'operazione che, a margine di un risultato mediocre alle elezioni regionali, dove SEL non ha "sfondato" , ma anzi è stata salvata solo grazie ad un ottimo risultato in Puglia; è stata vista come una pericolosa deriva personalistica, in netta contraddizione con l'avanzamento del progetto SEL; un progetto che ancora sopravvive in forma di movimento, in attesa di un congresso (a dicembre prossimo?) che ne sancisca la definitiva nascita politica.
Una nascita da subito problematica, se si pensa come, proprio il congresso che sarebbe dovuto avvenire nell'estate è stato appunto rimandato a data da destinarsi.
Ma ciò che ha suscitato più sensazione è stato senz'altro lo svolgimento della conferenza programmatica avvenuta sabato scorso a Roma, nello storico Centro Congresso Frentani.
Platea assembleare che fin dall'inizio si è subito riscaldata, grazie proprio all'intervento del "leader maximo" di SEL, Nichi Vendola.
Vendola, che forte della vittoria pugliese, ha ribadito con forza come l'unica accellerazione possibile, sia da fare solo sul sostegno alla propria figura politica.
Il governatore del Tavoliere ha usato parole durissime, come si apprende da un articolo di domenica scorsa su Il Manifesto, dove "Nikita", appella i suoi con un - "SEL è diventata un partito berlusconiano"- ed ancora " un partito in cui l'unica logica che vince è quella della competizione".
Parole che suonano come un'intenzione, nemmeno così celata di passare ad altro.
Ed ecco che spuntano di nuovo "Le Fabbriche di Nichi", che hanno "tirato la volata" al leader, nelle regionali da poco concluse.
Un progetto, quello delle "Fabbriche", a detta dello stesso Vendola, parallelo a quello di SEL, autonomo e non direttamente collegato a nessun soggetto politico, ma incentrato totalmente sul "personaggio" Nichi Vendola.
Un progetto che rischia seriamente di minare la costruzione di Sinistra Ecologia e Libertà, nella sua forma partito, che perso il suo leader più carismatico e non avendo una piattaforma politica ben definita, avrebbe poco senso d'esistere.
Una piattaforma politica che dovrebbe passare, a sentire Claudio Fava, dalla forma movimento a quella partito - "E' tempo che SEL non sia più una somma di storie ma diventi stabilmente sostanza politica".
Francamente, sembra davvero sempre più improbabile che ciò accada, quando nemmeno gli stessi dirigenti sono disposti a scommetterci più.
Emblematico poi, che Vendola, abbia declinato un eventuale incarico di segretario di partito.
Se non è la parola fine, poco ci manca.
La fuga da SEL è già cominciata mesi fa con la "fuoriuscita" di PSI e Verdi, e continua con l'abbandono della Belligero (ex PDCI) di poche ore, fa.
La sensazione è che l'unica cosa, che rimane in SEL sia l'elettorato, un elettorato confuso, diviso, spaesato, in ostaggio tra il carisma del suo politico mediaticamente più importante e le sacche residuali degli "ex partiti" aderenti al progetto.
Un progetto nato con l'intento di produrre un salto di qualità alla sinistra del Partito Democratico, ma che ben presto si è reso inefficace per la sua natura subalterna a quest'ultimo, tra accordi improbabili sui territori e incertezze programmatiche.
Con il senno del poi, si potrebbe dire che i tumulti scissionisti prodotti dai fuoriusciti di PRC. PDCI e SD, siano stati l'ennesimo harakiri di una sinistra, sempre più residuale e ininfluente nel panorama politico italiano.
Intanto nella formazione politica affine ad SEL, la Federazione della Sinistra, c'è già lancia un salvagente agli ex compagni, proponendo un processo federativo comune, nel rispetto ognuno delle proprie diversità.
Processo che servirebbe a non disperdere quell'elettorato che suddiviso in due forze politiche, si attesta per ognuna intorno al dato del 3 per cento dei voti a livello nazionale.
Una percentuale che se analizzata nello specifico, ci fa capire come, nonstante SEL si attesti al 3.0 pieno (contro il 2,9 della Federazione) in 9 regioni su 11 sia dietro al progetto politico dei vari Ferrero, Grassi, Diliberto e co. e solo l'ottimo risultato pugliese, come già detto, salvi un progetto politico in pericolosa caduta libera dalle europee, che senza il dato pugliese si attesterebbe intorno ad un risicato 1,5/1,9 per cento.
Peccato che senza Nichi Vendola, di SEL rimanga ben poco e se è facile auspicare un successo mediatico per il governatore, in odore di candidatura per le politiche 2013 e forte di un buon consenso personale, molto meno roseo è il futuro di SEL stessa, priva di un progetto politico chiaro, e di una collocazione identitaria definita.
Senza Vendola di fatto non esiste SEL.
