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lunedì 27 settembre 2010

Consigli per gli acquisti. "Capitalism: A love story."

Questa volta, il consiglio che vi do, non è più, su supporto cartaceo.
Come promesso, sconfino anche in "supporti" diversi , seppur nel medesimo ambito.
La proposta che vi faccio infatti, è un film documentario, del celebre regista statunitense, Michael Moore.
Michael Moore, arrivato alla ribalta con un altro documentario, intitolato "Bowling a Columbine", sulla celebre strage della scuola superiore della Columbine High School, in Colorado, vincendo cone questo suo lavoro l'Oscar come miglior documentario nel 2002.
Successivamente, con un altro documentario (genere principale in cui, Moore, si è da sempre cimentato) nel 2004, a seguito delle elezioni presidenziali che nel 2001 dettero mandato alla presidenza a George W. Bush, Moore affrontò il tema della politica interna e estera degli USA, in maniera più diretta.
Con il documentario Farenheit 9/11 infatti arrivarono le critiche (da parte dei conservatori) ma anche i premi, con la Palma d'Oro a Cannes.
Con questo "Capitalism a Love Story", il regista di Flint, si cimenta con uno dei "dogmi" della politica statunitense, ovvero il credo economico, fedele, nel sistema capitalista.
Il film, uscito nelle sale un anno fa quasi, (30 ottobre 2009 in Italia), ripercorre, il "feeling" tra la più grande potenza mondiale, gli Stati Uniti e il "credo" capitalista, dagli anni del "baby boom", fino agli anni 70 dell'era Nixon, agli 80 di una "guerra fredda" d'immagine con l'URSS, fino ad arrivare all'oggi e alla crisi, del 2008 dei celebri mutui "sub prime".
Moore ci illustra, attraverso il suo stile, come al solito accattivante e pieno di ritmi incalzanti, il tutto mischiato ad una sottile ironia, come sia possibile, nel dorato mondo statunitense, scoprire e stupirsi per l'impensabile.
Si scopre un paese, lontano dalle metropoli e dalle colline dei ricchi, in cui in una sorta di buco nero sistemico, sparisce il tanto decantato "sogno americano", "l'american way of life", colonna portante dell'immaginifica idea che il resto del mondo ha, degli USA.
Povertà, violenza, degrado, emarginazione, mancanza di ammortizzatori sociali, imbarbarimento umano.
Questo il prezzo, per la duplice faccia della medaglia del modello capitalista, da un lato il mondo scintillante degli attori e dei plurimiliardari, da un lato, il precipizio di un esercito di emearginati, una voragine a cui, oggi, si avvicina pericolosamente quella classe media, fiore all'occhiello del modello del benessere, un modello in cui, la prima regola è il consumo e il proprio tenore di vita, il proprio diritto a "consumare".
Si scopre allora che le bolle economiche, la guerra, il credito facile ai meno abbienti e la finanziarizzazione dell'economia, sono tutte conseguente di un solo "grande disegno", un percorso che ha fagocitato se stesso, attraverso dell'emissione di prodotti finanziari ad alto rischio, che sono talmente complessi, da non poter essere spiegati nemmeno dalle migliori menti delle più prestigiose università mondiali.
Un sistema su cui, il paese natio di Moore è fondato, un sistema che ci ricorda il regista, è frutto quasi sempre di manipolazione, propaganda, uso della forza militare per fini geopolitici, corruzione, morte.
Unico vaccino contro questo "male oscuro", contro questo virus che ha mandato in cancrena l'economia mondiale?
La democrazia.
Se non fosse americano, il regista userebbe , per concludere, probabilmente un altro termine, userebbe cioè la parola, socialismo.
In questa parola, indirettamente presente nel film, tra un immagine e l'altra, come una comparazione mai affronatata, tutti i pregi (tanti) e qualche limite della pellicola del bravo regista statunitense.
Una visione vecchia di un anno, ma dolorosamente attuale, assolutamente da vedere per chi avesse ancora qualche dubbio su come, il neo liberismo sia il principale artefice della crisi economica e culturale che oggi flagella il nostro pianeta e la più grande potenza mondiale.

Qui il trailer italiano.

lunedì 20 settembre 2010

Se Veltroni aiuta Berlusconi. Storie di un PD in crisi.

