Primo tentativo di satira di InControcorrente:
Si accettano commenti...
lunedì 24 gennaio 2011
lunedì 17 gennaio 2011
FIOM, lo spartiacque della sinistra.
Ha vinto il sì.
Nel "gioco delle tre carte" che ha proposto alla platea mediatica Marchionne, sono stati decisivi, i 400 voti circa degli impiegati e dei "quadri" di Mirafiori.
Un gioco che io definirei di prestigio, perchè, nella contesa proprio gli impiegati sono coloro che non saranno toccati dall'accordo.
Un numero di persone che però, sarebbero state toccate nel caso di uno spostamento produttivo di Fiat da Mirafiori all'estero.
E' dunque bastato il ricatto padronale di Marchionne per "smuovere" ed avere la certezza del voto, massiccio e quasi uninime di una parte della fabbrica, assicurandosi così un cospicuo vantaggio iniziale.
Un vantaggio che si è rilevato insufficiente, dato che, per chi si aspettava in risultato simile a Pomigliano, le cose sono andate diversamente e la vittoria del sì, è arrivata solo ed esclusivamente per quel centinaio di voti.
Tanto che, se si prendono in esame solo i voti dei vari settori della linea di montaggio si vede come il risultato si ribalti.
La vittoria di Marchionne e dell'esercito dei "responsabili, moderni e non ideologizzati", (CISL, UIL, UGL) è mediaticamente, una vittoria di Pirro.
Un risultato che rafforza la FIOM, che vede raddoppiare i consensi rispetto ai voti previsti dei soli tesserati, coinvolgendo dunque anche una parte di lavoratori, nel diniego all'accordo, provenienti anche da altre sigle.
Nessun plebiscito per Marchionne dunque, che per forza adesso dovrà investire, ma sopratutto un confronto che si protrae nel futuro, dato che, indipendentemente da ciò che l'accordo stesso dice (nessuna rappresentanza per chi non firma), dovrà comunque confrontarsi con con un ampio fronte di disaccordo.
Una situazione quella di Mirafiori, tutta in divenire anche in prospettiva dello sciopero del 28 gennaio.
Gli "strascichi" però non si fermano qui, anzi, travalicano il solo ambito lavorativo e d'azienda e investono pesantemente anche il mondo politico, in particolare nel "centro-sinistra".
Se sono chiare le posizioni di Fassino e Chiamparino, così come di Veltroni o del "rottamatore" Renzi, tutti esposti verso il sì, molto meno chiara è la posizione, attendista e quasi imbarazzata, dei vicini all'attuale segretario Bersani e di quella larga parte del Partito Democratico legata ad ampi settori del sindacato CGIL.
L'imbarazzo e la difficoltà sono palpabili, così come la sensazione di trovarsi in posizione scomoda, rispetto ad un valico, che rischia di essere esiziale, per lo stesso PD.
Con le dichiarazioni di alcuni degli esponenti del Partito Democratico infatti, si definisce finalmente l'identità di partito interclassista di quest'ultimo, in maniera chiara, c'è uno scarto quindi tra la base militante, proveniente dal vecchio PCI ed ancorata ad un concetto di partito classista; e un vertice che oggi, rischia di non rappresentarla più correndo dietro ad una "modernità" di posizioni, quasi sovrapposta a quelle che si possono trovare nel PDL.
Il rischio è quello di uno svuotamento del Partito Democratico, dal senso del suo esistere, (ha senso votare un partito che non ti rappresenta?) dalla propria base elettorale, uno svuotamento che rischia di creare una "frattura" tra la parte politica del partito e quella militante, due parti non più aderenti l'una all'altra, ma scollate e in alcuni casi addirittura pericolosamente opposte.
Non serve a niente inoltre, ripetere il solito "mantra" del partito "con più posizioni" quando, su questioni così importanti e dirimenti, come quella dell'accordo di Mirafiori, ci si spacca mediaticamente in un clima d'incertezza totale, tra dichiarazioni antitetiche l'una all'altra; l'effetto prodotto rimane comunque profondamente negativo di fronte ad una base elettorale spaesata, muta nella propria delusione, irrigidita da dichiarazioni e posizioni poco chiare, sempre diverse.