Per chi vede Nichi Vendola come "la soluzione" alle tribolazioni del centro sinistra italiano, sarà un problema di poco conto, si tratta solo di seguire la scia del suo carisma.
Per tutti gli altri che hanno creduto e ancora credono nel progetto SEL, sopratutto se politici illustri in cerca di un appiglio, pare proprio che debbano farsi una ragione, della prematura fine di un progetto mai nato e che pare destinato a morire prima addirittura di emettere il suo primo vagito.
Sia Claudio Fava che l'ex PRC Alfonso Gianni, fin da subito, mettevano in dubbio la bontà dell'operazione politica del leader pugliese.
Un'operazione che, a margine di un risultato mediocre alle elezioni regionali, dove SEL non ha "sfondato" , ma anzi è stata salvata solo grazie ad un ottimo risultato in Puglia; è stata vista come una pericolosa deriva personalistica, in netta contraddizione con l'avanzamento del progetto SEL; un progetto che ancora sopravvive in forma di movimento, in attesa di un congresso (a dicembre prossimo?) che ne sancisca la definitiva nascita politica.
Una nascita da subito problematica, se si pensa come, proprio il congresso che sarebbe dovuto avvenire nell'estate è stato appunto rimandato a data da destinarsi.
Ma ciò che ha suscitato più sensazione è stato senz'altro lo svolgimento della conferenza programmatica avvenuta sabato scorso a Roma, nello storico Centro Congresso Frentani.
Platea assembleare che fin dall'inizio si è subito riscaldata, grazie proprio all'intervento del "leader maximo" di SEL, Nichi Vendola.
Vendola, che forte della vittoria pugliese, ha ribadito con forza come l'unica accellerazione possibile, sia da fare solo sul sostegno alla propria figura politica.
Il governatore del Tavoliere ha usato parole durissime, come si apprende da un articolo di domenica scorsa su Il Manifesto, dove "Nikita", appella i suoi con un - "SEL è diventata un partito berlusconiano"- ed ancora " un partito in cui l'unica logica che vince è quella della competizione".
Parole che suonano come un'intenzione, nemmeno così celata di passare ad altro.
Ed ecco che spuntano di nuovo "Le Fabbriche di Nichi", che hanno "tirato la volata" al leader, nelle regionali da poco concluse.
Un progetto, quello delle "Fabbriche", a detta dello stesso Vendola, parallelo a quello di SEL, autonomo e non direttamente collegato a nessun soggetto politico, ma incentrato totalmente sul "personaggio" Nichi Vendola.
Un progetto che rischia seriamente di minare la costruzione di Sinistra Ecologia e Libertà, nella sua forma partito, che perso il suo leader più carismatico e non avendo una piattaforma politica ben definita, avrebbe poco senso d'esistere.
Una piattaforma politica che dovrebbe passare, a sentire Claudio Fava, dalla forma movimento a quella partito - "E' tempo che SEL non sia più una somma di storie ma diventi stabilmente sostanza politica".
Francamente, sembra davvero sempre più improbabile che ciò accada, quando nemmeno gli stessi dirigenti sono disposti a scommetterci più.
Emblematico poi, che Vendola, abbia declinato un eventuale incarico di segretario di partito.
Se non è la parola fine, poco ci manca.
La fuga da SEL è già cominciata mesi fa con la "fuoriuscita" di PSI e Verdi, e continua con l'abbandono della Belligero (ex PDCI) di poche ore, fa.
La sensazione è che l'unica cosa, che rimane in SEL sia l'elettorato, un elettorato confuso, diviso, spaesato, in ostaggio tra il carisma del suo politico mediaticamente più importante e le sacche residuali degli "ex partiti" aderenti al progetto.
Un progetto nato con l'intento di produrre un salto di qualità alla sinistra del Partito Democratico, ma che ben presto si è reso inefficace per la sua natura subalterna a quest'ultimo, tra accordi improbabili sui territori e incertezze programmatiche.
Con il senno del poi, si potrebbe dire che i tumulti scissionisti prodotti dai fuoriusciti di PRC. PDCI e SD, siano stati l'ennesimo harakiri di una sinistra, sempre più residuale e ininfluente nel panorama politico italiano.
Intanto nella formazione politica affine ad SEL, la Federazione della Sinistra, c'è già lancia un salvagente agli ex compagni, proponendo un processo federativo comune, nel rispetto ognuno delle proprie diversità.
Processo che servirebbe a non disperdere quell'elettorato che suddiviso in due forze politiche, si attesta per ognuna intorno al dato del 3 per cento dei voti a livello nazionale.