Ci risiamo.
Sembra un segno del destino, un legame astrale dei più potenti, una costante del fato, quando il primo è in difficoltà, il secondo, arriva in aiuto.
Questa volta Walter Veltroni, l'ha fatta davvero grossa.
Non contento di aver riabilitato "l'avversario", Berlusconi, già in tempi sospetti, causando la indiretta caduta del governo Prodi 2, dove si "premurò" di colloquiare - con una avversario emarginato e accerchiato dalle critiche dei suoi ex alleati (Casini e Fini) - di legge elettorale, riesumandolo da una precoce sconfitta; fino al disastro della caduta di governo, avvenuta anche grazie ad una stupida accellerazione sulla nascita del Partito Democratico; oggi il nostro affezionatissimo Walter, lancia un altro appiglio al traballante Cavaliere di Arcore.
Se infatti, non si placano le voci su un rimpasto della maggioranza, su elezioni anticipate nel Pdl, tra un colpo basso e l'altro, in un teatrino in cui da mesi sono protagonisti Fini, Berlusconi e i giornali di quest'ultimo, nel centro-sinistra, le cose non vanno certo meglio.
Proprio il fondatore del PD stesso, il suo più convinto estimatore, pare oggi, intenzionato a creare una frattura politica che sarà difficile da rimarginare e che pare frutto delle solite lotte intestine tra correnti del partito.
L'elezione a segretario di Bersani, si sa, non è stata vista di buon occhio da Veltroni, perchè quest'ultimo è visto (non a torto) come delfino di D'Alema che in un primo momento era rimasto ai margini del partito, causa scandalo intercettazioni e ora è tornato, seppur indirettamente, a riprenderselo.
L'empasse politico del PD è stato scosso in questi mesi proprio da Berlusconi stesso, che sembra aver nuovemente messo in subbuglio uno scenario politico apparentemente piatto per il PD fino al 2013.
Il rischio di elezioni anticipate infatti, ha stravolto i piani della dirigenza Democratica, causando una serie di proposte una in contrasto con l'altra, riguardo la soluzione politica da adottare come "tattica" nel caso di elezioni a marzo.
La concorrenza esterna di Vendola, la corsa al sistema "ultrademocratico" delle primarie di coalizione (o di partito?) e la proposta antitetica di un "Nuovo Ulivo" dello stesso Bersani, esteso anche alla sinistra radicale, per riformare la legge elettorale, ha causato più di un problema e più di una posizione interna la partito.
Veltroni, come in passato aveva già fatto Rutelli, non è da meno, ma il colpo è di quelli duri, a tal punto, che è lecito chiedersi dove miri esattamente Veltroni stesso, tanto è vicino il limite dell'autolesione.
La proposta dell'ex segretario infatti, nasce dalle firme di una settantina di fedelissimi che si sono aggregati intorno ad esso nel tentativo di creare un nuovo "gruppo" in parlamento.
Dopo i "Finiani", avremo anche uno spazio per i "Veltroniani" nell'arco parlamentare dunque?
Pare sempre più probabile, nonostante gli appelli accorati di rinunciare a tale eventualità, dalle pagine dei giornali, di alcuni dei leaders del PD, da D'Alema su l'Unità a Letta, ieri su, Repubblica.
Oggi Veltroni risponde e rimanda al mittente, proprio dallo stesso giornale, le accuse nei suoi confronti, affermando, che all'interno del documento, "non vi è un solo attacco al nuovo segretario" e quindi non c'è nessun intento distruttivo.
Nel documento si legge come, la fase bipolare e bipartitica della politica italiana non sia la principale causa del consenso del centro-destra e di come, si debba insistere su questo punto e su questa strategia al contrario per esempio, di soluzioni diverse (larghe alleanze) paventate da Bersani.
Eppure, il nuovo "Movimento" di Veltroni, appoggiato tra l'altro da Fioroni e Gentiloni, suscita più di un dubbio e già si aprono scenari che alcune delle lingue più velenose, interne al PD, vedono il documento come un excamotage una ricerca ad una candidatura per le primarie.
Primarie che nonostante i programmi, aleggiano da tempo sul PD e su una coalizione che non esiste ancora, il primo ad invocarle fu in estate Vendola, seguito a ruota da Chiamparino.
Quello che è certo è che non dovrebbero (almeno da statuto) esserci primarie interne al PD, dato che di norma, l'unico candidato, sarebbe obbligatoriamente (per il PD) Bersani.
Ecco che qui nascono i problemi.
Bersani non rappresenta ampiamente tutto il partito e moti tumultuosi tra diverse fazioni, lo confermano, impietosamente.
Intanto, manca quello che sarebbe in questo momento fondamentale nell'affrontare questa fase politica, un progetto serio di contrasto a Berlusconi, che nonostante le difficoltà, galleggia ancora sui propri avversari.
Veltroni stesso denuncia questa "falla" di programmi ed idee, i sondaggi (per quel che servono) danno in caduta libera il PD e raffrontati al 2008, il Partito Democratico scende ad un preoccupante 24% di consensi.
Concetto rimarcato proprio nel documento dei "Veltroniani".
Quel che è sicuro però, è che sarà molto difficile, che una base militante sempre più scorata e delusa, veda, in questo nuovo "scarto" di Veltroni, una linfa nuova per il partito.
La sensazione, spiacevole, porta a pensare che invece tra la base, questa scelta, sarà vissuta come l'ennesimo autogol dell'ex sindaco di Roma, un aiuto indiretto di cui, Silvio Berlusconi non avrebbe bisogno.