Se prendiamo per buoni i sondaggi, (per quello che contano), il PD è in caduta libera rispetto all'ultimo dato uscito e andato in onda su La7 il 9 gennaio con un risultato che si attesta al 26,2 per cento, con una perdita del 1,7 rispetto ad un sondaggio precedente.
Un risultato disastroso in una fase in cui Berlusconi dovrebbe essere in netta difficoltà.
Considerando inoltre la crescita dei partiti minori (IDV, SEL, Fed. Sinistra) ma la decrescita globale del centro-sinistra (che perde lo 0,4) si vede come i voti che ingrossano altre fila, sopratutto dei partiti che partecipano alla "coalizione" (IDV e SEL), siano erosi direttamente al Partito Democratico, in una "trasmigrazione" di voti di area da una sigla all'altra.
Segno evidente che il PD, suscita sempre meno "simpatie", ma segno altrettanto evidente di come, la gran massa di elettori potenziali che non votano non sia attratta dal centro sinistra come progetto politico.
Un progetto politico, che si riduce alle tanto decantate "primarie di coalizione", invocate da Vendola e al leaderismo dei personaggi di spicco dei partiti in questione, delle piccole "polis" elettorali innestate sul volto telegenico dell'uno o dell'altro personaggio di spicco.
Un po' poco in una fase come questa.
Anche Nichi Vendola, vero fenomeno mediatico del momento, non esce bene da questa "fase", le primarie infatti, sono scivolate in secondo piano, il PD guarda sempre più al centro e i propositi egemoni del politico di Terlizzi alla guida del centro sinistra paiono sfumare.
Quale sarà la sua posizione, lui sempre sordo alle richieste di "un terzo polo di sinistra" oltre (e senza) il PD?
L'impressione è che sia arrivato il momento della decisione definitiva e che il referendum FIOM sia lo spartiacque di nuove, eventuali, coalizioni politiche.
Arriva il momento in cui non ci portà più nascondere ed occorrerà dare risposta alle migliaia di operai che hanno votato no, suscitando una miriade di appelli, sostegno, interessi della società civile.
Una società civile che si è coalizzata dietro una battaglia simbolica, come quella di Mirafiori, ma che si trova da sempre, divisa alle urne.
Basterà "insufflare", "sparigliare le carte" nel PD per ridare vigore a un qualcosa che appare celebralmente morto, come la vecchia forma di coalizione del centro sinistra?
Io, personalmente non credo.
Nel "gioco delle tre carte" che ha proposto alla platea mediatica Marchionne, sono stati decisivi, i 400 voti circa degli impiegati e dei "quadri" di Mirafiori.
Un gioco che io definirei di prestigio, perchè, nella contesa proprio gli impiegati sono coloro che non saranno toccati dall'accordo.
Un numero di persone che però, sarebbero state toccate nel caso di uno spostamento produttivo di Fiat da Mirafiori all'estero.
E' dunque bastato il ricatto padronale di Marchionne per "smuovere" ed avere la certezza del voto, massiccio e quasi uninime di una parte della fabbrica, assicurandosi così un cospicuo vantaggio iniziale.
Un vantaggio che si è rilevato insufficiente, dato che, per chi si aspettava in risultato simile a Pomigliano, le cose sono andate diversamente e la vittoria del sì, è arrivata solo ed esclusivamente per quel centinaio di voti.
Tanto che, se si prendono in esame solo i voti dei vari settori della linea di montaggio si vede come il risultato si ribalti.
La vittoria di Marchionne e dell'esercito dei "responsabili, moderni e non ideologizzati", (CISL, UIL, UGL) è mediaticamente, una vittoria di Pirro.
Un risultato che rafforza la FIOM, che vede raddoppiare i consensi rispetto ai voti previsti dei soli tesserati, coinvolgendo dunque anche una parte di lavoratori, nel diniego all'accordo, provenienti anche da altre sigle.
Nessun plebiscito per Marchionne dunque, che per forza adesso dovrà investire, ma sopratutto un confronto che si protrae nel futuro, dato che, indipendentemente da ciò che l'accordo stesso dice (nessuna rappresentanza per chi non firma), dovrà comunque confrontarsi con con un ampio fronte di disaccordo.
