"E' arrivato il momento di essere seri, di essere responsabili, la crisi è uguale per tutti."
Sembra questo il messaggio - l'unico possibile - che Sergio Marchionne, l'Ad di FIAT, cerca di far passare, con il suo solito "tono pacato", parole sue, dalla poltroncina di Che Tempo Che Fa, il talk show (o anzi il "sussurro show") dell'ingessatissimo Fabio Fazio.
Facce pulite, che paiono messe lì apposta per "stemperare" i toni, duri che aleggiano sulla grande imprenditoria italiana, toni che si alzano dalla manifestazione FIOM di Roma, del 16 ottobre scorso e che, inutile dirlo, vedono in Marchionne e la CISL e la UIL i "nemici" dopo la divisione tra le sigle sindacali avvenuta in merito all'accordo di Pomigliano.
Peccato che, oltre l'apparenza la sostanza, seppur enunciata, attraverso un modo placido di parlare, con toni pregni di raziocinio e senso di responsabilità, sia di una durezza granitica, come un pugno d'acciaio sulla bocca dei lavoratori FIAT (e non solo, essendo la FIAT, da sempre banco di prova in Italia di ogni tentativo "restaurativo" imprenditoriale).
Le parole dell'Ad FIAT infatti, l'uomo senza giacca, ma in golf, l'uomo dai toni austeri e di basso profilo, tanto invidiato anche da buona parte dei politici italiani del centro sinistra, il capitalista dal volto umano, sono macigni.
A corredo di quanto detto ieri sera, anche un articolo sul Corriere della Sera, di oggi, rimbalza il Marchionne pensiero, in cui l'amministratore delegato della fabbrica torinese si scaglia addirittura contro il "sistema Italia", motivo maggiore per cui, FIAT nell'ultimo anno non decolla nelle vendite.
"Senza l'Italia la FIAT potrebbe fare di più", queste le parole di Marchionne e ancora - nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo previsto per il 2010 arriva dal nostro Paese. " Fiat - aggiunge - non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre."
Parole che trovano subito l'immediato sconcerto di praticamente tutto l'arco parlamentare italiano da Fini a Sacconi, da Calderoli a Damiano, a Vendola.
Giudizi, tra i più disparati che seppur in contrasto con le parole dell'Ad FIAT, non incidono, sopratutto perchè non scendono nel merito, come al solito delle questioni che Marchionne stesso propone.
Parole che sono, quelle di Marchionne, anche volendo usare un eufemismo, sconcertanti, che non tengono conto di come ad esempio FIAT sia molto di più che una semplice multinazionale che ha stabilimenti in Italia, ma sia una costola stessa dell'industria del nostro paese, da sempre.
Al punto tale da essere quasi sempre un metro di paragone storico, con cui misurare non solo l'avanzamento economico e tecnologico del paese, ma anche metro di misura dei conflitti e dell'avanzamento dei diritti sociali dei lavoratori.
Tanto che, più di una volta FIAT è stata lautamente aiutata dallo Stato italiano, (vedi qui: www.lavoce.info), Marchionne forse, dimentica il perchè, ovvero perchè FIAT è il maggior gruppo privato a dare lavoro nel nostro paese (senza calcolare poi, il relativo indotto).
FIAT è da sempre un'azienda di Stato, tanto che, in tempi non sospetti, addirittura Gianni Agnelli ebbe ad esclamare - "Ciò che va bene per la FIAT, va bene per l'Italia" - tanto per indicare come la politica industriale fosse legata a doppio nodo con la casa automotoristica di Torino.
Oggi, lo sappiamo il mondo è cambiato, non solo per via degli ovvi cambiamenti storici che ci hanno portato verso l'assimilazione del concetto neo liberista del "pensiero unico", ma sopratutto perchè, realmente il mercato è globale e consente, attraverso una deregulation selvaggia, di fare alle multinazionali ciò che vogliono, "galleggiando" sui vincoli messi dagli Stati stessi.
Più o meno ciò che ha fatto FIAT negli ultimi anni, non contenta di essere un azienda in crisi (e quindi sostenuta dallo Stato, per questo, anche con gli incentivi alla rottamazione), tramite Marchionne il gruppo italiano, si è lanciato in ambiziosi progetti di politica "geo-economica", come nel caso dell'acquisizione del 20% di Chrysler nel 2009 dove anche lì, saranno a pagare i contribuenti americani, grazie al prestito concesso al gruppo Chrysler dall'amministrazione Obama.
Progetti, che oltre a varie politiche industriali di delocalizzazione verso mercati più agevoli dal punto di vista dei diritti sindacali e del costo del lavoro (l'esportazione di alcuni marchi FIAT in Polonia, Serbia etc), non vedono però un congruente piano di rilancio dell'azienda.
FIAT, è essenzialmente ciò che è il suo Ad. Marchionne, non un industriale ma un manager, ovvero una grande multinazionale gestita però, come una holding finanziaria quale è, senza preoccuparsi troppo di una politica industriale, si punta molto più sul brand e sul peso dell'azienda nei mercati finanziari invece di quelli "reali".
FIAT, isomma, è un esempio emblematico di come il mercato economico sia passato rapidamente a sbilanciarsi verso l'alta finanza, verso mercati fatti di speculazioni, scatole cinesi, paradisi fiscali, un mondo di teoremi con ricadute però, purtroppo reali; uno dei motivi per cui, questo sistema economico si trova in crisi.
Sfortunatamente, quando le cose vanno male, gli errori di pochi li pagano tutti.
Marchionne dunque, con certe dichiarazioni, di fronte all'immobile Fabio Fazio, "indora la pillola", ma implicitamente preme sull'argine della deriva dei diritti del lavoro in Italia.
Sfondata la diga a Pomigliano, arginata la protesta di Melfi (irresponsabili anarchici i tre lavoratori, sostenuti addirittura da una sentenza!), isolata la FIOM, il buon Marchionne punta in alto, e con un pizzico di populismo e una spruzzatina di antipolitica, molto di moda ora, si accanisce contro il rango politico e certi immobilismi vecchi, frutto di una politica compiacente verso i sindacati.
Nemmeno al governo ci fosse il PCI di Togliatti.
La risposta, contrariata, ma flebile, da parte del ceto politico tutto.
Sotto le dichiarazioni di Marchionne si intravede un solo scenario possibile, quello, con la scusa della crisi, che prospetta nuove "risttrutturazioni" - leggi licenziamenti - nel ramo italiano di FIAT, a meno che i lavoratori non accettino condizioni e accordi "capestro".
Il teatrino della politca da talk show intanto riparte, nel mezzo, tra le schermaglie verbali dei ceti plutocratici del nostro paese, la devastazione della base sociale, di chi, la crisi la subisce e purtroppo la subirà davvero...
lunedì 25 ottobre 2010
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