Una percentuale che se analizzata nello specifico, ci fa capire come, nonstante SEL si attesti al 3.0 pieno (contro il 2,9 della Federazione) in 9 regioni su 11 sia dietro al progetto politico dei vari Ferrero, Grassi, Diliberto e co. e solo l'ottimo risultato pugliese, come già detto, salvi un progetto politico in pericolosa caduta libera dalle europee, che senza il dato pugliese si attesterebbe intorno ad un risicato 1,5/1,9 per cento.
Peccato che senza Nichi Vendola, di SEL rimanga ben poco e se è facile auspicare un successo mediatico per il governatore, in odore di candidatura per le politiche 2013 e forte di un buon consenso personale, molto meno roseo è il futuro di SEL stessa, priva di un progetto politico chiaro, e di una collocazione identitaria definita.
Senza Vendola di fatto non esiste SEL.
Per chi vede Nichi Vendola come "la soluzione" alle tribolazioni del centro sinistra italiano, sarà un problema di poco conto, si tratta solo di seguire la scia del suo carisma.
Per tutti gli altri che hanno creduto e ancora credono nel progetto SEL, sopratutto se politici illustri in cerca di un appiglio, pare proprio che debbano farsi una ragione, della prematura fine di un progetto mai nato e che pare destinato a morire prima addirittura di emettere il suo primo vagito.
lunedì 12 aprile 2010
Servizio Pubblico, gestore Privato.
Francesco Messina su commissione dell'allora direttore Rai, iniziò i lavori per quello che da i due anni successivi, ad opera conclusa, è divenuto il simbolo più importante della Radio Audizioni Italiana.
Il Cavallo Morente.
La R.A.I. nata con concretamente, (se si escludono le esperienze governative dell'UAR e dell'EIAR tra il 1924 e il 1944) nel 1954, con la messa in onda del primo programma il 3 gennaio 1954 in concomitanza con il primo Tele Giornale 1, dovrebbe essere l'azienda pubblica, di proprietà dello Stato e regolata dal Ministero delle Telecomunicazioni, che informa, come organo imparziale, il cittadino, sulle principali notizie di attualità giornaliere.
Se è vero che, la RAI non è mai stata un esempio di trasparenza, indipendenza e capacità giornalistica, sopratutto d'inchiesta; è anche vero che momenti così bassi di credibilità, il servizio pubblico non aveva mai avuto.
Nessuno si sognerebbe di paragonare la televisione pubblica italiana, alla BBC, alla francese France Television, o alle altre "consorelle", famose, sparse per il globo; per via di un difetto di fondo, perenne, quello della gestione, quasi diretta degli organi dirigenti dell'azienda pubblica da parte dei partiti politici.
Non è un caso che RAI, da sempre sia sinonimo di politica nel nostro paese, ma sopratutto di classe politica, al potere.
Tanto che, in passato (e in parte anche oggi) si definivano i tre canali come fossero delle quote, a seconda del partito politico che lì "dirigeva".
Questo per riamarcare, nel caso ce ne fosse bisogno, come il servizio pubblico televisivo/radiofonico italiano non abbia mai avuto nel proprio "dna", ben impresso; il concetto di pluralismo imparziale con alla base una posizione netta, apolitica.
Come spesso accade, quando una situazione si protrae e degenera, difficilmente questa, migliora.
Nel caso del nostro paese, non solo la situazione non migliora, ma ormai si protrae in tutta la sua precarietà etica-morale.
Quel cavallo, simbolo dei vecchi mezzi di comunicazione, sorpassati dalle tecnologie, per questo, morente; non solo non agonizza più, ma è proprio deceduto sotto i colpi della censura, del servilismo, della mancanza di caratura giornalistica.
C'è pure chi fa la guarda alla carcassa, in attesa che il grande predatore e padrone, in tutta tranquillità ne disponga come meglio crede.
Non è un nome nuovo, su queste pagine elettroniche, ma è impossibile ignorare certe sue nefandezze.
Oggi infatti, si levano alcune dure repliche da parte di uno dei volti noti del TG1, Tiziana Ferrario, alle parole e ai fatti che nelle settimane passate, il direttore Augusto Minzolini (ecco il nome) ha scritto e all'ondata "epurativa" che ha colpito chi non collimava con le idee dell'appunto, attuale direttore del TG1.
Antefatto breve: nelle settimane scorse, Augusto Minzolini, è stato nel mirino delle critiche per via di alcune intercettazioni che dimostrano come ci fosse tra lui, l'entourage politico di Berlusconi e lo stesso premier, un "canale preferenziale", in cui si decidevano la gestione delle notizie, ma anche si parlava di come "zittire" i detrattori del cavaliere a partire da Anno Zero e il suo conduttore Michele Santoro.