Una situazione quella di Mirafiori, tutta in divenire anche in prospettiva dello sciopero del 28 gennaio.
Gli "strascichi" però non si fermano qui, anzi, travalicano il solo ambito lavorativo e d'azienda e investono pesantemente anche il mondo politico, in particolare nel "centro-sinistra".
Se sono chiare le posizioni di Fassino e Chiamparino, così come di Veltroni o del "rottamatore" Renzi, tutti esposti verso il sì, molto meno chiara è la posizione, attendista e quasi imbarazzata, dei vicini all'attuale segretario Bersani e di quella larga parte del Partito Democratico legata ad ampi settori del sindacato CGIL.
L'imbarazzo e la difficoltà sono palpabili, così come la sensazione di trovarsi in posizione scomoda, rispetto ad un valico, che rischia di essere esiziale, per lo stesso PD.
Con le dichiarazioni di alcuni degli esponenti del Partito Democratico infatti, si definisce finalmente l'identità di partito interclassista di quest'ultimo, in maniera chiara, c'è uno scarto quindi tra la base militante, proveniente dal vecchio PCI ed ancorata ad un concetto di partito classista; e un vertice che oggi, rischia di non rappresentarla più correndo dietro ad una "modernità" di posizioni, quasi sovrapposta a quelle che si possono trovare nel PDL.
Il rischio è quello di uno svuotamento del Partito Democratico, dal senso del suo esistere, (ha senso votare un partito che non ti rappresenta?) dalla propria base elettorale, uno svuotamento che rischia di creare una "frattura" tra la parte politica del partito e quella militante, due parti non più aderenti l'una all'altra, ma scollate e in alcuni casi addirittura pericolosamente opposte.
Non serve a niente inoltre, ripetere il solito "mantra" del partito "con più posizioni" quando, su questioni così importanti e dirimenti, come quella dell'accordo di Mirafiori, ci si spacca mediaticamente in un clima d'incertezza totale, tra dichiarazioni antitetiche l'una all'altra; l'effetto prodotto rimane comunque profondamente negativo di fronte ad una base elettorale spaesata, muta nella propria delusione, irrigidita da dichiarazioni e posizioni poco chiare, sempre diverse.
Se prendiamo per buoni i sondaggi, (per quello che contano), il PD è in caduta libera rispetto all'ultimo dato uscito e andato in onda su La7 il 9 gennaio con un risultato che si attesta al 26,2 per cento, con una perdita del 1,7 rispetto ad un sondaggio precedente.
Un risultato disastroso in una fase in cui Berlusconi dovrebbe essere in netta difficoltà.
Considerando inoltre la crescita dei partiti minori (IDV, SEL, Fed. Sinistra) ma la decrescita globale del centro-sinistra (che perde lo 0,4) si vede come i voti che ingrossano altre fila, sopratutto dei partiti che partecipano alla "coalizione" (IDV e SEL), siano erosi direttamente al Partito Democratico, in una "trasmigrazione" di voti di area da una sigla all'altra.
Segno evidente che il PD, suscita sempre meno "simpatie", ma segno altrettanto evidente di come, la gran massa di elettori potenziali che non votano non sia attratta dal centro sinistra come progetto politico.
Un progetto politico, che si riduce alle tanto decantate "primarie di coalizione", invocate da Vendola e al leaderismo dei personaggi di spicco dei partiti in questione, delle piccole "polis" elettorali innestate sul volto telegenico dell'uno o dell'altro personaggio di spicco.
Un po' poco in una fase come questa.
Anche Nichi Vendola, vero fenomeno mediatico del momento, non esce bene da questa "fase", le primarie infatti, sono scivolate in secondo piano, il PD guarda sempre più al centro e i propositi egemoni del politico di Terlizzi alla guida del centro sinistra paiono sfumare.
Quale sarà la sua posizione, lui sempre sordo alle richieste di "un terzo polo di sinistra" oltre (e senza) il PD?
L'impressione è che sia arrivato il momento della decisione definitiva e che il referendum FIOM sia lo spartiacque di nuove, eventuali, coalizioni politiche.
