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giovedì 25 febbraio 2010

Democrazia partecipata all'italiana.

Come sempre, con la solita cadenza annuale, anche quest'anno si è conclusa la manifestazione canora, tradizionalmente dagli anni '50 sempre su canali televisivi Rai, più famosa della nostra penisola, il Festival di Sanremo.
Normalmente non ne parlerei, se non che, insieme a tutto lo strascico mediatico di polemiche riguardo la composizione del podio, sono emersi alcuni interessanti spunti di riflessione.
Tra chi, nello stuolo dei fan dei vari artisti, grida allo scandalo, a chi sbeffeggia l'ex testa coronata (il principe Emanuele Filiberto di Savoia) piazzatosi incredibilmente secondo, per arrivare addirittura ai soliti intrecci della storia italiana dell'ultimo mezzo secolo che in questi casi si usa "tirare in ballo", intrecci di poteri forti, quali massoneria, mafia, lobby economiche.
Qualche dubbio, in effetti è lecito porselo, sopratutto vista la concomitanza sia l'anno scorso che quest'anno di una vittoria assegnata ad un protagonista della celebre serie del ramo televisivo denominato "talent show", chiamata Amici.
Una trasmissione, made in Mediaset che ha come padri putativi, Maria De Filippi, una sorta di simbolo della nuova televisione commerciale italiana e il marito, personaggio ancor più influente, quel Maurizio Costanzo. solida figura perenne delle reti di Segrate.
Due persone che stranamente hanno a turno, presenziato nella manifestazione sanremese in "appoggio" ai propri "eletti", che poi hanno, per due anni consecutivi appunto, vinto la manifestazione.
L'anno passato fu Marco Carta a vincere, quest'anno tale Valerio Scanu, con la "leggerissima" canzone "Per tutte le volte che".
A voler essere maliziosi si potrebbero tirare in ballo il potere monarchico sottotraccia o anche il numero della tessera di iscrizione alla loggia massonica P2 (se proprio vi interessa il numero, P2 1819), proprio di Costanzo, per giustificare "irregolarità nell'uso del televoto" e quindi il probabile "gioco di potere" che ha determinato il sorprendente risultato finale, risultato su cui, addirittura vuole "vederci chiaro" pure il Codacons (l'associazione italiana che tutela i consumatori).
Personalmente una chiave di lettura di questo tipo la ritengo poco interessante, così come poco interessante è la canzone vincitrice o la quasi totalità degli interpreti dell'inutile e ammuffito "Festival".
Quello che più sconcerta e che è passato un po' sottotraccia come tema e spunto di riflessione, ed è stato solo qualche quotidiano a parlarne, è "l'uso del concetto di democrazia partecipata" che abitualmente ormai, viene sdoganato con noncalanche in televisione.
Un uso distorto che parte dal concetto stesso di democrazia e "televoto", un televoto che è bene ricordarlo avviene tramite una telefonata a pagamento con costo alla risposta di un euro (nel caso del Festival).
Un voto che non solo non ha nessuna garanzia certa di essere rispettato (in fondo, nemmeno il voto vero), ma che è molto più facile da distorcere di quello reale "affittando" per esempio dei call center che in massa votano, anzi televotano, uno o l'altro candidato.
Un metodo che vedendo certi inaspettati "picchi di popolarità" non stupirebbero nel caso fossero la prassi per le case discografiche nell'atto di lanciare i proprio "prodotti" sul mercato.
La cosa peggiore è che si instilla nel pubblico l'illusione della "democrazia partecipata", iche prevalga cioè il "volere del popolo",  l'unico "vero sovrano" attraverso il mezzo del televoto.
Nulla di più falso.
Inoltre, grazie a questo processo di "democratizzazione" si largo un altro processo, quello della sostituzione della cultura con la "cultura di massa" che forse, oggi, nemmeno sarebbe più corretto definire così.
Sì, perchè se nella cultura di massa c'è comunque un uso "iconografico" di certe figure note a tutti, ma di indubbio valore culturale, magari vuote, non approfondite, ma vere; nella "sub cultura commerciale" che oggi viene propinata indistintamente a tutti in televisione, dai nipoti, ai nonni, la cultura è sparita, non è più nemmeno un feticcio, nemmeno cultura popolare, ma mero esercizio di vendita.