In risposta a queste accuse, ad una raccolta di firme di cittadini che per protesta riguardo all'emissione di una notizia palesemente falsa (riguardo il processo Mills, in cui si parlava per l'avvocato inglese, corrotto da Berlusconi di "assoluzione", quando invece il reato è prescritto e cioè "scaduto") data al TG1 e un clima di pericolosa frattura tra i giornalisti del TG, Minzolini e le persone di sua fiducia hanno prodotto un testo di risposta che poi è stato sottoposto alla redazione.
Chi non ha firmato, tra questi pure alcuni volti molto noti del TG1, come Maria Luisa Busi, Paolo Di Giannantonio, Piero Damosso e Tiziana Ferrario e del capo redattore Massimo De Strobel, è stato (salvo il caso della Busi, solo richiamata) epurato.
Epurato è il termine giusto, non è assolutamente un appesantimento linguistico voluto.
Di fatto chi non ha sottoscritto il testo di sostegno alla direzione è stato rimosso frettolosamente dall'incarico, con la scusa di un non ben precisato "rinnovamento" al TG.
Eccoci quindi agli sviluppi odierni accennati sopra, Tiziana Ferrario, ha pensato bene di rispondere con una lettera inella bacheca di redazione, affiggendo ieri sera un testo in risposta a Minzolini, in cui con durezza se ne criticano i modi di gestione e direzione del Telegiornale.
"Quello che sta accadendo da mesi in questo giornale, le emarginazioni di molti colleghi, i doppi e tripli incarichi di altri, le ripetute promozioni e le ricompense elargite sotto forma di conduzioni e rubriche sono il frutto di una deregulation che viene da lontano ma che si è ulteriormente inasprita e che a mio parere non promette nulla di buono per il futuro e ci sta portando ad una perdita di credibilità del Tg1".
Queste le parole della ex conduttrice dell'edizione delle 20, che continua - "Da mesi siamo sui giornali, sotto pressione non certo per gli scoop che abbiamo messo a segno, perché non vedo scoop da tanto tempo, ma per le aspre polemiche che ci circondano. L'esperienza del passato mi insegna che è un cattivo segno quando si incomincia a guardare in quale fascia di età stiamo recuperando ascolti, quando è davanti agli occhi di tutti che siamo sempre sotto il 30% di share.
Una soglia che una volta temevamo di toccare e vivevamo come una sconfitta".
Riprendendo le parole della giornalista quando parla di "deregulation che viene da lontano", non si può non notare che forse, più che di mancanza di regole, in Rai è sempre o quasi mancato un vero senso etico deontologico e d'indipendenza.
Da sempre infatti, la Rai e il suo primo TG, sono sinonimo di "moderazione", "eufemismo mediatico" dai tempi delle redazioni e dei consigli di amministrazione in mano alla Democrazia Cristiana e ai vecchi partiti della prima Repubblica.
Il "germe", quindi, che vede nell'attuale direttore del TG1 e nelle occulte manovre del premier la sua peggiore espressione, è un virus che viene da molto lontano e da cui, il servizio pubblico italiano pare sia sempre stato infettato.
Con buona pace dei contribuenti italiani e della libertà d'informazione.
Un problema, quello di una gestione apolitica e super partes dell'informazione pubblica, che una nuova generazione politica dovrebbe porsi come uno dei primi e principali obbiettivi da perseguire.
Peccato che "l'opposizione" nei pure insufficienti spazi a lei concessi sul servizio pubblico, si limiti a scambiarsi i soliti, inconcludenti colpi, con i politici di turno della maggioranza; in un "ping pong mediatico" perfettamente adatto al clima di regime monocratico dell'informazione, in cui affonda piano piano il nostro paese.
Il Cavallo Morente.
La R.A.I. nata con concretamente, (se si escludono le esperienze governative dell'UAR e dell'EIAR tra il 1924 e il 1944) nel 1954, con la messa in onda del primo programma il 3 gennaio 1954 in concomitanza con il primo Tele Giornale 1, dovrebbe essere l'azienda pubblica, di proprietà dello Stato e regolata dal Ministero delle Telecomunicazioni, che informa, come organo imparziale, il cittadino, sulle principali notizie di attualità giornaliere.
Se è vero che, la RAI non è mai stata un esempio di trasparenza, indipendenza e capacità giornalistica, sopratutto d'inchiesta; è anche vero che momenti così bassi di credibilità, il servizio pubblico non aveva mai avuto.
Nessuno si sognerebbe di paragonare la televisione pubblica italiana, alla BBC, alla francese France Television, o alle altre "consorelle", famose, sparse per il globo; per via di un difetto di fondo, perenne, quello della gestione, quasi diretta degli organi dirigenti dell'azienda pubblica da parte dei partiti politici.
Non è un caso che RAI, da sempre sia sinonimo di politica nel nostro paese, ma sopratutto di classe politica, al potere.
Tanto che, in passato (e in parte anche oggi) si definivano i tre canali come fossero delle quote, a seconda del partito politico che lì "dirigeva".