Arriva il momento in cui non ci portà più nascondere ed occorrerà dare risposta alle migliaia di operai che hanno votato no, suscitando una miriade di appelli, sostegno, interessi della società civile.
Una società civile che si è coalizzata dietro una battaglia simbolica, come quella di Mirafiori, ma che si trova da sempre, divisa alle urne.
Basterà "insufflare", "sparigliare le carte" nel PD per ridare vigore a un qualcosa che appare celebralmente morto, come la vecchia forma di coalizione del centro sinistra?
Io, personalmente non credo.
Etichette:
cgil,
chiamparino,
federazione della sinistra,
fiom,
idv,
landini,
pd,
sinistra,
sinistra ecologia e libertà,
veltroni,
Vendola
venerdì 14 gennaio 2011
Mirafiori ore 22.00. Referendum sulla dignità.
Ore 22.00.
Sarà il primo turno di fabbrica, a Mirafiori, che stasera si cimenterà, suo malgrado in un referendum farsa, in cui nonostante il voto, favorevole e contrario, l'esito pare scontato.
Si tratterà comunque vada di una sconfitta per il diritto lavorativo nel nostro paese.
Una sconfitta figlia della cultura della "moderazione&modernizzazione", della rimozione forzata di valori scambiati per muffite ideologie, di un arretramento perpetuo delle forze politiche che dovrebbero rappresentare, nelle istituzioni, gli stessi uomini e donne che stasera voteranno nelle urne della fabbrica torinese.
La tensione che graverà sulle spalle degli operai di Mirafiori, sarà una tensione autentica, uno stato d'animo che purtroppo, non verrà alleggerito da nessun sostegno decisivo, delle forze politche.
Sono lontani anni luce i giorni del sostegno dell'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, sempre a Mirafiori, il 26 settembre 1980 e non solo per il tempo, cronologico, passato.
Sono distanze incolmabili di due mondi politici, profondamente diversi.
Gli eredi diretti di quel grande partito, li vedreste forse oggi, fuori dai cancelli, nella persona del loro segretario, Bersani, con lo stesso numero di persone intorno, appassionatamente accalcate?
Ne dubito e se anche qualche "leader" politico davanti ai cancelli c'è stato, ad onor del vero, ad esempio Nichi Vendola (seppur contestato, prima di sfilare via dentro l'edificio) oppure il segretario del Prc Paolo Ferrero, la sensazione che si ha, è che comunque la politica oggi, viene vista come una sovrastruttura, poco più che un sostegno amicale a battaglie in cui, non si è più in grado d'incidere.
Ce lo conferma il grado di arroganza dell'ad. FIAT Marchionne, un tono padronale che non ha trovato argini mediatici, tra l'empasse imbarazzato delle multiple posizioni del Partito Democratico e l'oscurantismo televisivo, perpetrato nei confronti delle forze extraparlamentari dell'estrema sinistra.
In questa battaglia in cui FIOM, addirittura riesce (e questo da seriamente da pensare...) ad oscurare CGIL, con la figura di Landini che batte nettamente quella della neo segretaria, Camusso, nell'indice di gradimento, ciò che sfugge, sono le dinamiche che vanno oltre il semplice accordo.
L'accordo di per se, è più o meno quanto già visto a Pomigliano, forse pure peggiorato, riduzione delle pause durante il lavoro, divieto di sciopero, rappresentanza sindacale "pilotata" all'interno della fabbrica, minima autonomia dei lavoratori, in tutti i sensi; senza niente, a fare da contropartita.
Un accordo "capestro", in cui il ricatto è palese.
Ma c'è di più.
C'è un aspetto, solo in parte preso in considerazione dai media e dagli opinionisti.
Ed è quello della crisi che investe il mercato automobilistico.
Motivo principale per cui, Sergio Marchionne invoca il senso di responsabilità e minaccia uno spostamento in Canada, della produzione, in caso di bocciatura del referendum.
La produzione è in crisi, perchè la domanda di auto è in flessione e senza gli inncentivi, spremuti fino all'impossibile, il mercato è paurosamente fermo.
Allora perchè chiedere condizioni straordinarie di produzione?
