di Alberto Burgio su il manifesto – 22 febbraio 2011
"Come siamo messi a sinistra? Siamo messi male. Non è una novità, certo. Ma, visto che le cose precipitano e ci potremmo trovare in campagna elettorale dall’oggi al domani, vale la pena di dirsi le cose come stanno, senza troppa diplomazia.
Sul manifesto si sono susseguiti in questi mesi gli appelli all’unità delle forze di alternativa. Appelli dettati dalla ragionevolezza e dalla responsabilità, non dall’ingenuità. A nessuno sfuggono le difficoltà del mettere insieme gli spezzoni di una sinistra andata in frantumi. Se si sostiene che, ciò nonostante, ci si dovrebbe sforzare di trasmettere al “popolo della sinistra” un senso di condivisione e di reciproco ascolto, è perché si ritiene che lo spettacolo delle divisioni (per non dire del settarismo e della litigiosità) rischia di respingere potenziali elettori (l’astensionismo è oggi il secondo partito italiano e recluta anche a sinistra) giocando a favore delle forze moderate.
Tutti questi appelli – nessuno escluso – sono sin qui caduti nel vuoto. Chi li ha lanciati ha svolto il frustrante ruolo della voce che urla in un deserto. La cosa appare particolarmente incresciosa adesso, alla luce delle ultime evoluzioni dello scenario politico. Sembra che alle elezioni si presenteranno tre poli. Con la destra berlusconiana e leghista competeranno un centro moderato a dominante destrorsa (Fli, Udc, Api, Mpa) e un centrosinistra a dominante moderata (Pd, Idv, Psi, Sel, Fds, Partito radicale, Verdi). La tripartizione della rappresentanza è un salutare congedo dal bipolarismo che ha prodotto guasti giganteschi negli oltre quindici anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Ma la somma algebrica tra i partiti resta favorevole alle forze moderate. C’è da augurarsi che la prossima maggioranza nasca dalla convergenza tra centro e centrosinistra. Ma anche in questa eventualità si tratterà comunque di un governo assai più conservatore di quelli guidati da Romano Prodi (il che è tutto dire). In questa situazione davvero poco entusiasmante (dimostrazione che le condizioni sfavorevoli tendono a riprodursi e che assai raramente si verificano rimbalzi spontanei) chi si augura che il Paese volti pagina e cominci un nuovo cammino auspica che la sinistra aumenti quanto possibile il proprio peso relativo, e questo difficilmente potrebbe accadere qualora andassero dispersi consensi potenzialmente diretti verso Sel o verso la Fds.
Questa è la ratio degli appelli unitari susseguitisi con scarso successo su queste pagine. Ma a questo punto è giusto dire con chiarezza che le responsabilità dell’indifferenza che essi hanno sin qui incontrato non si ripartiscono in parti uguali tra i destinatari. La responsabilità è anche in questo caso proporzionale alla forza. È quindi in primo luogo su Nichi Vendola che incombe, se non altro, l’onere di chiarire il proprio pensiero in tema di unità della sinistra. Ciò, peraltro, lo aiuterebbe a definire con maggior nettezza e coerenza la linea strategica di Sel, evitando gli eccessi tattici che in questi giorni lo hanno portato ad avanzare proposte poco opportune.
Non stupisce che il meritato e travolgente successo della sua figura possa indurre Vendola in tentazione. Ma la troppa spregiudicatezza sul terreno della politica politicante è cattiva consigliera. E le sirene dell’autosufficienza non dovrebbero sedurre un politico navigato, consapevole della volatilità e dell’ambivalenza di un consenso raccolto in una società atomizzata e post-democratica (queste cose non valgono solo per la destra), pervasa (anche a sinistra) dalla subcultura del leaderismo carismatico.
Sta di fatto che l’ostentato silenzio di Vendola per ciò che riguarda le altre forze della sinistra – a cominciare da quella Fds che comprende un partito da lui stesso fondato – rischia di apparire agli occhi di tanti un’incomprensibile manifestazione di chiusura, se non di ostilità. E rischia di alienargli molte simpatie, tanto più che sulle persistenti divisioni a sinistra potrebbero far leva altri partiti (a cominciare dal Pd) giocando l’una contro l’altra le forze di alternativa e sfruttando a danno di tutte il noto meccanismo del «voto utile». Sarebbe davvero un peccato che anche questa speranza di un nuovo inizio venga ostacolata da comportamenti che poco sembrano avere a che fare con la «buona politica» che Vendola con forza invoca."
Sul manifesto si sono susseguiti in questi mesi gli appelli all’unità delle forze di alternativa. Appelli dettati dalla ragionevolezza e dalla responsabilità, non dall’ingenuità. A nessuno sfuggono le difficoltà del mettere insieme gli spezzoni di una sinistra andata in frantumi. Se si sostiene che, ciò nonostante, ci si dovrebbe sforzare di trasmettere al “popolo della sinistra” un senso di condivisione e di reciproco ascolto, è perché si ritiene che lo spettacolo delle divisioni (per non dire del settarismo e della litigiosità) rischia di respingere potenziali elettori (l’astensionismo è oggi il secondo partito italiano e recluta anche a sinistra) giocando a favore delle forze moderate.