Questo per riamarcare, nel caso ce ne fosse bisogno, come il servizio pubblico televisivo/radiofonico italiano non abbia mai avuto nel proprio "dna", ben impresso; il concetto di pluralismo imparziale con alla base una posizione netta, apolitica.
Come spesso accade, quando una situazione si protrae e degenera, difficilmente questa, migliora.
Nel caso del nostro paese, non solo la situazione non migliora, ma ormai si protrae in tutta la sua precarietà etica-morale.
Quel cavallo, simbolo dei vecchi mezzi di comunicazione, sorpassati dalle tecnologie, per questo, morente; non solo non agonizza più, ma è proprio deceduto sotto i colpi della censura, del servilismo, della mancanza di caratura giornalistica.
C'è pure chi fa la guarda alla carcassa, in attesa che il grande predatore e padrone, in tutta tranquillità ne disponga come meglio crede.
Non è un nome nuovo, su queste pagine elettroniche, ma è impossibile ignorare certe sue nefandezze.
Oggi infatti, si levano alcune dure repliche da parte di uno dei volti noti del TG1, Tiziana Ferrario, alle parole e ai fatti che nelle settimane passate, il direttore Augusto Minzolini (ecco il nome) ha scritto e all'ondata "epurativa" che ha colpito chi non collimava con le idee dell'appunto, attuale direttore del TG1.
Antefatto breve: nelle settimane scorse, Augusto Minzolini, è stato nel mirino delle critiche per via di alcune intercettazioni che dimostrano come ci fosse tra lui, l'entourage politico di Berlusconi e lo stesso premier, un "canale preferenziale", in cui si decidevano la gestione delle notizie, ma anche si parlava di come "zittire" i detrattori del cavaliere a partire da Anno Zero e il suo conduttore Michele Santoro.
In risposta a queste accuse, ad una raccolta di firme di cittadini che per protesta riguardo all'emissione di una notizia palesemente falsa (riguardo il processo Mills, in cui si parlava per l'avvocato inglese, corrotto da Berlusconi di "assoluzione", quando invece il reato è prescritto e cioè "scaduto") data al TG1 e un clima di pericolosa frattura tra i giornalisti del TG, Minzolini e le persone di sua fiducia hanno prodotto un testo di risposta che poi è stato sottoposto alla redazione.
Chi non ha firmato, tra questi pure alcuni volti molto noti del TG1, come Maria Luisa Busi, Paolo Di Giannantonio, Piero Damosso e Tiziana Ferrario e del capo redattore Massimo De Strobel, è stato (salvo il caso della Busi, solo richiamata) epurato.
Epurato è il termine giusto, non è assolutamente un appesantimento linguistico voluto.
Di fatto chi non ha sottoscritto il testo di sostegno alla direzione è stato rimosso frettolosamente dall'incarico, con la scusa di un non ben precisato "rinnovamento" al TG.
Eccoci quindi agli sviluppi odierni accennati sopra, Tiziana Ferrario, ha pensato bene di rispondere con una lettera inella bacheca di redazione, affiggendo ieri sera un testo in risposta a Minzolini, in cui con durezza se ne criticano i modi di gestione e direzione del Telegiornale.
"Quello che sta accadendo da mesi in questo giornale, le emarginazioni di molti colleghi, i doppi e tripli incarichi di altri, le ripetute promozioni e le ricompense elargite sotto forma di conduzioni e rubriche sono il frutto di una deregulation che viene da lontano ma che si è ulteriormente inasprita e che a mio parere non promette nulla di buono per il futuro e ci sta portando ad una perdita di credibilità del Tg1".
Queste le parole della ex conduttrice dell'edizione delle 20, che continua - "Da mesi siamo sui giornali, sotto pressione non certo per gli scoop che abbiamo messo a segno, perché non vedo scoop da tanto tempo, ma per le aspre polemiche che ci circondano. L'esperienza del passato mi insegna che è un cattivo segno quando si incomincia a guardare in quale fascia di età stiamo recuperando ascolti, quando è davanti agli occhi di tutti che siamo sempre sotto il 30% di share.
Una soglia che una volta temevamo di toccare e vivevamo come una sconfitta".
Riprendendo le parole della giornalista quando parla di "deregulation che viene da lontano", non si può non notare che forse, più che di mancanza di regole, in Rai è sempre o quasi mancato un vero senso etico deontologico e d'indipendenza.
Da sempre infatti, la Rai e il suo primo TG, sono sinonimo di "moderazione", "eufemismo mediatico" dai tempi delle redazioni e dei consigli di amministrazione in mano alla Democrazia Cristiana e ai vecchi partiti della prima Repubblica.