L'allargamento del prodotto, pardon, del "brand" FIAT, oltreoceano in cerca di nuovi mercati, così come la produzione di nuovi modelli (SUV?) non sono risposte sufficienti a spiegare, quest'ansia di "produrre" dell'ad. di FIAT.
Dunque a che serve il piglio deciso di Marchionne?
Serve essenzialmente ad una cosa sola, a fare cioè, ciò che il capitale fa nei momenti in cui, dopo un'espansione economica, si arriva inevitabilmente ad un periodo critico di sovrapproduzione, si ristruttura.
Marchionne, colpisce e batte i suoi colpi nel ramo industriale, nella produzione, sulle schiene dei lavoratori, per lanciare messaggi all'unico "mercato" ancora fertile, quello volatile, della finanza.
Infatti il titolo FIAT cresce negli indici di borsa e la casa torinese non perde tempo, aumentando la sua presenza nell'azionariato Chrysler negli Stati Uniti, passando, nei giorni scorsi dal 20, al 25% delle azioni, con un prospetto di acquisire, nel 2011 fino al 35%.
Con quali soldi lo fa, con quali garanzie?
Non vedere che la politica di Marchionne è una politica ristrutturativa, atta a demolire la contrattazione collettiva e ad avvantaggiarsi di un momento critico delle forze di opposizione, è un errore esiziale.
L'argine che si prepara a sfondare Marchionne, sarà un passaggio in cui la deriva dei diritti del lavoro in Italia, filtrerà fino a contaminare tutti gli strati del lavoro salariato, demolendo, di fatto, gli ultimi bastioni statutari rimasti in piedi dopo l'ondata di precarizzazioni dei contratti di fine anni 90.
Mancare l'appello alla chiamata in difesa di questa battaglia, rischia di essere per il centro-sinistra l'ennesimo passo falso verso una metamorfosi moderata, irreversibile, in un'ansia, irragionevole - visti anche i sondaggi in caduta libera del Partito Democratico, ad esempio - di "sovrapposizione" con l'avversario.
Le parole di Fassino, Veltroni e Chiamparino, in favore del "sì", sembrano pietre tombali, sulle ormai minime speranze di ripresa del Partito Democratico ad un ruolo di rappresentanza e conflitto delle masse lavoratrici, orfane di un partito, appunto, di massa.
Rimangono, purtroppo da soli, fuori e dentro i cancelli di Mirafiori, i metalmeccanici, in lotta per qualcosa di più di un contratto, di uno stipendio, in lotta contro un pauroso ritorno al passato, in lotta per la propria dignità.
Sarà il primo turno di fabbrica, a Mirafiori, che stasera si cimenterà, suo malgrado in un referendum farsa, in cui nonostante il voto, favorevole e contrario, l'esito pare scontato.
Si tratterà comunque vada di una sconfitta per il diritto lavorativo nel nostro paese.
Una sconfitta figlia della cultura della "moderazione&modernizzazione", della rimozione forzata di valori scambiati per muffite ideologie, di un arretramento perpetuo delle forze politiche che dovrebbero rappresentare, nelle istituzioni, gli stessi uomini e donne che stasera voteranno nelle urne della fabbrica torinese.
La tensione che graverà sulle spalle degli operai di Mirafiori, sarà una tensione autentica, uno stato d'animo che purtroppo, non verrà alleggerito da nessun sostegno decisivo, delle forze politche.
Sono lontani anni luce i giorni del sostegno dell'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, sempre a Mirafiori, il 26 settembre 1980 e non solo per il tempo, cronologico, passato.
Sono distanze incolmabili di due mondi politici, profondamente diversi.
Gli eredi diretti di quel grande partito, li vedreste forse oggi, fuori dai cancelli, nella persona del loro segretario, Bersani, con lo stesso numero di persone intorno, appassionatamente accalcate?
Ne dubito e se anche qualche "leader" politico davanti ai cancelli c'è stato, ad onor del vero, ad esempio Nichi Vendola (seppur contestato, prima di sfilare via dentro l'edificio) oppure il segretario del Prc Paolo Ferrero, la sensazione che si ha, è che comunque la politica oggi, viene vista come una sovrastruttura, poco più che un sostegno amicale a battaglie in cui, non si è più in grado d'incidere.