sabato 11 settembre 2010

Fidel si è pentito. O forse no?

La notizia è di quelle che fanno sobbalzare sulla sedia, ed è stata riportata ieri da un ampio numero di testate giornalistiche di tutto il mondo.
Anche Fidel Castro, ammette che "il comunismo ha fallito anche a Cuba".
L'impatto mediatico viene subito enfatizzato da titoli e strilli che senza mezzi termini, danno risalto alla notizia, del "grande pentimento"dello "stalinista" Castro.
In Italia poi, dove non si perde mai l'occasione di ricordare come il comunismo sia un retaggio del secolo scorso, di come sia "già morto e sepolto", addirittura, la notizia, invece che essere confinata nel "folklore mediatico" subisce ampio risalto, arrivando fino alle copertine dei giornali, tra foto, "occhielli" e rimandi, l'uno più vistoso dell'altro.
Dalla Stampa, a Libero, da il Giornale, fino a La Nazione (che addirittura mette una gigantesca foto di Fidel con la scritta "il grande pentito"), tutti fanno a gara, nell'esercizio di demolizione, di ciò - il comunismo -  che dovrebbe (almeno per certi giornali di stampo conservatore) essere ormai archiviato nei fascicoli della Storia.
Tutto nasce da un "fuori intervista" tra Fidel e il giornalista americano Jeffrey Goldberg del mensile di Boston "Atlantic" che, durante il colloquio con il "leader maximo", si è sorpreso nel momento in cui l'interprete ha confermato questa frase:  "il modello cubano non funziona più neanche per noi", un'indiretta apertura all'economia privata a Cuba, sulla scia di alcune riforme, paventate mesi fa dal fratello Raul.
Una dichiarazione che ha suscitato scalpore, oltre misura, rispetto al valore vero e proprio delle parole dette dal leader cubano, che di per se, suscitano certo stupore e risalto mediatico, ma non sono certo un'ammissione di sconfitta ne un pentimento.
Ebbene, da questa dichiarazione si è sancito, per un giorno, il definitivo declino del socialismo sulle pagine di tutto il mondo.
La domanda è, ma il socialismo, non era già morto e sepolto?
Per quale motivo, quindi, dare risalto ad una notizia di secondo piano?
Viene qualche dubbio.
Sopratutto se si guardano le tendenze politiche di certi giornali che hanno riportato la notizia che sono tutti di stampo neo-con, proprio loro quindi dovrebbero aver metabolizzato certi concetti, proprio perchè, al "grande sogno" non ci hanno mai creduto.
Invece, danno ampio risalto eccome, alla "fine del comunismo", con varie sbracature gionalistiche e cadute di stile, oltre che a perentori giudizi (De Carlo, sulla Nazione di Firenze ad es.) in cui si dice che finalmente anche Castro si accorge di come, un'ideologia egualitaria, porti solo "ad un'appiattimento verso la povertà".
In fondo sì, "a Cuba c'è l'assistenza sanitaria (gratuita ndr), ma la popolazione vive con soli 15 euro al mese!"
Insomma, il comunismo, sotto la coltre romantica, può solo nascondere la povertà diffusa e la restrizione dei diritti individuali.
Niente di nuovo, dunque, per i detrattori del socialismo, fan di Adam Smith e Milton Friedman e fautori del "lassez faire" in economia;  perchè allora scaldarsi tanto?
Poniamoci la domanda.
Forse perchè in quell'unico sistema economico globalizzato, che oggi domina il mercato mondiale, Cuba è ancora un esempio nonchè una guida per l'ex "cortile di casa" dell'America Latina, dove gli USA non la fanno più da padrone?