Il "germe", quindi, che vede nell'attuale direttore del TG1 e nelle occulte manovre del premier la sua peggiore espressione, è un virus che viene da molto lontano e da cui, il servizio pubblico italiano pare sia sempre stato infettato.
Con buona pace dei contribuenti italiani e della libertà d'informazione.
Un problema, quello di una gestione apolitica e super partes dell'informazione pubblica, che una nuova generazione politica dovrebbe porsi come uno dei primi e principali obbiettivi da perseguire.
Peccato che "l'opposizione" nei pure insufficienti spazi a lei concessi sul servizio pubblico, si limiti a scambiarsi i soliti, inconcludenti colpi, con i politici di turno della maggioranza; in un "ping pong mediatico" perfettamente adatto al clima di regime monocratico dell'informazione, in cui affonda piano piano il nostro paese.
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martedì 6 aprile 2010
La Sinistra alla finestra.
Le elezioni regionali si sono ormai concluse da una settimana.
Aldilà dei vari proclami, più o meno di circostanza del Partito Democratico, sappiamo bene chi ha vinto.
Sono sempre le solite facce.
L'Italia, che lascia indietro gli altri due colori della sua bandiera, si tinge sempre più di un verde "padano".
L'astensionismo ridimensiona un po' tutti, ma sopratutto i due grandi partiti che seppur in maniera e con percentuali diverse, arretrano.
Se per il PD, l'emorragia di voti comincia a farsi preoccupante, anche grazie ad una migrazione di voti verso l'IDV, le sinistre extraparlmentari tengono con grande difficoltà, limitando i danni, rispetto ai dati delle elezioni europee.
Non bastano quindi alcune regioni da sempre negli ultimi anni, critiche per i partiti della sinistra (Veneto, Lombardia), per spiegare, in un momento che pure avrebbe potuto essere favorevole, un così pericoloso arretramento, mitigato, solo in parte dai buoni risultati (ma sempre con risultati ridimensionati) nelle cosiddette "regioni rosse".
In particolare, se guardiamo i dati di Federazione della Sinistra e Sinistra Ecologia e Libertà, notiamo come, ambedue le forze politiche siano a lambire un risultato complessivo che si attesta attorno al 3% dei consensi che sarebbe ben peggiore, poi, per quest'ultima forza politica senza la presenza fondamentale del rieletto governatore della regione Puglia, Nichi Vendola che "in casa" alza di molto la media del suo partito a livello nazionale con un ottimo e prevedibile 9,7; ma nel resto d'Italia subisce un pesante arretramento rispetto ai dati delle europee con percentuali che vanno da 1,5 a 1,9 per cento.
Per quanto riguarda invece la Federazione della Sinistra nonostante alcuni buoni risultati, sopratutto in Umbria, nelle Marche (insieme ad SEL) e in Toscana, le sfide cruciali delle regioni di Lombardia (con Agnoletto) e Campania con la candidatura d'immagine del segretario PRC Ferrero, vengono pesantemente disattese con risultati mediocri, tra il 2 e l'1,5.
Per quanto riguarda invece il Partito Democratico, che vince con facilità in Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche, perdendo comunque molti voti (in Toscana quasi 8 punti percentuali), probabilmente essendo il partito più colpito di tutti dall'astensionismo, subisce due dolorose sconfitte in Piemonte (Bresso battuta da Cota, per un pugno di voti) e nel Lazio dove pesa lo scandalo Marrazzo e la candidatura non molto ben vista dai poteri forti del Vaticano, di Emma Bonino.
Chi cresce, ma nemmeno troppo è la solita Italia dei Valori di Antonio Di Pietro su cui non pesano nemmeno gli appoggi a candidature scomode per il partito dei "giustizialisti" come quelle di De Luca e Loiero, segno evidendte di come, anche nell'IDV, contino molto più i messaggi populisti del "leader" invece dei contenuti.
Sorpresa vera, le liste "Cinque Stelle" del comico Beppe Grillo che ottengono due risultati importanti in Piemonte grazie alla lotta alla Tav e in Emilia Romagna, suscitando le ire di buona parte del PD, che vede come maggiori responsabili della sconfitta i "grillini" riguardo la regione Piemonte, colpevoli di aver sottrato voti, visto il minimo scarto tra i due candidati.
Nell'empasse politica della sinistra italiana, dunque, si avvertono già le prime scosse di alcuni movimenti che appaiono sempre più come stravolgimenti tellurici.
Se nel PD riparte la solita guerra fratricida tra le vari correnti di vecchi e nuovi "potenti", le scorie dello scorso congresso dell'IDV fanno sbandare la minoranza di De Magistris a sinistra con proclami di unità oltre il PD su tematiche comuni e su esempi simili al fronte della "Gauche" francese.
Appello subito accolto da Nichi Vendola e dagli esponenti della Federazione della Sinistra, nel tentativo di uscire dall'isolamento politico in cui si trovano oggi i partiti "dell'alternativa".