Ce lo conferma il grado di arroganza dell'ad. FIAT Marchionne, un tono padronale che non ha trovato argini mediatici, tra l'empasse imbarazzato delle multiple posizioni del Partito Democratico e l'oscurantismo televisivo, perpetrato nei confronti delle forze extraparlamentari dell'estrema sinistra.
In questa battaglia in cui FIOM, addirittura riesce (e questo da seriamente da pensare...) ad oscurare CGIL, con la figura di Landini che batte nettamente quella della neo segretaria, Camusso, nell'indice di gradimento, ciò che sfugge, sono le dinamiche che vanno oltre il semplice accordo.
L'accordo di per se, è più o meno quanto già visto a Pomigliano, forse pure peggiorato, riduzione delle pause durante il lavoro, divieto di sciopero, rappresentanza sindacale "pilotata" all'interno della fabbrica, minima autonomia dei lavoratori, in tutti i sensi; senza niente, a fare da contropartita.
Un accordo "capestro", in cui il ricatto è palese.
Ma c'è di più.
C'è un aspetto, solo in parte preso in considerazione dai media e dagli opinionisti.
Ed è quello della crisi che investe il mercato automobilistico.
Motivo principale per cui, Sergio Marchionne invoca il senso di responsabilità e minaccia uno spostamento in Canada, della produzione, in caso di bocciatura del referendum.
La produzione è in crisi, perchè la domanda di auto è in flessione e senza gli inncentivi, spremuti fino all'impossibile, il mercato è paurosamente fermo.
Allora perchè chiedere condizioni straordinarie di produzione?
L'allargamento del prodotto, pardon, del "brand" FIAT, oltreoceano in cerca di nuovi mercati, così come la produzione di nuovi modelli (SUV?) non sono risposte sufficienti a spiegare, quest'ansia di "produrre" dell'ad. di FIAT.
Dunque a che serve il piglio deciso di Marchionne?
Serve essenzialmente ad una cosa sola, a fare cioè, ciò che il capitale fa nei momenti in cui, dopo un'espansione economica, si arriva inevitabilmente ad un periodo critico di sovrapproduzione, si ristruttura.
Marchionne, colpisce e batte i suoi colpi nel ramo industriale, nella produzione, sulle schiene dei lavoratori, per lanciare messaggi all'unico "mercato" ancora fertile, quello volatile, della finanza.
Infatti il titolo FIAT cresce negli indici di borsa e la casa torinese non perde tempo, aumentando la sua presenza nell'azionariato Chrysler negli Stati Uniti, passando, nei giorni scorsi dal 20, al 25% delle azioni, con un prospetto di acquisire, nel 2011 fino al 35%.
Con quali soldi lo fa, con quali garanzie?
Non vedere che la politica di Marchionne è una politica ristrutturativa, atta a demolire la contrattazione collettiva e ad avvantaggiarsi di un momento critico delle forze di opposizione, è un errore esiziale.
L'argine che si prepara a sfondare Marchionne, sarà un passaggio in cui la deriva dei diritti del lavoro in Italia, filtrerà fino a contaminare tutti gli strati del lavoro salariato, demolendo, di fatto, gli ultimi bastioni statutari rimasti in piedi dopo l'ondata di precarizzazioni dei contratti di fine anni 90.
Mancare l'appello alla chiamata in difesa di questa battaglia, rischia di essere per il centro-sinistra l'ennesimo passo falso verso una metamorfosi moderata, irreversibile, in un'ansia, irragionevole - visti anche i sondaggi in caduta libera del Partito Democratico, ad esempio - di "sovrapposizione" con l'avversario.
Le parole di Fassino, Veltroni e Chiamparino, in favore del "sì", sembrano pietre tombali, sulle ormai minime speranze di ripresa del Partito Democratico ad un ruolo di rappresentanza e conflitto delle masse lavoratrici, orfane di un partito, appunto, di massa.
Rimangono, purtroppo da soli, fuori e dentro i cancelli di Mirafiori, i metalmeccanici, in lotta per qualcosa di più di un contratto, di uno stipendio, in lotta contro un pauroso ritorno al passato, in lotta per la propria dignità.
Iscriviti a:
Post (Atom)