O forse perchè, nonostante la vittoria del capitalismo, del "pensiero unico",  la povertà (leggi crisi economica mondiale), la guerra, la mancanza di libertà e diritti esistono ancora?
Non avranno paura i nostri, che di questi tempi, possa tornare di moda un sentimento critico antagonista, contro un sistema che, finalmente libero dalle catene del welfare assistenzialista, non ha migliorato, ma anzi ha sensibilmente peggiorato la vita delle persone?
Le critiche, ormai cicliche, contro la Cuba di Castro, si fanno spazio nei media sempre più spesso, eppure, nel mondo c'è molto di peggio, tra i "fedelissimi" degli USA.
Come dimenticare il disastrato Messico ormai alla mercè di bande di criminali della droga, o la Colombia, del macellaio Uribe che governa attraverso un sistema polizesco di repressione da far invidia all'Argentina di Varela e al Cile di Pinochet?
Lì, i nostri paladini dell'informazione libera, quasi tutti a libro paga del Presidente del Consiglio con più conflitti d'interessi nel mondo, tacciono.
Così come tacciono rispetto a quanto di buono c'è, nella gestione "comune" e pubblica dei bisogni primari nello stato cubano, di come funzioni la sanità pubblica, di come Cuba, nel mondo sia "la risorsa" (alcuni dati, sulla sanità cubana qui) per milioni di indigenti, anche statunitensi, che possono studiare, curarsi, grazie agli scambi tra Cuba e l'esterno.
Così come tacciono, ancora, i nostri, su una forma preventiva di contrasto a Cuba, attraverso l'embargo economico, che contro il paese caraibico resiste dal 1962.
Altra "mitologia" da sfatare, quella che vorrebbe Cuba, come un paese in cui, con la nazionalizzazione delle principali risorse dopo la rivoluzione del '59, non ci sia stata più nessuna possibilità di consumo "libero".
Si leggano i dati per cui, a Cuba, prima dell'embargo, si acquistano eccome, prodotti di consumo proprio dagli USA stessi, grazie al rialzo dei salari post rivoluzione; consumi che poi, sono drasticamente calati, dal 1962, con l'attuazione appunto del blocco economico.
La Cuba affamata da Fidel Castro quindi, non esiste, sarebbe meritorio almeno domandarsi, se l'indigenza ( o meglio l'appiattimento economico) non sia una concausa di un veto economico così pesante, ora ancora più duro senza gli aiuti dell'URSS dalla caduta del muro in poi.
Sarebbe lecito domandarsi anche perchè, il "moderno" Obama, nonostante tanti proclami lasci finanziare ancora dal governo i programmi federali della CIA, contro lo stato castrista e non conceda finalmente un libero scambio tra  Cuba e l'esterno.
Nel frattempo, oggi, arriva puntuale la smentita alle dichiarazioni di ieri, da parte di Castro, "parole male" interpretate".
Le congetture per adesso sono rimandate al "prossimo caso" sulla Cuba del "dittatore" Fidel Castro.
Rimane nell'aria la domanda,  che è questa, - possibile che un paese così piccolo,  da poter relegare quasi ad un nostalgico caso storico, retaggio del secolo passato susciti ancora così tanto  interesse e così tanto "livore"-  e perchè?
Probabilmente, perchè, nel bene o nel male, Cuba rimane un esempio di come ci possa essere un'altra strada, seppur impervia e contraddittoria, da proporre in prospettiva, in contrasto,  all'idea, ormai in crisi, di un "pensiero unico" che vede nel capitalismo  il solo approdo possibile per il futuro dell'umanità.