Se per quanto riguarda la Federazione, il confronto vorrebbe essere programmatico e vorrebbe dare un'accelerazione al progetto stesso della Federazione ancora oggi percepita come una "sommatoria di partiti", in Sinistra Ecologia e Libertà si punta tutto sul carisma del leader pugliese, panacea di tutti i mali e della mancanza di contenuto politico.
Un Vendola che già prepara il colpo grosso per le prossime politiche in appuntamento tra tre anni, mirando alla carica di candidato unitario del nuovo "centrosinistra", coadiuvato anche dal benestare dei poteri "forti" vicini al Partito Democratico, come nel caso di De Benedetti (L'Espresso della settimana scorsa apriva con una copertina in cui s'intitolava "Non ci resta che Nichi..") e Scalfari che investono il governatore pugliese di questa carica.
Difficile pensare che l'asse Bersani-Latorre-D'Alema accetti tranquillamente lo "scavalcamento" senza colpo ferire.
A decidere saranno le primarie o un'investitura simile a quella del primo governo Prodi?
Quel che è certo, è che lo scenario politico per la siistra italiana tutta è ad un bivio.
Archiviato il progetto veltroniano di un partito democratico di stampo laburista, rintuzzati i rigurgiti socilademocratici d'alemiani, archiviato il comunismo e la sua eredità politica, frammentata in piccoli partiti, rimane a coprire le nudità di una sinistra italiana senza idee, pericolosamente in bilico tra populismo e pseudo-movimenti, soltanto il solito, vecchio leaderismo.
Le "Fabbriche di Nichi", i laboratori in cui il governatore Vendola, proverà a costruire un nuovo centrosinistra in grado di battere Berlusconi, sono già in movimento.
Basterà una dose di carisma e qualche poesia per battere il cavaliere e fermare la deriva clerico-fascista del nostro paese?
Un elettorato sempre più scorato e disilluso, probabilmente quella tanta parte astensionista e non votante sta alla finestra, in attesa di capire a cosa porteranno le "grandi manovre".
La sensazione, paurosa, è quella di vedere in Nichi Vendola sì, un degno avversario per la contesa del governo del paese al centrodestra, ma in un campo ormai delineato, che non vede più la critica allo stato di cose esistente come un bisogno reale e primario, ma accetta quest'ultimo, lo metabolizza e si piega ad esso.
Una politica fatta di slogan, di trovate pubblicitarie e campagne costose, tribune televisive, consenso populista.
Basterà giocare con "le regole dell'avversario" per risollevare le sorti della sinistra in Italia?
Il rischio è quello di non accorgersi che l'antagonismo nei confronti dell'avversario si sia in realtà trasformato nella nemesi (e nella compensazione) dell'avversario stesso...
Foto: di Loungerie
Aldilà dei vari proclami, più o meno di circostanza del Partito Democratico, sappiamo bene chi ha vinto.
Sono sempre le solite facce.
L'Italia, che lascia indietro gli altri due colori della sua bandiera, si tinge sempre più di un verde "padano".
L'astensionismo ridimensiona un po' tutti, ma sopratutto i due grandi partiti che seppur in maniera e con percentuali diverse, arretrano.
Se per il PD, l'emorragia di voti comincia a farsi preoccupante, anche grazie ad una migrazione di voti verso l'IDV, le sinistre extraparlmentari tengono con grande difficoltà, limitando i danni, rispetto ai dati delle elezioni europee.
Non bastano quindi alcune regioni da sempre negli ultimi anni, critiche per i partiti della sinistra (Veneto, Lombardia), per spiegare, in un momento che pure avrebbe potuto essere favorevole, un così pericoloso arretramento, mitigato, solo in parte dai buoni risultati (ma sempre con risultati ridimensionati) nelle cosiddette "regioni rosse".
In particolare, se guardiamo i dati di Federazione della Sinistra e Sinistra Ecologia e Libertà, notiamo come, ambedue le forze politiche siano a lambire un risultato complessivo che si attesta attorno al 3% dei consensi che sarebbe ben peggiore, poi, per quest'ultima forza politica senza la presenza fondamentale del rieletto governatore della regione Puglia, Nichi Vendola che "in casa" alza di molto la media del suo partito a livello nazionale con un ottimo e prevedibile 9,7; ma nel resto d'Italia subisce un pesante arretramento rispetto ai dati delle europee con percentuali che vanno da 1,5 a 1,9 per cento.
Per quanto riguarda invece la Federazione della Sinistra nonostante alcuni buoni risultati, sopratutto in Umbria, nelle Marche (insieme ad SEL) e in Toscana, le sfide cruciali delle regioni di Lombardia (con Agnoletto) e Campania con la candidatura d'immagine del segretario PRC Ferrero, vengono pesantemente disattese con risultati mediocri, tra il 2 e l'1,5.