Insomma, si crea un prodotto, si crea un'identità pseudo culturale, lo si "certifica" attraverso i soliti "esperti a gettone" e lo si porta al giudizio "insindacabile perchè democratico" della gente, che con il televoto ratifica.
Nasce così "l'artista" di oggi e non solo in campo musicale.
Un artista che paradossalmente può essere tale senza il giudizio di nessun vero esperto, senza nessuna vera qualità, ma sopratutto senza nessun vero sacrificio.
Ecco perchè questo messaggio è vincente.
In una generazione di videodipendenti, di persone perennemente in fase adolescenziale che ricercano l'approvazione del gruppo, la conformizzazione e l'approvazione dell'altro, non c'è ricetta migliore che quella della "scorciatoia per il successo" mediatico.
Se una volta la notorietà era un obbiettivo difficile a cui si arrivava (e non sempre) dopo anni di gavetta, esperienza e crescita formativa, oggi, il perfetto sconosciuto, con un paio di pseudo qualità può rapidamente arrivare al successo, sostenuto dai crismi e dal linguaggio di certe lobby mediatiche.
Un messaggio talmente ben metabolizzato per essere scambiato per la cultura vera, reale, popolare, tanto da indurre il canale televisivo web del Partito Democratico a ricreare nel proprio palinsesto un "Dopo festival", una sorta di processo ironico al festival sul modello Rai degli anni scorsi.
Evidentemente perchè, una cosa del genere, anche dai vertici politici che dovrebbero essere i più strenui oppositori di chi ha creato questa società italiana dell'immagine (Berlusconi ndr) è considerata "cosa popolare" e cosa non si fa dunque per "sedurre il popolino"?
Poco importa se il "popolino" attuale sia l'effetto di un peccato originale italiano, che il tuo avversario politico con intelligenza, potere e maestria mediatica ha saputo indirizzare verso di se.
Anche la politica, sgomentata della sua trasparenza agli occhi della gente, cerca il più possibile di assomigliare a ciò che alla gente piace per ottenere visibilità.
Anche se ciò che la gente vuole è il vuoto, il nulla più totale.
Sanremo diventa allora, con il suo palco, contestato dal pubblico, una buona cartina di tornasole del paese, un paese in cui una maggioranza (vera o presunta e se si, consapevole?) "silente" crede di decidere e valutare ciò che il Grande Fratello mediatico (e non parlo ovviamente del reality show) le da in pasto ogni giorno.
Con buona pace del concetto di democrazia, di voto oltre che dell'intelligenza e della capacità critica individuale.
L'unica cosa concessa come forma di ribellione, è quella di fare come gli orchestrali del programma che hanno lanciato in aria i loro spartiti, in forma di protesta.
Peccato che, a parte un po' di "folklore", il risultato rimarrà comunque modesto.
Ha senso, quindi,  in fondo prendersela per il risultato "farlocco" del Festival? 
Direi di no, perchè comunque le "lobby" e i centri di potere mediatico come al solito hanno ottenuto il loro risultato più ovvio, quello di far parlare di se.
Come diceva in 1984, il protagonista del romanzo, Winston Smith:

L'integrità mentale non ha alcun rapporto con la statistica.

Ne con l'intelligenza o il valore culturale aggiungo io.
Sarebbe il caso forse che gli italiani ne prendessero atto e che invece di protestare, si astenessero dal vedere, la finzione; quella sì, l'unica forma reale di protesta.

3 commenti:

  1. ottime considerazioni, il problema è che siamo circondati da finzione e realtà virtuale in ogni angolo
    un saluto

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Infatti, il problema è proprio questa "telecrazia" che ci annebbia tutti.
    Conosco diverse persone di cui ho ottima considerazione che guarda i cosiddetti "talent" e che hanno trovato uno "scandalo" il podio di Sanremo.
    Si accampano scuse contro il sistema ma poi ne siamo comunque spettatori.
    Inutile lamentarsi dico io.
    Se non avesse radici e conseguenze così profonde questo tipo di "controllo delle menti" che subdolamente inserisce alcuni elementi della democrazia reale e li sostituisce con quelli della "democrazia virtuale", facendone un tutt'uno agli occhi degli spettatori, sarebbe un problema di poco conto.
    Vedendo però chi ci governa, non si possono non notare le connessioni tra questa manipolazione mentale e il successo politico di certi personaggi...
    Questo mi spaventa...

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