Tutti questi appelli – nessuno escluso – sono sin qui caduti nel vuoto. Chi li ha lanciati ha svolto il frustrante ruolo della voce che urla in un deserto. La cosa appare particolarmente incresciosa adesso, alla luce delle ultime evoluzioni dello scenario politico. Sembra che alle elezioni si presenteranno tre poli. Con la destra berlusconiana e leghista competeranno un centro moderato a dominante destrorsa (Fli, Udc, Api, Mpa) e un centrosinistra a dominante moderata (Pd, Idv, Psi, Sel, Fds, Partito radicale, Verdi). La tripartizione della rappresentanza è un salutare congedo dal bipolarismo che ha prodotto guasti giganteschi negli oltre quindici anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Ma la somma algebrica tra i partiti resta favorevole alle forze moderate. C’è da augurarsi che la prossima maggioranza nasca dalla convergenza tra centro e centrosinistra. Ma anche in questa eventualità si tratterà comunque di un governo assai più conservatore di quelli guidati da Romano Prodi (il che è tutto dire). In questa situazione davvero poco entusiasmante (dimostrazione che le condizioni sfavorevoli tendono a riprodursi e che assai raramente si verificano rimbalzi spontanei) chi si augura che il Paese volti pagina e cominci un nuovo cammino auspica che la sinistra aumenti quanto possibile il proprio peso relativo, e questo difficilmente potrebbe accadere qualora andassero dispersi consensi potenzialmente diretti verso Sel o verso la Fds.
Questa è la ratio degli appelli unitari susseguitisi con scarso successo su queste pagine. Ma a questo punto è giusto dire con chiarezza che le responsabilità dell’indifferenza che essi hanno sin qui incontrato non si ripartiscono in parti uguali tra i destinatari. La responsabilità è anche in questo caso proporzionale alla forza. È quindi in primo luogo su Nichi Vendola che incombe, se non altro, l’onere di chiarire il proprio pensiero in tema di unità della sinistra. Ciò, peraltro, lo aiuterebbe a definire con maggior nettezza e coerenza la linea strategica di Sel, evitando gli eccessi tattici che in questi giorni lo hanno portato ad avanzare proposte poco opportune.
Non stupisce che il meritato e travolgente successo della sua figura possa indurre Vendola in tentazione. Ma la troppa spregiudicatezza sul terreno della politica politicante è cattiva consigliera. E le sirene dell’autosufficienza non dovrebbero sedurre un politico navigato, consapevole della volatilità e dell’ambivalenza di un consenso raccolto in una società atomizzata e post-democratica (queste cose non valgono solo per la destra), pervasa (anche a sinistra) dalla subcultura del leaderismo carismatico.
Sta di fatto che l’ostentato silenzio di Vendola per ciò che riguarda le altre forze della sinistra – a cominciare da quella Fds che comprende un partito da lui stesso fondato – rischia di apparire agli occhi di tanti un’incomprensibile manifestazione di chiusura, se non di ostilità. E rischia di alienargli molte simpatie, tanto più che sulle persistenti divisioni a sinistra potrebbero far leva altri partiti (a cominciare dal Pd) giocando l’una contro l’altra le forze di alternativa e sfruttando a danno di tutte il noto meccanismo del «voto utile». Sarebbe davvero un peccato che anche questa speranza di un nuovo inizio venga ostacolata da comportamenti che poco sembrano avere a che fare con la «buona politica» che Vendola con forza invoca."
Il mio commento personale, è che - oltre al sempre ottimo Burgio - non si può che condividere gran parte della sostanza dell'articolo.
Gli ultimi scivoloni verbali di Nichi (che meritano una riflessione, a presto un articolo su InControcorrente), possibilista verso addirittura il polo dei "finiani", con poi il successivo investimento a premier di Rosy Bindi (quanto c'è di vero e quanto di tattica?) hanno infatti creato più di un'inquietudine a sinistra.
I commenti pieni di perplessità per questa operazione, di Alfonso Gianni (su Liberazione), di Rinaldini, di Ferrero o anche di indignazione (sacrosanta) dei coniugi Guliano e Heidi Giuliani (genitori di Carlo Giuliani, per non confondersi), sono un buon metro di misura per capire come sia netto il dissenso di larghissima parte della sinistra alternativa.
Il problema è che, personalmente ritengo impossibile quanto auspica giustamente, Burgio.
Vendola non calcola minimamente chi è alla sua sinistra, ne tantomeno può permettersi di fare a meno del PD.
A presto un commento approfondito.
InControcorrente