Per quanto riguarda invece il Partito Democratico, che vince con facilità in Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche, perdendo comunque molti voti (in Toscana quasi 8 punti percentuali), probabilmente essendo il partito più colpito di tutti dall'astensionismo, subisce due dolorose sconfitte in Piemonte (Bresso battuta da Cota, per un pugno di voti) e nel Lazio dove pesa lo scandalo Marrazzo e la candidatura non molto ben vista dai poteri forti del Vaticano, di Emma Bonino.
Chi cresce, ma nemmeno troppo è la solita Italia dei Valori di Antonio Di Pietro su cui non pesano nemmeno gli appoggi a candidature scomode per il partito dei "giustizialisti" come quelle di De Luca e Loiero, segno evidendte di come, anche nell'IDV, contino molto più i messaggi populisti del "leader" invece dei contenuti.
Sorpresa vera, le liste "Cinque Stelle" del comico Beppe Grillo che ottengono due risultati importanti in Piemonte grazie alla lotta alla Tav e in Emilia Romagna, suscitando le ire di buona parte del PD, che vede come maggiori responsabili della sconfitta i "grillini" riguardo la regione Piemonte, colpevoli di aver sottrato voti, visto il minimo scarto tra i due candidati.
Nell'empasse politica della sinistra italiana, dunque, si avvertono già le prime scosse di alcuni movimenti che appaiono sempre più come stravolgimenti tellurici.
Se nel PD riparte la solita guerra fratricida tra le vari correnti di vecchi e nuovi "potenti", le scorie dello scorso congresso dell'IDV fanno sbandare la minoranza di De Magistris a sinistra con proclami di unità oltre il PD su tematiche comuni e su esempi simili al fronte della "Gauche" francese.
Appello subito accolto da Nichi Vendola e dagli esponenti della Federazione della Sinistra, nel tentativo di uscire dall'isolamento politico in cui si trovano oggi i partiti "dell'alternativa".
Se per quanto riguarda la Federazione, il confronto vorrebbe essere programmatico e vorrebbe dare un'accelerazione al progetto stesso della Federazione ancora oggi percepita come una "sommatoria di partiti", in Sinistra Ecologia e Libertà si punta tutto sul carisma del leader pugliese, panacea di tutti i mali e della mancanza di contenuto politico.
Un Vendola che già prepara il colpo grosso per le prossime politiche in appuntamento tra tre anni, mirando alla carica di candidato unitario del nuovo "centrosinistra", coadiuvato anche dal benestare dei poteri "forti" vicini al Partito Democratico, come nel caso di De Benedetti (L'Espresso della settimana scorsa apriva con una copertina in cui s'intitolava "Non ci resta che Nichi..") e Scalfari che investono il governatore pugliese di questa carica.
Difficile pensare che l'asse Bersani-Latorre-D'Alema accetti tranquillamente lo "scavalcamento" senza colpo ferire.
A decidere saranno le primarie o un'investitura simile a quella del primo governo Prodi?
Quel che è certo, è che lo scenario politico per la siistra italiana tutta è ad un bivio.
Archiviato il progetto veltroniano di un partito democratico di stampo laburista, rintuzzati i rigurgiti socilademocratici d'alemiani, archiviato il comunismo e la sua eredità politica, frammentata in piccoli partiti, rimane a coprire le nudità di una sinistra italiana senza idee, pericolosamente in bilico tra populismo e pseudo-movimenti, soltanto il solito, vecchio leaderismo.
Le "Fabbriche di Nichi", i laboratori in cui il governatore Vendola, proverà a costruire un nuovo centrosinistra in grado di battere Berlusconi, sono già in movimento.
Basterà una dose di carisma e qualche poesia per battere il cavaliere e fermare la deriva clerico-fascista del nostro paese?
Un elettorato sempre più scorato e disilluso, probabilmente quella tanta parte astensionista e non votante sta alla finestra, in attesa di capire a cosa porteranno le "grandi manovre".
La sensazione, paurosa, è quella di vedere in Nichi Vendola sì, un degno avversario per la contesa del governo del paese al centrodestra, ma in un campo ormai delineato, che non vede più la critica allo stato di cose esistente come un bisogno reale e primario, ma accetta quest'ultimo, lo metabolizza e si piega ad esso.
Una politica fatta di slogan, di trovate pubblicitarie e campagne costose, tribune televisive, consenso populista.
Basterà giocare con "le regole dell'avversario" per risollevare le sorti della sinistra in Italia?
Il rischio è quello di non accorgersi che l'antagonismo nei confronti dell'avversario si sia in realtà trasformato nella nemesi (e nella compensazione) dell'avversario stesso...
Foto: di Loungerie
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